Da “Choses tues”
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traduzione di Jacopo Masi
[Testi tratti dalle sezioni II, III, e IV di Choses tues, Gallimard, 1932.]
Novità. Voglia di novità.
Il nuovo è uno di quei veleni eccitanti che finiscono per essere più necessari di qualsiasi alimento; la cui dose, una volta diventati nostri padroni, bisogna sempre aumentare fino a renderla mortale, pena la morte.
È strano legarsi così alla parte peritura delle cose, che è precisamente la loro qualità di essere nuove.
Non sapete dunque che alle idee più nuove si deve dare una certa apparenza di nobiltà, di idee che siano non affrettate ma maturate; non insolite ma esistenti da secoli; e non fatte e trovate questa mattina, ma solo dimenticate e ritrovate.
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Il gusto esclusivo della novità indica una degenerazione dello spirito critico, poiché nulla è più facile che giudicare la novità di un’opera.
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I classici sono forse quelle opere che possono raffreddarsi senza perire, senza decomporsi; e la volontà di conservazione, celata nell’idea di conservazione e di forma compiuta, sarebbe interessante scoprirla, svelarla nei principi, nelle regole, nelle leggi o canoni delle arti nelle epoche dette classiche.
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I nostri discepoli e successori ci insegnerebbero mille volte di più dei nostri maestri, se la durata della vita ci lasciasse vedere le loro opere.
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Letteratura.
Un libro non è, in fin dei conti, che un brano del monologo del suo autore. L’uomo o l’anima si parla; l’autore sceglie all’interno di quel discorso. La scelta che fa dipende dal suo amore di sé: si ama in tale pensiero, si odia in talaltro; il suo orgoglio o i suoi interessi prendono o lasciano ciò che gli viene in mente, e quello che vorrebbe essere sceglie all’interno di quello che è. È una legge fatale.
Se ci fosse dato l’intero monologo, saremmo in condizione di trovare una risposta abbastanza esatta alla domanda più precisa che una critica legittima possa porsi di fronte a un’opera. La critica, nella misura in cui non si riduca a pronunciarsi secondo i propri umori e gusti, – cioè a parlare di sé illudendosi di parlare di un’opera, – la critica, nella misura in cui giudicasse, consisterebbe in una comparazione tra ciò che l’autore ha voluto fare e ciò che effettivamente ha fatto. Mentre il valore di un’opera è una relazione singolare e incostante tra tale opera e un certo lettore, il merito proprio e intrinseco dell’autore è una relazione tra l’autore stesso e il suo proposito: tale merito è relativo alla loro distanza; si misura sulle difficoltà incontrate nel condurre il progetto a buon fine.
Ma queste stesse difficoltà sono come un’opera preliminare dell’autore: sono opera del suo “ideale”. Questa opera interiore precede, intralcia, sospende, sfida l’opera sensibile, l’opera degli atti. È qui che il carattere e l’intelligenza talvolta trattano la natura e le sue forze come lo scudiero tratta il cavallo.
Una critica anch’essa ideale si pronuncerebbe unicamente su tale merito, poiché non si può pretendere da qualcuno altro che di avere realizzato quanto si era proposto di realizzare. Non si può giudicare un ingegno che secondo le sue proprie leggi, quasi senza intervenire personalmente, come per un’operazione indipendente da colui che esegue, poiché non si tratta che di confrontare un’opera e un’intenzione.
Mi dica, signor Autore, voleva fare un certo libro?
– L’ha fatto? Qual era il suo progetto? – Perseguiva un pensiero elevato, o qualche vantaggio materiale: un successo d’opinione, un buon profitto economico? Forse un oggetto indiretto; forse l’obiettivo non erano che poche sue conoscenze, e forse addirittura una soltanto che mirava a toccare per il tramite di uno scritto pubblico?…
Chi voleva intrattenere?
– Chi sedurre, chi uguagliare, chi rendere folle d’invidia, a quale mente dar da pensare e quali notti turbare? Mi dica, è Mammona, era Demos[1], Cesare, sarebbe forse Dio che serviva? Oppure Venere, o forse un po’ tutti?
Ma vediamo i suoi strumenti, ecc…
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La sintassi è una facoltà dell’anima.
