08 novembre 2022

"CARICHI RESIDUALI" NEL PORTO DI CATANIA

 


Il respingimento collettivo

Fulvio Vassallo Paleologo
08 Novembre 2022

Non possiamo più stupirci, ormai, della disumanità delle scelte di respingimento che il governo cerca di nascondere dietro motivazioni umanitarie, lo sbarco delle persone più vulnerabili, che sono comunque atti doverosi di rispetto del Diritto internazionale e dei Regolamenti europei, di quelli in vigore, e non di quelli abrogati come il Regolamento 1524/2016/CE, impropriamente citato nella premessa del Decreto Piantedosi. Dietro il falso umanitarismo del governo si cela un respingimento collettivo illegale di persone considerate apertamente “carico residuale”

foto tratta dalla pagina fb di Lasciateci Entrare

1. Il governo italiano continua a ignorare gli obblighi di sbarco in un porto sicuro (POS – PLace of safety) dettati dal diritto internazionale a carico degli Stati costieri e cerca di aggirare la normativa europea ed interna, che conferma quegli obblighi. Piantedosi e Salvini minacciano anche i comandanti delle navi che si rifiuteranno di riportare in acque internazionali persone considerate come “carico residuale” e non obbediranno ad un decreto illegittimo, sia nelle premesse che fanno riferimento a Regolamenti europei ormai abrogati, che nel dispositivo, secondo il quale il comandante della nave, dopo la selezione dei naufraghi “vulnerabili”, dovrebbe uscire dal porto e ritornare in acque internazionali. Anche se nessuno Stato, incluso quello di bandiera, ha dato disponibilità per garantire un porto di sbarco sicuro. dopo gli “sbarchi selettivi” effettuati nel porto di Catania.

2. Nei confronti della Geo Barents di MSF, poco prima del suo ingresso nel porto di Catania, è stato notificato un decreto fotocopiato su quello già notificato a Humanity 1, firmato anche dal ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, insieme ai colleghi di Interno, Matteo Piantedosi, e Difesa, Guido Crosetto, Al comandante della Geo Barents, si vieta “di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti Autorità nazionali”“A tutte le persone che restano sulla imbarcazione – si fa sapere – sarà comunque assicurata l’assistenza occorrente per l’uscita dalle acque territoriali”. Un decreto che si è dimostato già inapplicabile perchè le “autorità nazionali” degli Stati di bandiera delle navi delle ONG non hanno segnalato le vulnerabilità dei naufraghi che invece sono state accertate da medici italiani dell’USMAF (sanità marittima) e della CRI.

Intanto le navi umanitarie Rise Above e Ocean Viking di SOS Mediterraneé rimangono al largo delle coste della Sicilia orientale, al limite delle acque teritoriali, con il loro carico di naufraghi stremati da un tempo di attesa che pesa come un ricatto del governo italiano, che cerca di aggirare il Regoamento Dublino III. Ma queste prassi e le posizioni politiche che esprimono, rischiano soltanto di produrre un irrigidimento dei partner europei.

3. E’ stato comunque sconfitto il tentativo del ministro dell’interno che appena pochi giorni fa dichiarava che avrebbe concesso un porto di sbarco sicuro “solo dopo che i migranti a bordo chiederanno asilo agli stati di bandiera delle imbarcazioni”. Una condizione “impossibile” che gli Stati di bandiera delle navi soccorritrici hanno respinto con grande nettezza. Persino la Francia che si è dichiarata disponibile ad accogliere una parte dei naufraghi ha affermato l’esigenza che lo sbarco di tutti loro avvenisse nel porto sicuro pià vicino, dunque in Italia. Ma il governo italiano ha preferito raccogliere il plauso di Orban per questa nuova prassi di “difesa dei confini esterni dell’Unione Europea”.

Secondo Crosetto, che difende la linea decisa da Piantedosi e da Salvini, si starebbe rispettando “il trattato di Dublino. Se sei su una nave che batte bandiera tedesca, sei in Germania. Non capisco la meraviglia”. Qui si arriva davvero al travisamento del diritto dell’Unione Europea.

Non ci meravigliamo affatto della disumanità delle scelte di respingimento che il governo cerca di nascondere dietro motivazioni umanitarie, lo sbarco delle persone più vulnerabili, che sono comunque atti doverosi di rispetto del Diritto internazionale e dei Regolamenti europei, di quelli in vigore, e non di quelli abrogati come il Regolamento 1524/2016/CE, impropriamente citato nella premessa del Decreto Piantedosi. Dietro il falso umanitarismo del governo si cela l’elusione del diritto euro-unitario.

