22 novembre 2022

LA RAGAZZA DAGLI OCCHI D'ORO RACCONTATA DA PIETRO CITATI



«OGNI LIBRO CHE LEGGEVO ERA UNA FORMA DELL’INFINITO»: PIETRO CITATI, LA RAGAZZA DAGLI OCCHI D’ORO

Ci sono, passata la metà di La ragazza dagli occhi d’oro di Pietro Citati, due saggi che, così affiancati, sembrano essere legati non solo da una vicinanza tematica, ma anche suggerire al lettore un dispositivo ermeneutico per addentrarsi tra le pagine di questo libro, una delle tantissime chiavi per provare ad avvicinarsi alla scivolosa e profondissima capacità di Citati di leggere le opere di ogni tempo. Il primo di questi testi è dedicato a Giorgio Manganelli, conosciuto da Citati nell’ufficio di Livio Garzanti (un trafelato Manganelli che giunge di corsa nell’ufficio, «che fu, per noi, – aggiunge Citati – tanto delizioso quanto odiosissimo», portando con sé, imbarazzato e insicuro, il manoscritto di Hilarotragedia) e che, da quel momento, diventerà un amico fedele con cui mangiare uccelli allo spiedo o muoversi tra i luoghi più diversi di Roma. Nel ritratto generoso e commosso che Citati dedica a Manganelli sembra possibile individuare, tra le penombre dell’effigie manganelliana che ne emerge, un’immagine speculare di Citati che quando scrive che «Manganelli pretendeva di essere incompetente: perché, sosteneva, “lo scrittore è colui che è sommamente, eroicamente incompetente in letteratura. Come l’innamorato è colui che fra tutti gli uomini e le donne ha ottenuto la grazia della totale incompetenza a proposito di amore”» e che «Era onnivoro. Leggeva di tutto, con una passione che di rado ho conosciuto: cose note e ignote, rare e comuni» pare pensare anche a sé stesso, alla comunanza di un’amicizia letteraria che si sublimava nella stessa curiosità e capacità di scandagliare i segreti delle pagine.

Le parole su Manganelli quindi fanno pensare all’opera di Citati stesso, immortalata adesso da questo libro edito da Adelphi a pochi mesi dalla sua scomparsa, un volume che in otto sezioni si muove dall’antichità alle forme più intriganti del Novecento e del tempo presente passando dagli amati maestri dell’Ottocento (Goethe prima di tutto, di cui è straordinaria testimonianza il libro pubblicato da Adelphi, ma anche Balzac, Dumas, Dickens) letti e riletti sempre con la capacità di vedere qualcosa di nuovo, qualcosa in più, qualcosa che a chi non cerca con fatica le porte di accesso tra le parole del testo è negato. Cercare non significa sempre trovare, ma ciò che rende significativo il lavoro di Citati è anche l’inattualità del suo modo di fare critica letteraria, un modo che si distacca dalle modalità contemporanee del lavoro ermeneutico perché Citati va in cerca dei luoghi più radicali, profondi e puri del testo immergendosi in esso. Mario Lavagetto ha scritto che la critica «deve cercare qualcosa che c’è, che è nel testo e che ne determina – invisibile – il funzionamento» e vanno in questa direzione le pagine di Citati che quasi mai, lavorando su un testo, si affida al confronto con altri autori e altre opere, ma compie invece un vero e proprio lavoro archeologico di scavo tra i segni in cerca dei significati.

È per questo che La ragazza dagli occhi d’oro è un libro che vive proprio sull’affiancarsi continuo dei brevi testi che lo compongono, perché solo nella lettura organica del lavoro di Citati sarà possibile costruire una rete di relazioni e di vicinanze tra libri di epoca diversa e solo così apparirà, in filigrana, fragile e sottile, la costellazione di autori che hanno significato per l’autore una certa idea della letteratura e della lettura. Riflettendo infatti sul saggio di Proust Sulla lettura, Citati sottolinea come non si trovi d’accordo su un passaggio dello scrittore francese, ovvero quando scrive: «non credo che la lettura abbia nella nostra vita spirituale quel ruolo preponderante che Ruskin sembra attribuirle» e, poco dopo, che «la lettura non è che il più nobile degli svaghi». Ciò che Citati vuole correggere (e che in realtà anche Proust stesso correggerà) della prospettiva di Proust, a cui ha dedicato uno dei suoi libri più belli, La colomba pugnalata, ci rimanda direttamente all’importanza che lui assegna al momento della lettura e della ricerca: «La Recherche – scrive infatti Citati –, questo libro senza principio e senza fine, o con un principio e una fine indefinibile, nasce dalla conquista di un numero infinito di letture, di quadri, di musiche, e persone e paesaggi e personaggi». Sono le letture quindi a creare l’universo di ogni uomo («ogni libro che leggevo era una forma dell’infinito, che inseguivo, e inseguivo, e fallivo continuamente nell’inseguire») ed è da questa considerazione che si può capire come, da un lato, ogni libro sia una particella confusa di un universo in continuo mutamento e movimento, e dall’altro come quindi Citati, specchiandosi negli autori di cui parla, costruisce ogni volta una parte diversa di sé stesso.

