19 novembre 2018

WAGNER E LOMBROSO


R. Wagner

C. Lombroso


Wagner e Lombroso. Attenti al musicista delinquente

 Alberto Mattioli


Il più esagitato ed esagerato fu probabilmente Guillaume Lekeu, giovane e brillante musicista, wagneriano fanatico. Nel 1889, approdato sulla sacra collina di Bayreuth per il Tristan, svenne già durante il Preludio. Chissà se Cesare Lombroso conobbe mai il ghiotto aneddoto. Avrebbe subito incasellato Lekeu in una delle sue categorie antropologiche, magari chiesto anche un esame frenologico. La musica e la psiche, gli effetti calmanti e/o eccitanti delle note sul cervello, i rapporti fra genio e follia furono al centro degli interessi di Lombroso almeno quanto l’Uomo delinquente. Erano gli anni in cui probabilmente incrociò spesso a Torino Friedrich Nietzsche, perché frequentavano entrambi con assiduità teatri e sale da concerto. Prima del fatale abbraccio al cavallo del 3 gennaio 1889 (sarebbe partito per sempre il giorno dopo da Porta Nuova, cantando canzoni napoletane e fermamente convinto di essere il Re d’Italia) proprio a Torino, al Carignano, Nietzsche ascoltò la Carmen di Bizet, diventata poi il manifesto del suo antiwagnerismo (anche se la vera causa della rottura, più che l’aborrita - e presunta - svolta religiosa del Parsifal, fu la gaffe piramidale del povero Friedrich che un brutto giorno si presentò a Villa Wahnfried con lo spartito del Triumphlied di Brahms sotto il braccio. Richard e soprattutto Cosima non glielo perdonarono mai).
Cesare Lombroso
Tant’è: alla «Musica a Torino nell’epoca di Lombroso» è dedicato il curioso concerto di sabato nell’Aula Magna del Museo di Anatomia, in attesa della riapertura di quello di Antropologia criminale che, fra gli altri raccapriccianti reperti, conserva sotto formalina anche la testa dello stesso Lombroso. Le rarità del programma saranno intervallate da letture. Ma qui, su genio e dintorni, Lombroso appare piuttosto un romantico, convinto che il genio crei in preda a un raptus divino pericolosamente vicino alla pazzia. Dunque, sarebbe contraddistinto da «un’estrema esagerazione di quei due stadî alterni di eretismo e di atonia, di estro e di esaurimento, che noi vedemmo manifestarsi fisiologicamente in pressoché tutti i grandi intelletti», come scrive appunto in Genio e follia: «Un genio ispira a Cardano le opere, a Tartini la sonata, a Maometto le pagine del Corano /. Palestrina, nel comporre, fantasticava di porre in iscritto i canti di un invisibile angelo» (interessante e attuale, sia detto en passant, l’accenno a Maometto). Lombroso cita Flaubert («L’artiste, selon moi, est une monstruosité») e Balzac («Le génie est une orrible maladie»). E nel 1894, sulla Rivista Musicale Italiana, presenta un vero sondaggio su trenta «dilettanti», chiedendo loro che risultati, fisici e psichici, produca la musica, come la ricordino, a che colori l’associno e così via.
Sui compositori, invece, le valutazioni sono simili a quelle di qualsiasi signora mia: «Wagner e Beethoven danno un godimento pari per intensità; ma Wagner dà un godimento agitato, e Beethoven, invece, grave, calmo». Mentre «da Heine al più umile dilettante, tutti sono colpiti da quella specie di gaio sorriso che c’è in Rossini anche nei punti più drammatici»: a scusante di Lombroso, si potrebbe aggiungere che ai suoi tempi il Rossini «serio» era sconosciuto. Sai che risate, all’Ermione o al Maometto II...
Naturalmente, il musicista più discusso è Wagner, sempre Wagner, fortissimamente Wagner. La musica dell’avvenire, la dissoluzione delle forme, l’armonia portata fino ai confini della sua disgregazione appassionavano Lombroso come tutti i suoi contemporanei. Verdi, ad esempio, non aveva dubbi: «È matto!», sentenziò sullo spartito del Lohengrin. Ma, meglio e prima, aveva capito tutto il solito Baudelaire: «Wagner est une névrose». Per conferma, chiedere a Lekeu.

“La Stampa”, 3 aprile 2008

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