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Un’opera d’ingegno è importante quando la sua esistenza determina, chiama, sopprime altre opere già composte o meno.
Essa rende l’anima sensibile ad opere differenti.
– O comincia, o termina una qualche vena…
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Ciò che vi è di più umano.
Alcuni credono che la durata delle opere dipenda dalla loro “umanità”. Si sforzano di essere vere.
Ma quale durata più lunga di quella delle opere di fantasia?
Il falso e il meraviglioso sono più umani dell’uomo vero.
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Libri.
Quasi tutti i libri che stimo e assolutamente tutti quelli che mi sono serviti a qualcosa, sono libri abbastanza difficili da leggere.
Il pensiero può allontanarsene, non può percorrerli.
Gli uni mi sono serviti benché difficili; gli altri, perché lo erano.
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Ma dei libri, gli uni sono eccitanti e non fanno che agitare ciò che possiedo; gli altri sono per me alimenti la cui sostanza si trasformerà nella mia. La mia propria natura vi attingerà modi di parlare o di pensare; oppure delle risorse determinate e delle risposte già pronte: si deve pur avvalersi dei risultati delle esperienze altrui e arricchirsi di ciò che altri hanno visto e noi non abbiamo visto.
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Ogni poeta varrà infine quel che sarà valso come critico (di sé).
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Se un uccello sapesse dire con precisione ciò che canta, perché lo canta, e cosa, in lui, canta, non canterebbe. L’uccello crea nello spazio un punto in cui è, proclama senza saperlo che interpreta il suo ruolo. Deve cantare a tale ora. – Nessuno sa cosa lui stesso provi nel cantare. Vi si dedica con la massima serietà. La serietà degli animali, la serietà dei bambini che mangiano, dei cani in amore, l’implacabile, prudente fisionomia dei gatti. Si direbbe che questa vita esatta non lasci spazio al riso, all’intervallo scherzoso.
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Idea poetica è quella che, messa in prosa, reclama ancora il verso.
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Nouveauté. Volonté de nouveauté.
Le nouveau est un de ces poisons excitants qui finissent par être plus nécessaires que toute nourriture ; dont il faut, une fois qu’ils sont maîtres de nous, toujours augmenter la dose et la rendre mortelle à peine de mort.
Il est étrange de s’attacher ainsi à la partie périssable des choses, qui est exactement leur qualité d’être neuves.
Vous ne savez donc pas qu’il faut donner aux idées les plus nouvelles je ne sais quel air d’être nobles, non hâtées, mais mûries ; non insolites, mais existantes depuis des siècles ; et non faites et trouvées de ce matin, mais seulement oubliées et retrouvées.
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Le goût exclusif de la nouveauté marque une dégénérescence de l’esprit critique, car rien n’est plus facile que de juger de la nouveauté d’un ouvrage.
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Les œuvres classiques sont peut-être celles qui peuvent se refroidir sans périr, sans se décomposer ; et la volonté de conservation, cachée dans l’idée de perfection et de forme achevée, serait intéressante à découvrir, à déceler dans les principes, les règles, les lois ou canons des arts dans les époques dites classiques.
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Nos disciples et nos successeurs nous en apprendraient mille fois plus que nos maîtres, si la durée de la vie nous laissait voir leurs travaux.
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Littérature.
Un livre n’est après tout qu’un extrait du monologue de son auteur. L’homme ou l’âme se parle ; l’auteur choisit dans ce discours. Le choix qu’il fait dépend de son amour de soi : il s’aime en telle pensée, il se hait dans telle autre ; son orgueil ou ses intérêts prennent ou laissent ce qui lui vient à l’esprit, et ce qu’il voudrait être choisit dans ce qu’il est. C’est une loi fatale.
Que si tout le monologue nous était donné, nous serions capables de trouver une réponse assez exacte à la question la plus précise qu’une critique légitime puisse se proposer devant un ouvrage.