Questo vale per Emil Cioran, caro amico di Citati che lo frequentò a lungo a Parigi («Restavamo per ore a chiacchierare: chiacchierare e chiacchierare: via via, il riso diventava più assurdo e inconcepibile; fino a quando, arrivati al culmine, Cioran indossava l’impermeabile, e usciva di casa, camminando a mezzanotte per le deliziose strade di Parigi, della sua Parigi, piovosissima, che egli amava con una passione travolgente, pur affermando di detestarla»), vale per Sherlock Holmes (maestro della deduzione e forse per questo personaggio adorato da molti critici letterari, come Citati, interessati al dettaglio rivelatore di un’opera intera: «nella letteratura, o nella pittura, è una condizione rarissima, quasi inesistente. Sherlock Holmes ama una sola specie di realtà: il minimo»), vale per Roberto Calasso («Per narrare la metamorfosi nel ventunesimo secolo, Calasso possiede moltissime qualità. In primo luogo, una straordinaria cultura, che non finisce di meravigliarci: egli è a casa in quasi tutte le epoche, in quasi tutti i libri, in quasi tutti i miti. In secondo luogo, un acutissimo occhio analogico, che gli fa scoprire qualsiasi affinità nell’universo dei libri e della storia») e vale per tanti altri autori vicini e lontani sui quali l’occhio scrupoloso di Citati si posa, da Epitteto a Poliziano, da Pascal a Wilkie Collins.

E si torna così alla seconda figura a specchio a cui si accennava all’inizio, Alberto Arbasino, qui ricordato attraverso l’articolo che Citati scrisse dopo la sua morte, forse ancor più colpito dalla scomparsa di un caro coetaneo e spinto naturalmente a riflessioni definitive anche su sé stesso: leggiamo in questo testo l’apprezzamento per il movimento continuo della mente e del corpo dello scrittore («Una cosa mi piaceva alquanto. Arbasino era sempre altrove. […] Arbasino era sempre in movimento. Leggeva, leggeva, leggeva, appropriandosi di ogni cosa.»), un gradimento totale per ciò che faceva («Il motto di Arbasino era: “Supera la fontiera di Chiasso”. Era bravissimo: molto più bravo di me») e la condivisione dell’amore per Gadda («Fu l’unico, credo, a creare uno strano movimento: i Nipotini dell’Ingegnere; l’ingegnere era, naturalmente, Carlo Emilio Gadda, l’autore di tutti i capolavori in prosa della letteratura italiana moderna. Arbasino aveva un culto per L’Adalgisa, La cognizione del dolore e il Pasticciaccio; e ne parlava con rara precisione»). Citati dunque, anche nel caso dell’amico Arbasino, si specchia, si costruisce e si racconta attraverso la letteratura.

Gli itinerari invisibili che legano le opere e le epoche costruiscono il percorso che offre la sua immagine leggera tra le pagine di questo libro dove tempi lontanissimi parlano tra loro attraverso la lingua comune di chi li ha letti e riletti. Non deve infatti sorprendere come l’interesse di Citati non trovi mai un unico centro, un’unica specializzazione potremmo dire, un termine che oggi diventa spesso sinonimo di ristrettezza dello sguardo, muovendosi invece senza requie perché esso è sospinto solo dalla curiosità di conoscenza e dal desiderio dell’interpretazione, i due demoni che costituiscono il valore assoluto della critica letteraria. In La mente colorata, straordinaria indagine sul mito del racconto e sull’Odissea, Citati scrive che Ulisse «conosce le ansie, le angosce, le fatiche della mente e del corpo, i terrori più alti e più vili», ma è anche lo stesso Citati a vivere con trasporto ed emozione la lettura, la letteratura che si fa esistenza, le storie che vengono raccontate e che muovono l’animo di chi sa ascoltare la grana delle parole. Citati scrive che la «chiave» di Balzac, tra i suoi autori prediletti, sta nella frase del prologo del “Vangelo di Giovanni”, «Et verbum caro factum est», rivelandoci un’altra finissima mise en abyme, perché anche per Citati la parola è carne, è materia viva che plasma e che crea, capace di trasportare e far immaginare. Tra le pagine di La ragazza dagli occhi d’oro arde la fiamma più vera di chi ama la letteratura: nella deduzione e nella possibilità di scovare i segreti tra le parole delle opere sta uno dei lasciti più preziosi di Citati, il suo metodo, il suo modello («per quanto, nella realtà, non esista nessun modello» annota parlando di Lévi Strauss) di critica letteraria.

Pezzo ripreso da: https://www.minimaetmoralia.it/wp/letteratura/


 

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