Come ricorda Gianfranco Schiavone, “Il diritto dell’Unione Europea in materia di accesso alla procedura di asilo è disciplinato in primo luogo dalla Direttiva 2013/32/Ue, detta “direttiva procedure”; e “si applica a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri” (articolo 3 paragrafo 1 della Direttiva 2013/32/UE sulle procedure). La domanda di protezione internazionale non può essere impedita a chiunque giunge in frontiera e non può essere rivolta al comandante della nave, in quanto è “una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide” (art. 2 lettera b). L’intero Regolamento Dublino III, per come è stato applicato nel corso degli anni, si basa sulla competenza primaria dello Stato di sbarco, considerato come paese di primo ingresso, per ricevere le richieste di protezione internazionale. Per colpire le attivita’ di ricerca e salvataggio delle Ong non si possono introdurre regole tanto discrezionali e palesenente discriminatorie nei confronti di potenziali richiedenti asilo, selezionati sulla base delle apparenti condizioni fisiche, o peggio secondo lo Stato di provenienza, ma solo nel caso di soccorsi operati dalle ONG che si vogliono colpire.

4. In ogni caso le Linee guida delle Nazioni Unite (UNHCR) sui soccorsi in mare dimostrano la infondatezza della più recente tesi del Viminale che per aggirare il Regolamento Dublino III , ha proposto di fare presentare le richieste di asilo a bordo delle navi, come se i naufraghi fossero già nel territorio dello Stato di bandiera della stessa nave. Naturalmente tutto questo varrebbe solo per le navi delle Ong. Cosi lo Stato italiano si rende responsabile, oltre che di palesi discriminazioni, di ritardi ed omissioni che per i naufraghi soccorsi da oltre una settimana a bordo dalle navi umanitarie hanno comportato sofferenze aggravate dalle condizioni meteo, dopo gli orrori subiti in Libia. Non si può neppure affermare che le stesse Line guida UNHCR non sarebbero vincolanti per il governo italiano, che dunque potrebbe considerare come paese di primo ingresso lo Stato di bandiera della nave soccorritrice, perchè quelle Linee Guida fanno riferimento alle fonti normative internazionali, anche nella diverse applicazioni giurisprudenziali, che non possono essere derogate da decisioni di natura politica o amministrativa dei ministri, come divieti di ingresso nelle acque territoriali, oppure ordini di lasciare il porto sicuro senza avere prima sbarcato tutti i naufraghi. Diverse decisioni della giurisprudenza italiana hanno fatto riferimento alle Linee guida UNHCR che non possono essere smentite da decisioni discrezionali a forte contenuto simbolico e propagandistico adottate da singoli ministri. Nel pocesso Rackete anche dalla Procura si era fatto riferimento a importanti documenti internazionali, anche se privi di una valenza normativa diretta.

Si erano così richiamate le Raccomandazioni emanate dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa nel 2019 che “sebbene il coordinamento delle operazioni spetti agli RCC [ossia i Rescue Coordination Centers facenti capo agli Stati] anche i capitani delle navi hanno un ruolo cruciale durante le fasi decisionali dell’intera operazione di salvataggio: sono loro, infatti, ad avere una visione d’insieme della situazione a bordo, incluse le condizioni delle persone soccorse, nonché dei fattori esterni, quali in particolare le condizioni metereologiche e la capacità dell’imbarcazione di portare a termine l’operazione in sicurezza. Essi godono pertanto di un margine di discrezionalità nel prendere qualunque decisione che, secondo il loro apprezzamento professionale, risulta necessaria alla tutela della vita mana. Le stesse linee guida dell’IMO  [ossia l’International Maritime Organisation, n.d.a.]  prescrivono al comandante di sorvegliare affinché le persone non vengano sbarcate in luoghi dove la loro incolumità possa essere nuovamente minacciata. È per questo che si raccomanda agli Stati non solo di istruire i comandanti al fine di consentire il raggiungimento di un porto sicuro (…) ma anche di rispettare la loro eventuale decisione di non condurre i migranti in Libia o in ogni altro luogo insicuro”. Esattamente l’opposto di quello che, sulla base degli accordi stipulati con il governo provvisorio di Tripoli, pretende dalle ONG l’attuale governo italiano.

