Il '68 fu un'onda
anomala. L’ideale dominante fu quello della liberazione, che
contrapponeva in tutti gli ambiti, la fabbrica e le aule, la
famiglia, le relazioni personali, un potere autoritario e un soggetto
oppresso e bisognoso non tanto di acquistare potere quanto di uscire
dallo stato di sottomissione e, soprattutto, di esprimersi.
Peppino Ortoleva
Più che la
rivoluzione si cercò la liberazione
Una delle letture del ‘68
internazionale che più si sono radicate nel senso comune è quella
che lo riduce a puro fatto di costume. I movimenti giovanili come
semplice sintomo, non certo motore primo, di trasformazioni già in
corso, che sarebbero avvenute comunque. Credevano di cambiare il
mondo ma non si accorgevano che il mondo cambiava loro.
Un simile modo di pensare
serve a rimuovere o banalizzare la componente propriamente politica
dell’anno (o degli anni) degli studenti, quella che all’epoca
spaventò tanti, e che resta la più enigmatica, difficile da capire.
Perché un divario tra ciò che i movimenti credevano di fare e
quello che effettivamente fecero c’era: mentre si metteva in scena
per l’ultima volta il mito otto-novecentesco della rivoluzione
emergevano (spesso inconsapevolmente) nuovi modelli di azione e di
confitto, basati sull’identità personale e di gruppo e non più su
categorie in precedenza decisive come le classi sociali.
Il sogno che animò nel
profondo i movimenti del ‘68 non era quello della presa del potere,
come nella classica tradizione rivoluzionaria, da Robespierre a
Lenin; del resto gli eroi più amati erano coloro che non si
fermavano mai, che riprendevano il cammino insurrezionale anche dopo
che avevano vinto, a cominciare dal Che.
L’ideale dominante
era piuttosto la liberazione, che contrapponeva in tutti gli ambiti,
la fabbrica e le aule certo, ma anche la famiglia, le relazioni
personali e la stessa struttura profonda di ciascuno, un potere
autoritario (che si chiamasse padrone professore padre o anche
Super-Ego) e un soggetto oppresso e bisognoso non tanto di acquistare
potere quanto di uscire dallo stato di sottomissione e, soprattutto,
di esprimersi.
L’emergere di una
politica delle identità, con tutte le sue complessità e ambivalenze
che hanno arricchito lo spettro della vita pubblica e permesso
letteralmente l’ingresso di nuovi soggetti, e d’altra parte sta
servendo da legittimazione anche a egoismi più aggressivi e nuovi
odi, è in parte frutto di questo modo di pensare il confitto e
l’azione collettiva.
Se teniamo conto di
questo, possiamo comprendere il rapporto tra il ‘68 politico e i
coevi cambiamenti in tanti altri aspetti del vivere senza
schiacciarlo nell’interpretazione riduttiva che ricordavo
all’inizio. È vero infatti che gli anni dei movimenti furono
attraversati anche da novità di altra natura, per i quali è
difficile individuare una radice comune, ma di impressionante
simultaneità.
Nel film Le
invasioni barbariche di Denys Arcand un personaggio dice: «E
poi, a un certo punto del 1966 la gente smise di venire in chiesa».
È una rappresentazione apparentemente semplicistica, eppure coglie
qualcosa di vero: fu negli anni Sessanta che, in molti paesi,
cominciò a crollare l’affuenza alle chiese e alle liturgie.
Non era, adesso lo
sappiamo, la fine della religiosità, che anzi conobbe fin da allora
forme di intensificazione in senso conservatore o anche ribelle. Era
l’inizio di una diversa percezione della fede, sempre meno come
passivamente accettata e sempre più come scelta personale.
Negli stessi anni si
manifestarono grandi cambiamenti, anche questi relativamente
imprevisti, in campo sessuale: da un lato la crescente autonomia
delle donne, nella scelta del partner come nelle decisioni sul
proprio corpo, dall’altro la liberalizzazione della pornografia,
che in molti paesi – tra cui l’Italia – avvenne non per effetto
di una legge ma semplicemente perché norme che fino a pochi anni
prima erano parse inesorabili ora perdevano di credibilità e perfino
di senso.
E negli stessi anni si
verificò un cambiamento solo apparentemente marginale, in realtà
carico di significato. Tra il 1958-59 e il 1964-65 la lunga durata
della danza di coppia che sotto forma di valzer, tango, o fox trot
avevano dominato oltre un secolo e mezzo lasciò il posto a stili
insieme più personali e meno regolati, prima il twist poi quello che
per breve tempo fu chiamato shake per poi non avere più un nome
preciso: ballare e basta.
La cosa che più colpisce
è la spontaneità del fenomeno, la sua adozione generalizzata che
prese di sorpresa la stessa industria musicale. Un «movimento
giovanile» pre-politico ma che evidenziava un diverso rapporto con
il corpo e con il ritmo, una diversa relazione tra i sessi, un
bisogno di espressione personale.
La storia, contrariamente
a quel che pensano molti storici, conosce di tanto in tanto delle
fasi di accelerazione, delle vere e proprie ondate, che possono
privilegiare alcuni paesi, alcuni strati, alcune generazioni, ma che
è difficile spiegare con le stesse categorie che si usano per i più
ricorrenti e ordinari confitti sociali.
A mezzo secolo di
distanza negare che si sia manifestata negli anni Sessanta un’onda
anomala, possiamo dire, che ha toccato simultaneamente aspetti molto
distanti della vita, dalla musica alla religione al sesso, è
semplicemente negare l’evidenza.
