26 marzo 2023

FRANCESCA SENSINI ETERNAMENTE ELENA

 




FRANCESCA SENSINI

Eternamente Elena

di

Gigi Spina

Sfoglio un numero della settimana enigmistica del 2052: 17 verticale, la donna che ferra i cavalli, 8 lettere. Come contraltare dell’uomo che ai cavalli sussurrava, immagino. E mi viene subito Ferrante. Ma mentre lo scrivo, con una lentezza esasperante, quasi non sapessi più scrivere, mi sveglio.

Elena, giusto, quella che Domenico Starnone (ma guarda la combinazione) «Fino all’alba mi rigirai nella testa l’ipotesi che quella che mi giaceva a lato fosse un’immagine…. un’idea …. un idolo» (D. Starnone, Segni d’oro, Feltrinelli, Milano 1990, p. 66).

E poi riprendo dal comodino il libro che stavo leggendo prima di addormentarmi: La trama di Elena. L’ha scritto Francesca Sensini, per Ponte alle Grazie, ed è in libreria da marzo di quest’anno. Rileggo il sottotitolo: Da Sparta a Troia e ritorno: memorie della donna più bella del mondo. Finalmente un nostos anche per una donna del mito: la donna, scrissi una volta, che non visse solo due volte. E quindi anche per Gina Lollobrigida, che fu sullo schermo, fra tante donne, anche Lina Cavalieri, La donna più bella del mondo (1955).

Per questo, eternamente Elena, perché eterno è il mito ed eterna la sua riscrittura, la possibilità di raccontarlo di nuovo e magari in forme inedite. Esagero? Sì, certo, a buon diritto. Il mito è nato perché lo si ‘esageri’, lo si accresca in ogni nuovo racconto. Il mito non accetta la prudente sostenibilità. Il racconto del mito è, per natura esemplare, paradigmatico. Non lo si racconta solo per addormentare bimbi e bimbe. Quello è un effetto collaterale. Lo raccontano i più vecchi ai più giovani, dice Protagora, anzi, per essere più precisi, dice Platone nel Protagora, senza bisogno di asterischi, perché si sa che erano soprattutto le vecchie che raccontavano ai bambini. E lo raccontano per fornire un modello di comportamento da seguire o respingere. E il mito, come si sa, rende evidente, mostra, illustra: delòi, per dirla in greco.

Lunedì 7 ottobre 1957, all’interno della Tv dei Ragazzi, andava in onda: Penna di Falco, capo Cheyenne (Brave Eagle), serie USA del ’55. Con Keith Larsen (Penna di Falco), Anthony Numkena (Keena, un piccolo Hopi adottato da Penna di Falco), Kim Winona (Morning Star – Melograno, la compagna del protagonista), Bert Wheeler (Smokey Joe), Pat Hogan (Black Cloud). Gli Hopi sono quelli che hanno ispirato la trilogia di Godfrey Reggio, il cui primo, imperdibile titolo, è Koyaanisqatsi (1982). Ogni puntata di Penna di Falco terminava, come in una favola di Esopo, con una formula magica: «e così Keena imparò». Perché il mito è esperienza presentata in forma di parole, quando non c’erano ancora i video o le fotografie, parole capaci di mettere sotto gli occhi, far vedere una sequenza di vita. E da ogni esperienza altrui c’è da imparare, nel bene e nel male.

Ben vengano, dunque, le riscritture di quello straordinario patrimonio di miti delle culture antiche, a qualsiasi latitudine e longitudine appartengano, che hanno resistito al tempo e si spera resistano anche alle cancellazioni culturali.

L’Elena di Francesca Sensini racconta in prima persona, e già questa è una scelta feconda. Perché si può, nel riscrivere, prestare la voce a un autore o a un personaggio. Ora, senza generalizzare e con il dovuto rispetto per tutti i generosi tentativi di riscritture che si sono succeduti nei secoli, fin dall’antichità, per riscrivere come autore un po’ di megalomania bisogna averla nel fondo dell’animo: come se uno, per dire, riscrivesse l’Iliade come novello Omero. Un personaggio, invece, ha una sua storia parziale, segnata, che forse scalpita per trovare una nuova voce, un nuovo punto di vista.

Ma anche se riscrivi come personaggio, maschile o femminile che sia, puoi scegliere una forma, come dire, ossequiosa del modello oppure avventurarti sui pericolosi e affascinanti sentieri della diacultura (spiegherò fra poco cosa intendo con questo neologismo). Riscritture in prima persona, ossequiose del modello, fanno spesso rimpiangere l’originale, perché si limitano a offrire alla propria immaginazione (e anche alla propria cultura) una veste linguistica e una scelta lessicale che ricordano quelle recitazioni auliche della tragedia greca che l’indimenticabile Anna Marchesini, nei panni di Rossana l’attrice, smontò con geniale  ironia.

Sarò cattivo, ma molte riscritture mi hanno stancato fin dalle prime pagine.

