27 novembre 2018

SAPER INVECCHIARE





La società attuale fondata sul consumo e sullo spettacolo rifiuta (e disprezza) la vecchiaia. Non è sempre stato così. Nel mondo classico la vecchiaia era accettata come il naturale coronamento della vita. Invecchiare non era facile neppure allora, anzi probabilmente lo era molto di più, ma era considerato un dato naturale e gli anziani, in quanto saggi, una risorsa per la comunità. Lo spettacolo grottesco dei talkshow televisivi zeppi di vecchi travestiti da giovani invita alla riflessione e a recuperare una visione naturale della vecchiaia. Un libro da poco in libreria offre spunti interessanti di meditazione.
Stefano Folli
Guida per riprendere possesso della propria (vera) età
C’è un tale, non in Italia, che ha chiesto allo Stato di modificare la sua età anagrafica: non 69 anni, come dicono i documenti, bensì 45, quelli che i medici considerano la sua età biologica. È convinto di averne diritto, al pari di coloro che cambiano sesso e pretendono di essere registrati secondo il nuovo genere. Un caso limite, certo, ma indicativo del paradosso dell’età ai giorni nostri: l’idea che la giovinezza sia una stagione da prolungare quasi all’infinito, rimuovendo tutti i segni esteriori ma anche interiori tipici dell’anziano.
Fino ad arrivare alla grande rimozione, quella che riguarda la morte. Questo è lo spirito dei tempi, ma qualcuno va controcorrente e propone un viaggio in se stessi e verso se stessi. Propone cioè non la rimozione bensì la pacificazione. Accettarsi fino in fondo; accogliere i mutamenti fisici e non solo; ammettere che un certo stile di vita non può essere più replicato, anche e forse soprattutto negli aspetti competitivi e frenetici, legati al successo pubblico.
Assaporare fino in fondo, in definitiva, i benefici della nuova condizione. E persino i piaceri inediti che ne derivano. L’autore di questa rivoluzione culturale in nome dell’urgenza di riprendersi la vita è Antonio Polito, noto giornalista e vicedirettore del Corriere della Sera.
A lui si deve un saggio brillante e profondo sulla condizione umana e psicologica di chi è entrato nel “quarto quarto” della vita attiva ( Prove tecniche di resurrezione. Come riprendersi la propria vita, Marsilio). E se consideriamo che ogni “quarto” vale vent’anni, è chiaro che Polito parla a coloro che hanno compiuto sessant’anni e si apprestano a compiere il viaggio non breve, ma nemmeno lunghissimo, verso gli ottanta. Non è un libro intimista e malinconico, al contrario è un richiamo forte e dinamico alla bellezza dello stare al mondo.

Quindi la vita da riconquistare prima che sia troppo tardi. Una rinascita, in sostanza: una resurrezione che implica una discontinuità, la scoperta del proprio “io” più maturo, capace di cancellare le cose inutili del passato, anziché rimpiangerle.
Chi risorge dopo i 60 non imita il se stesso di trent’anni prima, non rincorre le amicizie o le relazioni che appartenevano all’altra esistenza. Viceversa percorre i nuovi sentieri con lo spirito di chi ha fatto pulizia nella propria anima e nel proprio universo affettivo a tutti i livelli. Si sforza di conservare ciò che merita essere conservato e rinuncia al resto. Senza preoccuparsi troppo di quanto notevole possa essere tale rinuncia. E non ha paura di passare per reazionario se intende salvaguardare qualcosa, qualche segno concreto del tempo che fu: perché voler mantenere le radici è anch’esso un modo per vivere serenamente il presente.
Si potrebbe forse dire che Polito si riallaccia, adattandola ai tempi, alla tradizione classica. Quando l’invecchiamento era accettato come sviluppo inevitabile dell’esistenza (“l’unica alternativa alla vecchiaia è morire giovani” diceva la nonna di chi scrive alla soglia dei cento anni). Uno sviluppo da gestire con cura, ciò che probabilmente un tempo era più facile perché gli anziani erano circondati da un rispetto oggi perduto.
Come nessuno o quasi, nell’era di Internet, attinge al patrimonio di esperienze e di saggezza dell’anziano. Tutto ciò complica in qualche misura l’obiettivo di riprendersi la vita, di scansionare quello che davvero serve e diventare degli anziani pacificati, persino in grado di rivendicare il diritto “alla ricerca della felicità”. Che non è, si sottolinea opportunamente, il diritto alla felicità “tour court”.
E Polito si dimostra assai convincente quando intreccia la riflessione sulla condizione umana con l’analisi dei tempi tormentati che viviamo. I “baby boomers”, ossia i nati tra la fine degli anni Quaranta e i primissimi Sessanta, sono coloro che hanno vissuto la fine di tutte le utopie. Prima — per chi ci ha creduto — la fine dell’illusione comunista, poi l’altra illusione: che la caduta del muro di Berlino potesse inaugurare l’era del progresso liberal-democratico infinito. E invece ci troviamo con la crisi della globalizzazione, i populismi trionfanti, vecchie e nuove paure che si riaffacciano.

Essere anziani e saggi non è mai semplice, ma oggi è necessario più che mai.
La Repubblica – 15 novembre 2018

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