5. Dietro le contraddizioni del decreto Piantedosi che limita la sosta nei porti italiani allo sbarco delle persone “vulnerabili” traspare l’inrtento di riprendere la criminalizzazione dei soccorsi umanitari, per bloccare le navi delle ONG sotto un cumulo di notizie di reato formate dagli organi di polizia. Secondo il ministro Tajani, “gli Stati devono farsi carico delle navi che portano la loro bandiera”, che non sarebbe un problema di singoli Paesi, ma di “rispetto delle regole generali”“Siamo d’accordo con il ministro Piantedosi: la priorità è accogliere i fragili, i malati, le donne, i bambini, le donne incinte”. Ma la responsabilità è dei comandanti. Non possiamo agire sugli Stati, ma su di loro sì. Con l’intervento della magistratura laddove si configurasse un reato in acque italiane”. Ecco pronta la minaccia di azione penale contro i comandanti delle navi umanitarie che non lasciano il porto dove hanno sbarcato i migranti vulnerabili, portando di nuovo in acque internazionali il “carico residuo” di naufraghi che non sono stati “selezionati” per lo sbarco. La minaccia di azioni penali traspare fin dalle prime dichiarazioni del governo che rimandano a tesi accusatorie sconfitte nei Tribunali. Sotto questo profilo dal Viminale era arrivato un avvertimento preciso quando si era contestato che “le operazioni della norvegese Ocean Viking e della tedesca Sos Humanity erano state svolte “in piena autonomia e in modo sistematico, senza ricevere indicazioni dall’Autorità statale responsabile di quell’area Sar, Libia e Malta, che è stata informata solo a operazioni avvenute”, e anche l’Italia sarebbe stata informata “solo a operazioni effettuate“. Dichiarazioni smentite dalla documentazione e dalle testimonianze provenienti dalle ONG, che ad ogni evento SAR avvertono tempestivamente tutte le autorità statali competenti per interventi di salvataggio, che poi di fatto vengono delegati alle navi civili, se non si concludono invece con respingimenti per procura, con la regia di Frontexi e con l’intervento dei guardiacoste libici. Nel dibattito politico, che si sforza di capovolgere la stessa portata dei fatti ed il ruolo gerarchico delle norme, si ritrovano argomentazioni già utilizzate dalle forze di polizia ai tempi del governo giallo-verde, per sollecitare l’intervento della magistratura penale, che poi ha archiviato, in quasi tutti i casi, i procedimenti avviati a carico di comandanti e capo-missione delle ONG. I comandanti delle navi non possono comunque essere esecutori e dunque responsabili di misure di respingimento che competono esclusivamente alla giurisdizione delle autorità statali nel rispetto delle forme e dei presupposti di legge.

6- Il comandante di Humanity1 nella giornata di domenica 6 novembre ha quindi deciso di non uscire dal porto di Catania senza avere sbarcato tutti i naufraghi. “Intorno alle 11,30 ci è stato chiesto di lasciare il porto di Catania con 35 sopravvissuti a bordo. Il capitano ha rifiutato questo ordine”, secondi quanto riferito dalla stessa ONG, “La legge marittima lo obbliga a portare in un luogo sicuro tutti coloro che sono stati salvati da un’emergenza in mare”. Si è appreso nella stessa giornata che il team di avvocati della ONG tedesca proporrà, nei confronti del governo italiano, un’ azione cautelare d’urgenza davanti al Tribunale amministrativo del Lazio Ed al momento, nei confronti delle autorità che impongono l’esecuzione di respingimenti collettivi di naufraghi trattenuti a bordo delle navi umanitarie, non sarebbero neppure da escludere esposti alla magistratura italiana, che sta indagando soltanto sui presunti scafisti che si potrebbero nascondere tra i naufraghi già sbarcati a terra.

L’intimazione a lasciare il porto, implicita nel decreto Piantedosi, non appena completata la selezione dei più vulnerabili, per “trasportare” in acque internazionali il “carico residuo” di persone, adesso reiterata nei confronti della Geo Barents di MSF, con una scadenza finale per le ore 12 di lunedì 7 novembre, appare in violazione del divieto di respingimenti collettivi, ribadito, oltre che dall’art.33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, dall’art.4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Il respingimento collettivo, vietato dalla Cedu e dalla Carta dei diritti fondamentali Ue (art.19), si può configurare anche quando le autorità dello Stato costiero, ingiungono al comandante della nave soccorritrice di uscire dal porto e di lasciare le acque territoriali, in modo che le persone rimaste a bordo della nave, che in porto si trovano sotto la giurisdizione dello Stato costiero, perdono oltre al diritto si accesso alla procedura per il riconoscimento di uno status di protezione, anche il diritto di impugnare il respingimento, senza la possibilità di in ricorso effettivo . In ogni caso in base alle norme sulle procedure Ue, e secondo il Regolamento Dublino 3, il comandante non e’ autorizzato a ricevere domande di asilo, soprattutto quando gli Stati di bandiera non manifestano alcuna disponibilità a prendere in considerazione le richieste di asilo provenienti dalla nave. Tutti i naufraghi che fanno ingresso in un porto di uno Stato costiero hanno diritto a non subire respingimenti collettivi, indipendentemente dalle loro condizioni di vulberabilità e dalla eventuale proposizione di una richiesta di asilo, che potranno presentare soltanto una volta giunti a terra.

Pezzo ripreso da:  https://comune-info.net/il-respingimento-collettivo/

Nessun commento:

Posta un commento