Venerdì prossimo, nel Convegno organizzato dal Liceo Umberto di Palermo, terrò una relazione su questo tema:
IL GRAMSCI di PASOLINI
Scrive Pier Paolo Pasolini nel 1964:
"Io credo che il nuovo marxismo di questi anni non debba conoscere nessuna rigidezza, ma al contrario debba essere quella scienza storica che è, e che quindi abbia come sua caratteristica principale la formulazione continua di ipotesi, la ricerca continua di spiegazioni su fatti che la necessità rivoluzionaria ha lasciato insoluti.
[...] È preferibile il rischio di un pensiero disordinato e eccessivamente critico, che il rischio di un pensiero attratto dalla rassicurante vanificazione di un qualsiasi ipse dixit”
[ da: Dialoghi con i lettori su "Vie Nuove" 1964]
Pasolini ha scoperto Gramsci, come la maggior parte degli italiani nati nella prima metà del 900, subito dopo la pubblicazione delle sue prime Lettere dal carcere e la prima edizione tematica dei Quaderni del carcere (1947-1951).
Il suo primo libro, collegato fin dal titolo al grande pensatore sardo, risale al 1957. Da allora in poi gran parte della sua immensa e variopinta opera non è stata altro che un dialogo, più o meno cifrato/aperto, con Gramsci. Ma sono stati pochi i critici pasoliniani ad averlo capito.
Chi avrà la pazienza di leggere il libro pubblicato lo scorso luglio - EREDITÀ DISSIPATE. GRAMSCI, PASOLINI, SCIASCIA, Diogene Editore, Bologna 2022 - troverà l' intera documentazione di quanto affermo in questo spazio. (fv)
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