E' morto a 77 anni Bernardo Bertolucci. Ha attraversato la storia del cinema mondiale con capolavori come 'Novecento' e 'Ultimo tango'. Ma a noi piace soprattutto il bianco e nero pulitissimo e rigoroso dei suoi primi film da "Prima della rivoluzione" a "La strategia del ragno".
Di seguito lo ricordiamo con un lungo pezzo di Irene Bignardi, che passa in rassegna l'intera produzione del regista, ed uno stringato di Paolo Mereghetti concentrato sul suo celebre Tango.
Irene Bignardi
È morto Bernardo
Bertolucci, l'ultimo grande maestro del Novecento
Se non fosse davvero
esistito, il personaggio Bernardo Bertolucci – poeta,
documentarista, regista, produttore, polemista, autore per eccellenza
del cinema italiano, star del cinema internazionale - prima o poi,
questo personaggio più grande che natura l’avrebbe inventato
qualcuno, per raccontare, in maniera romanzesca ed esemplare, quello
che ha attraversato il cinema nella seconda metà del secolo scorso,
dallo sperimentalismo al cinema d’autore, dalla cinefilia alla
grandeur, dai low budget alle megaproduzioni, dal provincialismo alla
visione internazionale. Il regista di capolavori come Novecento,
Ultimo tango a Parigi, Il té nel deserto, Piccolo Buddha e L'ultimo
imperatore, il film da nove Oscar, è morto all'età di 77 anni a
Roma dopo una lunga malattia.
Il figlio del poeta e la
natia Parma
Bernardo Bertolucci, in
queste avventure e capovolgimenti era sempre lì, da protagonista o
da testimone del secolo. Così italiano e così internazionale. Così
sofisticato e così nazional-popolare. Così letterario e così
visuale. E non si può non restare stupefatti di fronte a una vicenda
umana e a una carriera cinematografica che si sono aperte
nell'Appennino di Casarola di Parma, la casa di famiglia dei
Bertolucci, e hanno percorso le strade del mondo per viaggiare
sempre, però, nello Zeitgeist, nello spirito del tempo, quello
spirito che Bernardo, con antenne da vero artista, ha saputo
identificare, interpretare, raccontare. Della favola, a tratti amara,
sempre avventurosa che è stata la vita di Bernardo Bertolucci,
ricordiamo l’inizio veramente da favola.
Quando il bel ragazzo
ventenne, figlio di un grande poeta come Attilio Bertolucci,
amico di Pier Paolo Pasolini, amato da Moravia, vicino a Elsa
Morante, a Cesare Garboli, a Enzo Siciliano, a Dacia Maraini, vince a
vent’anni il Premio Viareggio per la poesia con Il cerca del
mistero. Da questo laboratorio culturale – in cui a tempo debito si
muoveranno anche la sua bella moglie inglese Clare People e il
fratello più giovane di Bernardo, Giuseppe -, dalla tradizione
letteraria e musicale della sua natia Parma, discendono, oltre
all’amore di Bernardo Bertolucci per i testi letterari, il gusto
per il melodramma, l’amore per le scene madri, l’approccio mitico
e popolare, la tendenza postmoderna a costruire con materiali
preesistenti – quelli che, direbbe Violeta Parra, formano il suo
canto. E quindi, su una filmografia di sedici film, a realizzare ben
cinque film di origine schiettamente letteraria pur restando un
autore straordinariamente visivo.
