12 giugno 2017

A. RIMBAUD, Angelus et puer



Angelus et Puer (L'angelo e il Fanciullo)

Jamque novus primam lucem consumpserat annus,
Jucundam pueris lucem, longumque petitam,
Oblitamque brevi: risu somnoque sepultus,
Languidulus tacuit puer; illum lectulus ambit,
 
Plumeus, et circa crepitacula garrula terra,
Illorumque memor, felicia somnia carpit,
Donaque cælicolum, matris post dona, receptat.
Os hiat arridens, et semadaperta videntur
Labra vocare Deum: juxta caput angelus adstat
 
Pronus, et innocui languentia murmura cordis
Captat, et ipse sua pendens ab imagine, vultus
Æthereos contemplatur; frontisque serenæ
Gaudia miratus, miratus gaudia mentis,
Intactumque Notis florem: "Puer æmule nobis,
 
I, mecum conscende polos, cælestia regna
Ingredere; in somnis conspecta palatia dignus
Incole; cælestem tellus ne claudat alumnum!
Nulli tuta fides: nunquam sincera remulcent
Gaudia mortales; ex ipso floris odore
 
Surgit amari aliquid, commotaque corda juvantur
Tristi lætitia; nunquam sine nube voluptas
Gaudet et in dubio sublucet lacryma risu.
Quid? frons pura tibi vita marceret amara,
Curaque cæruleos lacrymis turbaret ocellos,
 
Atque rosas vultus depelleret umbra cupressi?
Non ita: Divinas merum penetrabis in oras,
Cælicolumque tuam vocem concentibus addes,
Subjertosque homines, hominumque turbere fluctus,
I: tibi perrumpit vitalia vincula Numen.
 
At non lugubri veletur tegmine mater:
Haud alio visu feretrum ac cunabula cernat;
Triste supercilium pellat, nec funera vultum
Constristent: manibus potius det lilia plenis:
Ultima namque dies puro pulcherrima mansit."
 
Vix ea: purpureo pennam levis admovet ori,
Demetit ignarum, demessique excipit alis
Cæruleis animam, superis et sedibus infert
Molli remigio: nunc tantum lectulus artus
Servat pallidulos, quibus haud sua gratia cessit,
 
Sed non almus alit flatus, vitamque ministrat;
Interiit. . . ; sed adhuc redolentibus oscula labris
Exspirant risus, et matris nomen oberrat,
Donaque nascentis moriens reminiscitur anni.
Clausa putes placido languentia lumina somno;
 
Sed sopor ille, novo plus quam mortalis honore,
Nescio quo cingit cælesti lumine frontem,
Et terræ sobolem, at cæli testatur alumnum.
 
Oh! quanto genitrix luctu deplanxit ademptum,
Et carum inspersit, fletu manante, sepulcrum!
 
At quoties dulci declinat lumina somno,
Parvulus affulget, roseo de limine cæli,
Angelus, et dulcem gaudet vocitare parentem.
Subridet subridenti: mox, ære lapsus
Attonitam niveis matrem circumvolat alis,
 
Illaque divinis connectit labra labellis.
 





L'anno nuovo aveva già completato il suo primo giorno:
Giorno gradito ai bimbi, e lungamente atteso,
Ma presto dimenticato. Immerso in un sonno ridente,
Il bambino tacque assopito; racchiuso nel suo lettuccio
 
Di piume, contornato da chiassosi sonagli sparsi per terra,
Dorme di un sonno allietato dal loro ricordo,
Ricevendo, dopo i doni materni, anche quelli divini.
La bocca accenna un sorriso, e le labbra socchiuse
Pare che invochino Dio. Chino sul suo capo,
 
Un angelo spia i deboli sussurri di un cuore
Innocente, e, come sospeso alla sua stessa immagine,
Contempla quel volto etereo: ammira la gioia diffusa
Sulla fronte serena, ammira la gioia che spira dalla mente
E il fiore non ancora violato da venti impetuosi: "Bambino a me somigliante,
 
Vieni, sali in cielo con me, varca la soglia
Del regno celeste; abita, come meriti, il palazzo che hai visto
In sogno; la terra non trattenga un figlio del cielo!
Una sicura fiducia non è di questo mondo; ai mortali non è dato assaporare
Gioie sincere: nel profumo stesso del fiore
 
Si sente qualcosa di acre, la commozione si nutre
Di una triste letizia, il godimento di un piacere è sempre offuscato
Da qualche nube e sotto un riso incerto brilla una lacrima.
E questa tua pura fronte dovrebbe raggrinzirsi per le amarezze della vita?
Affanni e pianto dovrebbero sciupare questi tuoi cerulei occhi?
 
L'ombra del cipresso dovrebbe scacciare le rose dal volto?
No: tu mi seguirai nelle regioni divine,
Aggiungerai la tua voce ai canti intonati dagli abitatori del cielo,
Abbasserai il tuo sguardo sull'umanità sottostante e sulle sue tempestose passioni.
Vieni: una Divinità recide i vincoli che ti uniscono alla vita.
 
Tua madre, però, non si vesta di lugubri veli;
Il suo sguardo non si alteri passando dalla culla a un feretro;
Respinga la mestizia che le incurva il sopracciglio, e non si lasci contristare
Dalle esequie, ma effonda fiori a piene mani:
Per un'anima interrotta l'ultimo giorno è anche il più bello".
 
E subito, delicatamente, accosta un'ala alla purpurea bocca,
Tronca il filo della vita senza che il dormiente se ne avveda,
E sulle azzurre ali ne trasferisce l'anima alle sedi superne,
Mollemente remigando. Ora il lettuccio custodisce soltanto
Un corpicino esangue, che, pur conservando intatta la sua leggiadria,
 
Non è più sorretto e vivificato dallo spirito vitale.
E' morto, si…ma sulle labbra che ancora profumano di baci
Aleggia un sorriso e indugia il nome della mamma;
Morendo, ha ricordato i doni portatigli dall'anno che nasceva.
Si direbbe che quei suoi occhi spossati si siano chiusi a un placido sonno.
 
Ma quel sopore, che per un singolare privilegio è più che mortale,
Avvolge la fronte in un alone arcano di luce divina,
Attestando che il bambino non è più figlio della terra, ma del cielo.
 
Oh! Con quanto struggimento la madre ne pianse la perdita,
E con quanto sgorgare di lacrime bagnò il sepolcro amato!
 
Ogniqualvolta reclina le palpebre, vinta da un dolce torpore,
Ecco, fulgida apparizione, dalla rosea soglia del cielo un piccolo angelo
Si affaccia a invocare lietamente il nome soave della madre.
Si scambiano un sorriso; poi l'angioletto, scivolando nell'aria,
Scende a volteggiare con le nivee ali intorno alla mamma stupefatta,
 
Fino a congiungere alle labbra di lei le sue labbra divine.

Artur Rimbaud 

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