La critique, en tant qu’elle ne se réduit pas à opiner selon son humeur et ses goûts, – c’est-à-dire à parler de soi en rêvant qu’elle parle d’une œuvre, – la critique, en tant qu’elle jugerait, consisterait dans une comparaison de ce que l’auteur a entendu faire avec ce qu’il a fait effectivement. Tandis que la valeur d’une œuvre est une relation singulière et inconstante entre cette œuvre et quelque lecteur, le mérite propre et intrinsèque de l’auteur est une relation entre lui-même et son dessein : ce mérite est relatif à leur distance ; il est mesuré par les difficultés qu’on a trouvées à mener à bien l’entreprise.
Mais ces difficultés elles-mêmes sont comme une œuvre préalable de l’auteur : elles sont l’œuvre de son « idéal ». Cette œuvre intérieure précède, gêne, suspend, défie l’œuvre sensible, l’œuvre des actes. C’est ici que le caractère et l’intelligence traitent parfois la nature et ses forces comme l’écuyer traite le cheval.
Une critique elle-même idéale prononcerait uniquement sur ce mérite, car on ne peut exiger de quelqu’un que d’avoir accompli ce qu’il s’était proposé d’accomplir. On ne peut juger un esprit que selon ses propres lois, et presque sans intervenir en personne, comme par une opération indépendante de celui qui opère, car il ne s’agit que de rapprocher un ouvrage et une intention.
Vous vouliez faire un certain livre ?
– L’avez-vous fait ? Quel fut votre dessein ? – Entendiez-vous rejoindre une haute pensée, ou quelque avantage sensible : une victoire dans l’opinion, un bon succès d’argent ? Peut-être un objet indirect ; peut-être ne visiez-vous que peu de personnes de vous connues, et peut-être même une seule que vous pensiez atteindre par le détour d’un ouvrage publique ?…
Qui vouliez-vous divertir ?
– Qui séduire, qui égaler, qui rendre fou d’envie, quelle tête laisser pensive et quelles nuits hanter ? Dites, seigneur Auteur, est-ce Mammon, fut-ce Démos, César, serait-ce Dieu que vous serviez ? Vénus, peut-être, et peut-être un peu tous ?
Mais voyons vos moyens, etc…
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La syntaxe est une faculté de l’âme.
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Une œuvre de l’esprit est importante quand son existence détermine, appelle, supprime d’autres œuvres déjà faites ou non.
Elle sensibilise l’âme pour des œuvres différentes.
– Ou elle commence, ou elle termine quelque veine…
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Ce qu’il y a de plus humain.
Certains croient que la durée des œuvres tient à leur « humanité ». Ils s’efforcent d’être vrais.
Mais quelle plus longue durée que celle des œuvres fantastiques ?…
Le faux et le merveilleux sont plus humains que l’homme vrai.
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Livres.
Presque tous les livres que j’estime et absolument tous ceux qui m’ont servi à quelque chose, sont livres assez difficiles à lire.
La pensée peut les quitter, elle ne peut les parcourir.
Les uns m’ont servi quoique difficiles ; les autres, parce qu’ils l’étaient.
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Mais des livres, les uns sont excitants et ne font qu’agiter ce que je possède ; les autres me sont des aliments dont la substance se changera dans la mienne. Ma nature propre y puisera des formes de parler ou de penser ; ou bien des ressources définies et des réponses toutes faites : il faut bien emprunter les résultats des expériences des autres et nous accroître de ce qu’ils ont vu et que nous n’avons pas vu.
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Tout poète vaudra enfin ce qu’il aura valu comme critique (de soi).
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Si un oiseau savait dire précisément ce qu’il chante, pourquoi il le chante, et quoi en lui, chante, il ne chanterait pas. Il crée dans l’espace un point où il est, il proclame sans le savoir qu’il joue son rôle. Il fat qu’il chante à telle heure. – Personne ne sait ce qu’il ressent lui-même de son propre chant. Il s’y donne avec tout son sérieux. Le sérieux des animaux, le sérieux des enfants qui mangent, des chiens amoureux, l’implacable, prudente physionomie des chats. On dirait que cette vie exacte ne laisse pas de place pour le rire, pour l’intervalle moqueur.
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Idée poétique est celle qui, mise en prose, réclame encore le vers.
[1] Personificazione del “popolo”.
Articolo ripreso da https://www.nazioneindiana.com/2022/
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