Con l’Elena di Francesca Sensini non mi è capitato. Sono entrato subito in sintonia con una riscrittura, con un punto di vista che mi è stato subito familiare; perché è la scrittura di una donna dei nostri giorni che non nasconde la sua cultura, il suo punto di vista e, come tale, lo regala al personaggio del mito, in un delicato equilibrio fra passato e presente, fra antico e moderno, fra culture reciprocamente altre, ma che, grazie a quella voce ‘prestata’, riescono a comunicare al mondo contemporaneo senza che si debbano indossare i panni reali e curiali di cui parla Machiavelli nella lettera a Pietro Vettori del 10 dicembre 1513, per entrare «nelle antique corti delli antiqui huomini». Per quel tipo di comunicazione, allora, sono più autentici i testi originali, disponibili in ottime traduzioni, anche in metro, come quelle di Daniele Ventre.

La voce moderna prestata a un personaggio antico non può nascondere o sottacere la propria cultura. Anzi, deve offrila come omaggio di conoscenza al personaggio stesso, quasi come ricambio non richiesto per la tanta cultura dispensata dagli antichi. E quindi non perché ne sa di più, ma perché, mentre a noi moderni non manca la voce antica, pur se riprodotta con alcune distorsioni (volute e non volute), è agli antichi che manca la nostra voce.

L’onesto intreccio fra culture di epoche molto lontane incanalate in una sola voce, quella moderna, purché rispettosa della sostanza culturale antica, può riuscire a conservare insieme, in continua e percepibile dialettica, due approcci diversi, per dirla con l’antropologia: quello emico, più fedele alla cultura antica, e quello etico, più fedele alla cultura moderna.

Ho chiamato questo intreccio diacultura: certo, molto più gestibile in una scrittura narrativa di finzione che in una ricostruzione storica. Anche se, per dirla fino in fondo, difficilmente uno storico che indaghi l’antichità potrà tenere a freno la sua corposa presenza nel tempo che lo vede protagonista (presenza culturale, politica, editoriale, retorica, financo mediatica), proprio mentre ricostruisce eventi antichi. Solo che non la chiamerà diacultura …

Ma qui chiudo questa parentesi; e torno all’Elena di Francesca Sensini. Volevo solo che fossero chiari i motivi della mia adesione convinta, e proprio in quanto filologo classico, al suo racconto: del resto l’Autrice si consente, ma solo alla fine, un intervento esplicativo (Tutti pazzi per Elena) in una più ‘autentica’ prima persona, ragionando sulle sue scelte narrative: «Certo, la scatola nera di Elena resta in fondo all’abisso dei millenni, che ancora stiamo contando, si incastrerà nel prossimo strato di senso destinato a sedimentarsi sul suo racconto».

Perfettamente padrona della maggior parte dei testi che hanno visto, nel corso dei secoli, Elena come protagonista o rilevante comprimaria («La bibliografia su Elena è vastissima» riconosce l’autrice all’inizio delle doverose e ‘leggere’ note bibliografiche finali), Francesca Sensini può ricostruire un’autobiografia al tempo stesso precisa e controfattuale: nel senso che proprio la varietà dei miti e delle riscritture offre anche possibili e intriganti rovesci della medaglia.

Elena ci parla dalla sua stanza, Una stanza tutta per me, come si intitola il primo capitolo. Stanza si chiama anche quello spazio su uno dei social una volta più frequentati, facebook, nel quale si possono invitare amiche e amici per comunicare qualcosa di proprio. Così, dunque, ho immaginato l’Elena di Francesca Sensini: collegata col mondo e presente a se stessa, con tutte le sue storie, pronta finalmente, una volta acquisita una voce diaculturale, a comunicare le sue memorie.

Non vorrei dimenticare che Sensini è autrice anche di uno straordinario libro: La lingua degli dèi. L’amore per il greco antico e moderno, il Nuovo Melangolo, Genova 2021. Il che spiega anche la familiarità con una storia lunga ma fatta di tanti capitoli diversi fra loro, pur nell’apparente continuità.

E così le memorie di Elena si dipanano per quasi duecento pagine, come su quella tela che Elena tesseva in tempo reale, diremmo oggi, mentre Achei e Troiani combattevano la guerra per lei; e con le stesse modulazioni di timbro vocale di cui Elena era capace quando tentava di far tradire i guerrieri nascosti nell’enorme cavallo, imitando le voci delle loro spose.

Si capisce che la voce di Elena, provetta affabulatrice, cambia intensità e anche spessore di coinvolgimento nel susseguirsi dei capitoli della sua vita, dalla nascita (Piena come un uovo) … non alla morte, ma a un Per non finire mai (l’ultimo capitolo), una continua resurrezione, infinita come la tela che, a differenza di Penelope, Elena è sicura di non voler mai disfare.

A questo infinito risorgere l’Elena di Francesca Sensini arriva dopo averci fatto ripercorrere, con la sua viva memoria, eventi cruciali e incontri fatali: Amore e OdioTeseo, simile agli immortaliMenelao, il biondo, caro ad AresParide Alessandro, il più bello; Achille, selvaggio e  perfettoIn principio è la discordiaMaledizione alla bellezzaCarte scoperte.

Che il viaggio nel futuro prosegua sotto i migliori auspici, cara Elena, se posso permettermi. E che i secoli a venire ti siano lievi.  

Articolo ripreso da      https://www.nazioneindiana.com/2023/03/26/overbooking-francesca-sensini/   

 

 

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