08 novembre 2018

MARX HA AMATO I CLASSICI (Dante e Shakespeare, in testa)



Diversamente da molti degli epigoni, Marx nutrì sempre un grande interesse per la letteratura. Le opere degli scrittori prediletti (Dante per primo) si riflettono nelle sue pagine e gli offrono personaggi, rappresentazioni, analogie, metafore, luoghi, linguaggi che entrano in maniera organica nelle sue analisi economiche, storiche, politiche, filosofiche.


Donatello Santarone

Un umanesimo integrale


La tensione classica verso il pieno sviluppo della persona umana, presente in Goethe e Schiller, si scontra con la società classista del capitale. Per questo Marx si applica allo studio dell’economia borghese e alla critica della sua presunta naturalità ed eternità. «Tutta questa merda», scriverà ad Engels a proposito dell’economia politica. Comprende lucidamente che solo il superamento del regime della proprietà privata borghese, che determina la miseria materiale e spirituale dei lavoratori, potrà consentire a questi ultimi di riappropriarsi della grande tradizione classica. La lotta per la riduzione dell’orario di lavoro doveva servire proprio a questo, a restituire ai produttori associati tempo e mente per fruire dei più alti prodotti dello spirito.

L’alta considerazione che Marx aveva nei confronti della letteratura traspare in tanti luoghi della sua produzione. Le opere degli scrittori prediletti si depositano nelle sue pagine e gli offrono tipi, rappresentazioni, analogie, metafore, luoghi, linguaggi che entrano in maniera organica nelle sue analisi economiche, storiche, politiche, filosofiche.

«Marx – ha scritto Franz Mehring nella sua biografia – trovava ristoro e sollievo nella letteratura. Come il suo capolavoro scientifico rispecchia tutta un’epoca, così anche i suoi autori preferiti erano quei grandi poeti mondiali delle cui creazioni si può dire la stessa cosa: da Eschilo e Omero fino a Dante, Shakespeare, Cervantes e Goethe. Ogni anno leggeva Eschilo nel testo originale; restò sempre fedele ai suoi antichi greci e avrebbe voluto cacciare dal tempio con la verga quelle meschine anime di mercanti che avrebbero voluto togliere agli operai l’interesse per la cultura antica». Le parole di Mehring sono la migliore spiegazione del carattere umanistico della personalità di Marx.

Nel Manifesto del partito comunista troviamo ad esempio, in un famoso e profetico passo sulla globalizzazione del capitale, un esplicito riferimento ad uno dei poeti più amati da Marx, cioè Goethe, e alla sua nozione di letteratura mondiale. «Mi convinco sempre di più – scrive l’autore del Faust – che la poesia è un patrimonio comune dell’umanità e si manifesta, ovunque e in tutti i tempi, in centinaia e centinaia di individui Oggigiorno letteratura nazionale non vuol dir molto, sta arrivando il tempo della letteratura mondiale e ciascuno di noi deve contribuire al suo rapido avvento».

Queste parole di Goethe del 1827, nel loro innovativo cosmopolitismo interculturale affermano l’ideale della poesia-mondo. Goethe, infatti, ha sempre avuto una costante frequentazione, oltre che con le letterature francese, inglese e italiana (ricordiamo la sua grande ammirazione per Tasso e Manzoni), anche per le letterature persiana, araba e cinese. Il Divano occidentale-orientale, composto di poesie ispirate a Hafez, un poeta persiano sufi del XIV secolo, ne è l’emblema. Non è un caso se oggi l’Orchestra giovanile di israeliani, palestinesi e musicisti dei paesi arabi voluta da Edward Said e Daniel Barenboim prende il nome dal libro di Goethe.

Per dare carne e sangue alle sue analisi Marx ha bisogno della parola letteraria, la quale conferisce ai suoi scritti una forma preziosa e colta, una solidità estetica di tipo classico. Ne era così convinto che decide di terminare la Prefazione alla prima edizione tedesca del Capitale con un verso di Dante, un verso che era «la sua massima favorita»: «Sarà per me benvenuto – scrive Marx – ogni giudizio di critica scientifica. Per quanto riguarda i pregiudizi della cosiddetta opinione pubblica, alla quale non ho fatto mai concessioni, per me vale sempre il motto del grande fiorentino: Segui il tuo corso, e lascia dir le genti!». Dove Marx in verità modifica l’originale di Dante, il quale, nel quinto canto del Purgatorio, scrive: «Vien dietro a me, e lascia dir le genti».

Sentiva un’affinità profonda con l’autore della Divina Commedia, in particolare per la comune e ingiusta condizione di esuli.

Come per tutti gli scrittori a lui cari, anche nei confronti di Dante l’atteggiamento di Marx non è quello del borioso accademico, ma quello di chi «usa» i classici per leggere il presente e cercare in essi una risposta alle domande del mondo contemporaneo.

«Quando ci si pone la questione – ha detto il poeta e saggista Franco Fortini – se Dante conserva o no il suo mondo per noi dobbiamo chiederci l’inverso: in che misura il nostro mondo può essere, per dir così, dantizzato in qualche modo».

Un esempio di questa «dantizzazione» è nella dura polemica che il filosofo tedesco ingaggia, in un testo del 1853, contro il giornale conservatore Times che in uno dei suoi articoli se la prende con i rifugiati in Inghilterra accusati di essere «individui feroci», «rotti a ogni delitto». Non dimentichiamo che Marx era uno di questi rifugiati a cui l’Inghilterra non concesse mai la cittadinanza dell’Impero britannico, costringendolo per tutta la vita ad una condizione di apolide.

In questo articolo contro il Times, esempio della brillante e caustica polemica giornalistica di Marx, un posto di prim’ordine spetta proprio a Dante esiliato da Firenze ma fortunatamente risparmiato da un attacco del Times! 

il manifesto – 17 ottobre 2018

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