I movimenti del ‘68
hanno cercato più o meno lucidamente di sintetizzarne i diversi
aspetti, con il linguaggio di cui disponevano, e di convogliarli in
un progetto pubblico e collettivo. In parte ci sono riusciti, facendo
emergere soggetti nuovi ed esigenze nuove, hanno messo in luce
l’anima liberatoria che sottostava a quelle diverse istanze e hanno
dato loro una voce o una polifonia di voci.
Dopo, non solo la società
e le persone, ma anche la politica, per il bene o per il male, non è
stata più quella di prima. È anche per questo che il ‘68 ha
segnato una frattura ineludibile, anche se tanti vorrebbero
liquidarla senza provare a capirla.
Il Manifesto – 2
novembre 2018
PS: Riprendo dal mio diario fb alcuni commenti pervenuti:
PS: Riprendo dal mio diario fb alcuni commenti pervenuti:
Franca Alaimo: che giorni lontani
mi ricorda e soprattutto una me piena di fervore
Alessandra Fini: Delle persone
che "fecero " il '68 vedo un alone di malinconia così struggente che
, a chiudere gli occhi, si vedono ancora I boccioli freschi nelle bocche dei
cannoni, Woodstock e il rosso vivo dei testi, il cuore rock
Rosario Daidone Da insegnante nel
68 litigavo con i presidi. Il fenomeno che ricordo tuttavia è che, trasferitomi
dalla Lombardia a Palermo, mi accorgevo che qui da noi il 68, già' scoppiato a
Milano, non era ancora sbocciato. Ma poi le battaglie ci furono anche a
Palermo. E feroci contro i numerosissimi conservatori nostrani.Una
interessantissima stagione piena d'entusiasmo e di immaginazione.
Antonina LiCastri: Ed a NYC, Io
ragazzina manifestavo contro la Guerra del Vietnam, per I diritti dei popoli
indigeni, raccoglievo soldi per i bambini di Biafra, facevo il volontariato con
la Croce Rossa...Erano tempi fantastici
Gisella Ingraffia: Well well ....
risultati? Specchietti per le allodole tanti, miglioramenti pochi, e i capetti tutti “sistemati”.
Le rivoluzioni pilotate senza vera coscienza della Realtà al massimo allentano un po’ le catene, da una parte, ma dall’altra stringono il cappio 😜
risultati? Specchietti per le allodole tanti, miglioramenti pochi, e i capetti tutti “sistemati”.
Le rivoluzioni pilotate senza vera coscienza della Realtà al massimo allentano un po’ le catene, da una parte, ma dall’altra stringono il cappio 😜
Francesco
Virga : Cara Gisella, tu sei sempre ipercritica…
e su alcuni punti puoi anche aver ragione
Allora, comunque, c'era davvero
chi credeva che il mondo si potesse cambiare.
Antonina LiCastri: si, totalmente
Gabriella
Capitanio: È stata l'esperienza più forte e
totalizzante della mia vita forse perchè nasco libera e ribelle. Ci sentivamo
padroni del mondo ed immortali , sensazione che mi ha accompagnato per molti
anni della mia vita . Roma con i palazzi " del potere " da espugnare
e le ambasciate ha fatto il resto. Collettivi, letture di Marx, Marcuse ecc,
occupazioni di Facoltà, manifestazioni oceaniche. Che periodo indescrivibile ,
peccato che il mondo di oggi è così lontano da quello che avevamo immaginato di
creare , che delusione e che delusione le generazioni venute dopo di noi ,
borghesi con il mito del denaro e del successo a tutti i costi !
Ecco alcuni commenti pervenuti:
RispondiEliminaFranca Alaimo: che giorni lontani mi ricorda e soprattutto una me piena di fervore
Alessandra Fini: Delle persone che "fecero " il '68 vedo un alone di malinconia così struggente che , a chiudere gli occhi, si vedono ancora I boccioli freschi nelle bocche dei cannoni, Woodstock e il rosso vivo dei testi, il cuore rock
Rosario Daidone Da insegnante nel 68 litigavo con i presidi. Il fenomeno che ricordo tuttavia è che, trasferitomi dalla Lombardia a Palermo, mi accorgevo che qui da noi il 68, già' scoppiato a Milano, non era ancora sbocciato. Ma poi le battaglie ci furono anche a Palermo. E feroci contro i numerosissimi conservatori nostrani.Una interessantissima stagione piena d'entusiasmo e di immaginazione.
Antonina LiCastri: Ed a NYC, Io ragazzina manifestavo contro la Guerra del Vietnam, per I diritti dei popoli indigeni, raccoglievo soldi per i bambini di Biafra, facevo il volontariato con la Croce Rossa...Erano tempi fantastici
Gisella Ingraffia: Well well ....
risultati? Specchietti per le allodole tanti, miglioramenti pochi, e i capetti tutti “sistemati”.
Le rivoluzioni pilotate senza vera coscienza della Realtà al massimo allentano un po’ le catene, da una parte, ma dall’altra stringono il cappio 😜
Francesco Virga : Cara Gisella, tu sei sempre ipercritica… e su alcuni punti puoi anche aver ragione
Allora, comunque, c'era davvero chi credeva che il mondo si potesse cambiare.
Antonina LiCastri: si, totalmente
Gabriella Capitanio: È stata l'esperienza più forte e totalizzante della mia vita forse perchè nasco libera e ribelle. Ci sentivamo padroni del mondo ed immortali , sensazione che mi ha accompagnato per molti anni della mia vita . Roma con i palazzi " del potere " da espugnare e le ambasciate ha fatto il resto. Collettivi, letture di Marx, Marcuse ecc, occupazioni di Facoltà, manifestazioni oceaniche. Che periodo indescrivibile , peccato che il mondo di oggi è così lontano da quello che avevamo immaginato di creare , che delusione e che delusione le generazioni venute dopo di noi , borghesi con il mito del denaro e del successo a tutti i costi !