Il rifiuto della difesa armata
Laura Tussi“L’obbedienza non è più una virtù”
Lorenzo Milani
L’alternativa alla difesa armata è il servizio civile. Il problema politico è che il movimento per la pace dovrebbe agire perché effettivamente sia organizzato, oltre che per l’assistenza sociale, per la finalità principale indicata dalla legge frutto delle lotte pacifiste (a cominciare dalla storica lotta degli obiettori di coscienza che hanno pagato con il carcere la loro protesta).
L’obiezione fiscale alle spese militari
Negli Stati Uniti nel 1973, settanta mila famiglie si rifiutarono di finanziare la guerra in Vietnam e il vescovo di Seattle Raymond Hunthasen invitò all’obiezione contro la produzione di armi nucleari. In Italia il primo caso di obiezione fiscale alle spese militari è considerato quello di Maurizio Mansueti di Sarzana (La Spezia), nel 1971. Negli anni successivi sono vari gli obiettori che aprono la strada a questa concreta forma di protesta contro la guerra. La prima vera campagna nazionale promossa dal Mir, movimento nonviolento e Lega per il disarmo unilaterale elabora il documento da fare sottoscrivere dagli Obiettori:
“La spirale di violenze inasprite dalla corsa al riarmo, ad est come ad ovest, non potrà essere spezzata da impossibili e falsi equilibri politici. Il disarmo è possibile e possiamo cominciare da oggi solo se ognuno di noi saprà assumersi la responsabilità del proprio futuro praticando, se necessario, la via della disobbedienza civile, della non collaborazione, dell’obiezione di coscienza. Aldilà degli slogan, dei facili appelli alla pace, delle vane speranze di disarmo occorrono gesti concreti! Noi sottoscrittori esponenti del mondo religioso, politico, della cultura, venuti a conoscenza dell’iniziativa dei movimenti non violenti sull’obiezione fiscale e la restituzione dei congedi militari, proponiamo di non pagare quella parte di tasse 5,5% altrimenti destinate agli armamenti e chiediamo che vengano utilizzate per vere opere di pace”.
Quattrocento gli aderenti nel 1983 che diventano diecimila in occasione della guerra del Golfo del 1991: da scelta individuale e solitaria diventa un fenomeno rilevante, anche numericamente tanto da preoccupare non poco le autorità.
L’opzione fiscale
La pace non è semplice assenza di guerra, ripetono i movimenti nonviolenti, ma un percorso che si costruisce garantendo giustizia, luoghi per la ricomposizione dei conflitti e disarmo. In un momento in cui le armi sono tornate a parlare nel cuore dell’Europa, sarebbe di prioritaria importanza lanciare un segnale concreto di volontà di disarmo dal basso. Per questo è stata messa a punto la campagna “Sei per la pace, sei per mille” che chiede a tutti i contribuenti di versare il sei per mille della propria imposta Irpef a favore della protezione civile o altra istituzione pubblica che agisce nello spirito della difesa civile. Un gesto concreto per dichiarare che non vogliamo più finanziare la difesa armata, bensì vogliamo costruire un percorso di difesa popolare e non violenta, come chiede da tempo la Rete Pace e Disarmo. Per adesioni: peacelink.it/seipermille.
Il comitato Promotore della Campagna “Sei per la pace, Sei per mille” – di cui fanno parte, tra gli altri, Luigi Ciotti, Francuccio Gesualdi, Alex Zanotelli – sta valutando la migliore veste giuridica in cui inquadrare l’iniziativa.
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