L'incontro con PPP e la
nascita della Nouvelle Vague italiana
È un percorso
cinematografico affascinante. Bernardo lavora come assistente di
Pasolini, gira documentari, affronta il primo film, La commare
secca, su un'idea di PPP e con atmosfere tipicamente pasoliane. Poi
un secondo, Prima della rivoluzione, nel 1964, una riscrittura a
chiave di La Certosa di Parma, che diventa il suo manifesto
cinematografico, annuncia il suo lato cinefilo ("Non si può
vivere senza Rossellini" è la citazione imperdibile) e lo
promuove autore e cantore della borghesia di fronte ai cambiamenti
drastici che segnano gli anni ’60. E se inizialmente il film viene
accolto con freddezza dal pubblico e dalla critica italiana (ma, a
Venezia, c’è chi gli consiglia di tornare a fare il poeta), e
giusto un po’ meglio dai francesi, in compenso Pauline Kael, la dea
della critica americana, assieme a un gruppo di "miracolosamente
talentuosi ragazzi francesi" celebra anche Bernardo Bertolucci e
il suo film, "stravagantemente bello per i suoi eccessi",
dove si racconta la bellezza della vita "prima" della
rivoluzione. Alberto Moravia, in una sua accesa recensione,
equivocherà e parlerà di "dopo" la rivoluzione,
reinterpretando il film secondo l'equivoco. Poco importa. Quello che
conta è che dalla cinefilia e dalla poesia è nata una stella, a cui
si affiancherà , un anno dopo, a costituire il nucleo della Nouvelle
Vague italiana, Marco Bellocchio con l'eversivo I pugni in
tasca.
Tra il '68 e Ultimo Tango
Nel fatidico '68
Bertolucci gira un film tipicamente sessantottino, Partner. Poi
nel 1970, per la Rai, quello che all’epoca colpì tutti come un
piccolo, sofisticato gioiello, Strategia del ragno, ispirato a
Borges. Per darci nel 1970, ancora, quello che resta forse il suo
film più compiuto, maturo, personale, Il conformista, che
trasforma ed è al tempo stesso fedele al testo di Moravia. Un film
che se non riuscì all'epoca a farsi amare dal pubblico italiano, di
nuovo venne amato dalla Kael, che lo definì "un'esperienza
sontuosa, emotivamente piena"- e che a tutt’oggi di Bertolucci
resta il film più riuscito, concluso, coerente.
Ma il fenomeno
internazionale B.B. esplode con Ultimo tango a Parigi, e la
complessa vicenda giudiziaria/ censoria che seguì, e che rende
difficile giudicare il film fuori dal suo contesto di scandalo. Uno
scandalo paragonato dalla solita Kael allo shock culturale prodotto
da Le sacre du printemps. E il fatto che Bernardo Bertolucci
ogni tanto sia ritornato sulle sue responsabilità (o meglio sarebbe
dire sulla sua irresponsabilità) nell’imporre scene e
atmosfere brutali a Maria Schneider, non fa che rinnovare negli anni
lo shock prodotto a suo tempo e a rendere più difficile un giudizio.
Che all’epoca a taluni è sembrato semplice: intense le scene in
interni, con un superbo Marlon Brando invecchiato e dolente,
imbarazzanti le parti con Schneider e Leaud, appassionante (nonché
discutibile) il tema della trasgressione e del sesso come unico
valore.
I nove Oscar de 'L'ultimo
imperatore'
La storia delle vicende
giudiziarie di Ultimo tango è un romanzo in se stesso, un
po' grottesco un po' horror, tra condanne alla perdita dei diritti
civili e roghi medievali di pellicola. Ma è la storia che ha creato
la fama internazionale di B. B. e che gli consente nel 1976, sempre
sensibile agli umori del tempo e ad anni di cultura di sinistra
dominante, di girare Novecento, un’epica grandiosa e
“hollywoodiana”, piena di grandi nomi del cinema nostro e
internazionale, che racconta cinquant’anni di storia padana, a
tratti potente e commovente, a tratti retorica e manieristica ,
sempre audace per le dimensioni e le ambizioni.
Dopo la ricezione
tiepida, nel 1979, di La luna, che racconta l’ambiguo e
difficile rapporto , ai confini dell’incesto , di una madre e di
suo figlio adolescente, dopo La tragedia di un uomo ridicolo (
1981), una storia di avidità provinciale e rapimenti, che conquista
a Tognazzi un premio a Cannes ma ha un risposta modesta dalle sale,
nel 1987 Bertolucci conquista a sorpresa nove Oscar con un film
veramente epocale, un trionfo di diplomazia e creatività, di gusto
scenografico italiano e di abilità narrativa, L'ultimo
imperatore, un grande successo a livello mondiale che apre le porte
del mondo cinese e consacra Bernardo Bertolucci come un grande
regista internazionale.
