La società attuale
fondata sul consumo e sullo spettacolo rifiuta (e disprezza) la
vecchiaia. Non è sempre stato così. Nel mondo classico la vecchiaia
era accettata come il naturale coronamento della vita. Invecchiare
non era facile neppure allora, anzi probabilmente lo era molto di
più, ma era considerato un dato naturale e gli anziani, in quanto
saggi, una risorsa per la comunità. Lo spettacolo grottesco dei
talkshow televisivi zeppi di vecchi travestiti da giovani invita
alla riflessione e a recuperare una visione naturale della vecchiaia.
Un libro da poco in libreria offre spunti interessanti di
meditazione.
Stefano Folli
Guida per riprendere
possesso della propria (vera) età
C’è un tale, non in
Italia, che ha chiesto allo Stato di modificare la sua età
anagrafica: non 69 anni, come dicono i documenti, bensì 45, quelli
che i medici considerano la sua età biologica. È convinto di averne
diritto, al pari di coloro che cambiano sesso e pretendono di essere
registrati secondo il nuovo genere. Un caso limite, certo, ma
indicativo del paradosso dell’età ai giorni nostri: l’idea che
la giovinezza sia una stagione da prolungare quasi all’infinito,
rimuovendo tutti i segni esteriori ma anche interiori tipici
dell’anziano.
Fino ad arrivare alla
grande rimozione, quella che riguarda la morte. Questo è lo spirito
dei tempi, ma qualcuno va controcorrente e propone un viaggio in se
stessi e verso se stessi. Propone cioè non la rimozione bensì la
pacificazione. Accettarsi fino in fondo; accogliere i mutamenti
fisici e non solo; ammettere che un certo stile di vita non può
essere più replicato, anche e forse soprattutto negli aspetti
competitivi e frenetici, legati al successo pubblico.
Assaporare fino in fondo,
in definitiva, i benefici della nuova condizione. E persino i piaceri
inediti che ne derivano. L’autore di questa rivoluzione culturale
in nome dell’urgenza di riprendersi la vita è Antonio Polito, noto
giornalista e vicedirettore del Corriere della Sera.
A lui si deve un saggio
brillante e profondo sulla condizione umana e psicologica di chi è
entrato nel “quarto quarto” della vita attiva ( Prove tecniche di
resurrezione. Come riprendersi la propria vita, Marsilio). E se
consideriamo che ogni “quarto” vale vent’anni, è chiaro che
Polito parla a coloro che hanno compiuto sessant’anni e si
apprestano a compiere il viaggio non breve, ma nemmeno lunghissimo,
verso gli ottanta. Non è un libro intimista e malinconico, al
contrario è un richiamo forte e dinamico alla bellezza dello stare
al mondo.
Quindi la vita da riconquistare prima che sia troppo tardi. Una rinascita, in sostanza: una resurrezione che implica una discontinuità, la scoperta del proprio “io” più maturo, capace di cancellare le cose inutili del passato, anziché rimpiangerle.
Chi risorge dopo i 60 non
imita il se stesso di trent’anni prima, non rincorre le amicizie o
le relazioni che appartenevano all’altra esistenza. Viceversa
percorre i nuovi sentieri con lo spirito di chi ha fatto pulizia
nella propria anima e nel proprio universo affettivo a tutti i
livelli. Si sforza di conservare ciò che merita essere conservato e
rinuncia al resto. Senza preoccuparsi troppo di quanto notevole possa
essere tale rinuncia. E non ha paura di passare per reazionario se
intende salvaguardare qualcosa, qualche segno concreto del tempo che
fu: perché voler mantenere le radici è anch’esso un modo per
vivere serenamente il presente.
Si potrebbe forse dire
che Polito si riallaccia, adattandola ai tempi, alla tradizione
classica. Quando l’invecchiamento era accettato come sviluppo
inevitabile dell’esistenza (“l’unica alternativa alla vecchiaia
è morire giovani” diceva la nonna di chi scrive alla soglia dei
cento anni). Uno sviluppo da gestire con cura, ciò che probabilmente
un tempo era più facile perché gli anziani erano circondati da un
rispetto oggi perduto.
Come nessuno o quasi,
nell’era di Internet, attinge al patrimonio di esperienze e di
saggezza dell’anziano. Tutto ciò complica in qualche misura
l’obiettivo di riprendersi la vita, di scansionare quello che
davvero serve e diventare degli anziani pacificati, persino in grado
di rivendicare il diritto “alla ricerca della felicità”. Che non
è, si sottolinea opportunamente, il diritto alla felicità “tour
court”.
E Polito si dimostra
assai convincente quando intreccia la riflessione sulla condizione
umana con l’analisi dei tempi tormentati che viviamo. I “baby
boomers”, ossia i nati tra la fine degli anni Quaranta e i
primissimi Sessanta, sono coloro che hanno vissuto la fine di tutte
le utopie. Prima — per chi ci ha creduto — la fine dell’illusione
comunista, poi l’altra illusione: che la caduta del muro di Berlino
potesse inaugurare l’era del progresso liberal-democratico
infinito. E invece ci troviamo con la crisi della globalizzazione, i
populismi trionfanti, vecchie e nuove paure che si riaffacciano.
Essere anziani e saggi non è mai semplice, ma oggi è necessario più che mai.
La Repubblica – 15
novembre 2018
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