01 giugno 2017

MANUELA BUSALLA, SUITE KANDINSKIJ


Suite Kandinskij
Dai tempi moderati e lenti a quelli più sincopati.
Il fondatore dell’astrattismo e la polifonia cromatica
delle sue opere in mostra al MUDEC di Milano

Un viaggio onirico, sospeso tra la dimensione reale e quell’universo ideale che prende forma di fronte agli occhi dell’osservatore. Kandinskij, il cavaliere errante è proprio questo, una mostra pensata per documentare il sorprendente percorso verso l’astrazione dell’artista russo, nato a Mosca nel 1866 e morto a Neuilly-sur-Seine nel 1944. E al MUDEC di Milano – fino al 9 luglio – si puntano i riflettori su tele, acquerelli, incisioni e xilografie che duettano con icone, stampe popolari e oggetti decorativi selezionati per enfatizzare le suggestioni di cui si nutrì quello che fu l’indiscusso padre dell’astrattismo.
In una galleria di quarantanove opere e ottantacinque raffinati esempi di arte decorativa – nel centenario della Rivoluzione russa – sfilano alcuni dei capolavori di un esaltante cromatismo, sintesi nervosa di pennellate che si organizzano in presenze autonome di forme vibranti. Sono segno e colore su spazi prospettici entro i quali Kandinskij riduce la percezione visuale del soggetto per dare voce a intime riflessioni, cifra espressiva di astrazione pura. Non a caso a definire il suo codice simbolico arrivano «vibrazioni… che la risonanza interiore del reale genera nello spirito umano», come dirà lui stesso. Poi è la musica a occupare la scena, perché «la più astratta delle arti» informa di sé i capolavori della maturità. È il caso del primo dipinto astratto, Quadro con cerchio (1911), di Ouverture musicale (1919) e Tratto nero (1920), capolavori le cui nuance sfoggiano ritmi di sostenuta e serrata cadenza.
Ma prima di arrivare all’astrattismo, Kandinskij si fa notare per una scrittura figurale di più classica struttura. Senza mai perdere in valore poetico, nella sua produzione si coglie il lessico visivo dell’infanzia, quel mezzo privilegiato per contemplare con sguardo libero e autonomo. Fiabe tedesche e russe, cavalli e cavalieri sono protagonisti di tele in cui coesistono magistralmente la modalità astratta e quella figurativa. Se Il porto di Odessa del 1898 ce lo dimostra alla perfezione, Paesaggio invernale 1 (1909) stupisce ancora di più per un’incredibile esplosione di colore. Giallo, rosa, celeste, blu e verde – come su un pentagramma – compongono una sinfonia che fa pensare alle sperimentazioni musicali dell’austriaco Arnold Schönberg.
Per comprendere a fondo la cifra di Kandinskij non si può prescindere dal suo viaggio nel governatorato di Vologda, tantomeno da Mosca, città natale e «diapason delle ispirazioni di pittore». Temi allegorici, persino “cavallereschi”, esibiscono un tratto romantico e visionario che sfocia poi in forme espressionistiche. Basti pensare a Il cavaliere (San Giorgio) del 1914-15. Ma non è ancora tutto. Questa sofisticata mostra è l’occasione per ammirare anche opere spesso rimaste nel deposito del museo di Tbilisi (delle quali non esistono neppure foto d’epoca), provenienti da collezioni private o dalle più importanti gallerie russe, georgiane e armene.
Artista tra i più influenti di tutto il Novecento, Vasilij Kandinskij amava dire: «Per anni ho cercato che gli spettatori passeggiassero nei miei quadri: volevo costringerli a dimenticarsi, a sparire addirittura lì dentro». E In viaggio verso l’astrazione – questo il sottotitolo della mostra – è la promessa mantenuta. Attraverso una palette dalla forte personalità si rivela l’anima di un artista che ha conosciuto i post-impressionisti e i Fauves, ha sposato e poi abbandonato le geometrie del Bauhaus. E ha scoperto la magia del colore approdando alla conquista dell’astrazione, dopo un intricato percorso intellettuale. Profondamente spirituale per molti versi, prima ancora che pittorico.

Manuela Busalla 2017
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