L'ultimo Bertolucci dal
Té nel deserto a Io e te
Tornato in Italia dopo un
lungo periodo a Londra, sua seconda patria, Bertolucci, con Io ballo
da sola, da un racconto di Susan Minot, esalta la bellezza del
Chiantishire e il piacere di vivere "dopo" la rivoluzione.
Con Il té nel deserto (1990) riscopre l'opera di Paul
Bowles e il mondo tragico ed elegante degli “expat”. Quindi si
muove, nel 1993, verso il Nepal, per raccontare la storia di Piccolo
Buddha e aprire alle culture orientali. Nel 1996, tornato a Roma,
dirige tutto in interni la storia di un'ossessione
amorosa, L’assedio.
Mentre nel 2003 ritorna
all’amato, mitico '68 con la storia di tre ragazzi che intrecciano
scoperte erotiche, politica e cinefilia in The Dreamers, un film
di scoperto voyeurismo e di scoperta nostalgia che per molti versi
riconduce alle atmofere di Ultimo tango. Ma la malattia che da
anni lo assedia, sta avendo il sopravvento. Bertolucci non riesce a
"montare" il suo Gesualdo da Venosa, un film a cui pensa da
tempo. Gli restano le storie intime e private, e gira, praticamente
sotto casa, un intenso incontro scontro tra fratello e sorella in Io
e te ( 2012), dal romanzo di Niccolò Ammaniti. È la fine della
bella favola. Ma Bernardo Bertolucci, il ragazzo poeta, il regista,
la star, il premio Oscar, se ne va lasciando un segno che resta.
https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2018/11/26/news/e_morto_bernardo_bertolucci-212656049/?refresh_ce
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L'ultimo tango di Bertolucci
Per ricordare Bernardo Bertolucci, che se n'è andato, recupero la
voce – stringata e a mio avviso perfetta - su una sua controversa opera dal Dizionario dei film 1996, 1995, Baldini &
Castoldi, l'ormai celebre Mereghetti. (S.L.L.)
Ultimo tango a
Parigi (Italia/ Francia 1972, col. 126') Bernardo Bertolucci.
Con Marlon Brando, Maria Schneider, Jean-Pierre Léaud, Massimo
Girotti, Maria Michi, Darling Legitirnus, Giovanna Galletti, Veronica
Lazar.
♦ In un appartamento
vuoto di Passy, a Parigi, si incontrano casualmente due storie e due
corpi: Paul (Brando) è un americano sradicato, dalla vita intensa e
drammatica, mentre Jeanne (Schneider) è una ragazza della borghesia
parigina. L’accordo per un rapporto soltanto fisico, che esclude
persino la conoscenza dei rispettivi nomi, viene rotto dall’uomo
che, con una tragica illusione, vorrebbe cominciare una nuova vita.
Film scandalo degli anni Settanta, sequestrato per quelle proverbiali
prestazioni erotiche di Brando c della Schneider con il burro che in
tempi di hardcore di massa non sconvolgono più nessuno.
Ultimo tango a Parigi
(scritto da Bertolucci con
Franco Arcalli) è invecchiato bene, ancora capace di parlarci della
solitudine e della distanza fra i sessi nella nostra società:
certo, molte cose sono superflue e anche «false» - come il
personaggio di Léaud e certe strizzatine d’occhio a Bataille, a
Freud e al romanticismo maledetto o il risaputo legame tra eros e
thanatos - ma la «strana, infernale plasticità» di Brando, la luce
pastosa di Vittorio Storaro e la «musicale mobilità» della
macchina da presa di Bertolucci ne fanno un’opera indimenticabile.
Un classico la colonna sonora di Gato Barbieri.
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