VITO, A MODO MIO
di Daniele Billitteri
Dante fece capire che per andare in
paradiso come residente, bisognava passare dall’Inferno attipo reception.
Perché meglio dei dannati nessuno sa a chi ci attocca di andare con gli angeli.
Così Vituzzo Parrinello si presentò al fiume Oreto dove un Totuccio Dimonio si
offrì di traghettarlo e tale Virgilio Pensabene di accompagnarlo in questo
passaggio obbligato. Nell’inferno palermitano Vito incontrò una poco di persone
conosciute. Ma siccome la classe non è acqua che scorre, tutti furono trattati
con rispetto e curiosità, con gentilezza e umiltà. Anche quelli che avevano
fatto male assai. Vito era religioso. Conosceva la procedura dell’amore.
Non che porgesse l’altra guancia
perché uno deve essere rispettoso. No fissa. D’altra parte Vito era uno che si
faceva rispettare nel modo più semplice e inequivocabile: in primis era Buono
(una volta sola, che ci abbasta), poi coltivava amore nella serra rigogliosa
della sua vita e lo faceva con passione, senza risparmiarsi. Inoltre sapeva le
cose e le sapeva bene. Difficile prenderlo in castagna perché, laddove
ritenesse di correre questo rischio, faceva un passo indietro e dovendo
scegliere tra cattedra e banchi, sceglieva senza esitazione i secondi. Diceva
di sapere solo “quattro accordi” ma ne sapeva almeno quaranta e abbracciava la
chitarra, seconda solo alla sua Rosa. Avere rispetto di un uomo così era
automatico.
In più di tutte queste cose,
carissimi amici miei, aveva un’energia speciale e contagiosa. Basta andare a
vedere il DNA di Elisa e Giovanni, che un minuto fermi non sanno stare e
sembrano diavolicchi dentro la bottiglia. Quanta arte ha consegnato a quei
ragazzi?
Vito passò anche dai gironi della
passione, di Paolo e Francesca. Ma vuoi mettere? Vito e Rosa? Io lo so, li ho
visti. Vito, quando Rosa avvia i suoi ricami profumati di canto e poesia,
semplicemente piange. Come un nutrico. Uno di quelli che aveva il segreto del
pianto. Lui sapeva che si può piangere anche per una cosa bella, di felicità,
di ammirazione. E piangeva per i figli e piangeva per le nipotine. Piangeva per
Martorio o per Ninnarò o per le cento e cento bellezze che scovava nelle
cantine dimenticate della tradizione popolare. Senza trulòallero truillallà,
senza sberleffo volgare. Mai. Tutte lacrime belle.
Daniele Billitteri
Pezzo ripreso da http://www.maredolce.com/2017/06/05/vito-modo-mio/
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