La copertina del Rapporto di Hermes Center
L’esclusione digitale
La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione non ha gli stessi effetti su tutte le persone che vivono in Italia. Le persone straniere devono scavalcare barriere linguistiche, burocratiche, informative e documentali. L’ultimo rapporto di Hermes Center sulle barriere digitali per le persone straniere nell’accesso al welfare
Èdi Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights il nuovo report, intitolato “Digitalizzazione escludente – Le barriere digitali per le persone straniere nell’accesso al welfare”, che fa luce sulla marginalizzazione delle categorie fragili, in particolare delle persone straniere, nell’accesso e nella fruizione dei servizi online della Pubblica amministrazione in Italia. Il report, a cura di Laura Carrer e Isadora Seconi, è stato pubblicato all’interno del progetto di ricerca “Protecting migrant communities by future-proofing the immigratio data systems” ed è sostenuto dall’associazione Privacy International.
Il report esplora e analizza i rischi della digitalizzazione della Pubblica amministrazione, messa in atto negli ultimi anni dai decisori politici in Italia e in tutta Europa. La digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione – che per definizione dovrebbero essere accessibili a tutti i cittadini – rischia di lasciare indietro quelle fasce della popolazione caratterizzate da un maggior grado di povertà o vulnerabilità, in primis le persone straniere, i senza fissa dimora, i senzatetto. Come in altri contributi di Hermes Center (non ultimo lo studio sulle implicazioni dell’impiego delle tecnologie di controllo dei migranti sui confini europei), in ultima analisi il report mira a evidenziare come l’impiego sistematico ed estensivo di ogni nuova tecnologia da parte di enti pubblici o autorità politiche dovrebbe accompagnarsi a una valutazione delle implicazioni etiche e sociali sull’intera collettività. E più precisamente, l’arbitrarietà e le contraddittorietà messe in evidenza nel report dimostrano ancora una volta che, quando una valutazione degli impatti viene a mancare, le categorie che ne soffrono risultano essere proprio quelle già in vario modo marginalizzate o, in questo caso, quelle che più fortemente avrebbero bisogno e diritto di beneficiare della presa in carico e dell’assistenza.
Dentro al report
Il report analizza in maniera sistematica le riforme delle pubbliche amministrazioni nell’ambito della digitalizzazione diffusesi sul territorio europeo negli ultimi settantanni. Un aspetto interessante riguarda le premesse metodologiche di tale fenomeno: la tecnologia è mezzo imprescindibile per l’accesso al welfare, ma non tutta la cittadinanza è in possesso di tale tecnologia. Di conseguenza, i governi hanno imposto, e in modo sempre più capillare, degli strumenti per l’esercizio dei diritti di cittadinanza che generano essi stessi dei dislivelli nell’opportunità di esercitare tali diritti, essendo di default esclusivi di alcune fasce della popolazione.
Nella digitalizzazione delle strutture della pubblica amministrazione è implicito un cambiamento del ruolo del welfare e dei suoi beneficiari, che da godere in maniera quasi paternalistica dei servizi di un welfare tradizionalmente assistenziale sono diventati soggetti attivi, su cui ricade la responsabilità di richiedere ed espletare tutte le fase delle prestazioni sociali; una trasformazione coerente con la liberalizzazione del mercato e dunque con l’individualizzazione di pratiche e procedure.
La digitalizzazione della Pubblica amministrazione è stata via via implementata con la promessa di sistemi più efficienti e snelli, meno burocratizzati, più immediati e di semplice accesso. In realtà, dallo studio condotto da Carrer e Seconi emerge proprio il contrario: “la complessità e i diversi livelli burocratici vengono solamente resi invisibili all’interno di una cornice digitale”.
Inoltre, il rischio della digitalizzazione è di amplificare delle disuguaglianze già intrinseche nella società, escludendo dall’accesso ai servizi digitali le persone con difficoltà economiche e sociali, proprio quelle che potrebbero beneficiare in maniera sostanziale di tali servizi e che a maggior ragione avrebbero diritto ad accedervi senza difficoltà. Tale forma di diseguaglianza, definita dal report “divario digitale”, coinvolge i vulnerabili in maniera trasversale, dai soggetti più anziani, che inevitabilmente hanno una minore alfabetizzazione digitale, alle donne, alle persone migranti inibite da forti barriere linguistiche, alle fasce di popolazione a basso reddito, che non dispongono dei mezzi per l’acquisto e la manutenzione degli strumenti tecnologici.
In questo contesto, in cui si richiede ai singoli individui di espletare le pratiche dietro lo schermo del proprio PC, la digitalizzazione è stata progressivamente vincolata alla necessità di provare di meritare l’assistenza che si richiede e che si riceve. Questo vale in maniera cruciale per le persone migranti, in particolare nelle categorie dei richiedenti asilo o dei ricorrenti dopo l’audizione da parte della commissione territoriale; queste persone devono costantemente dimostrare di potersi meritare e guadagnare la propria permanenza in Europa, ottenendo certificati, dichiarazioni e documenti come prove di buona condotta.
La digitalizzazione della pubblica amministrazione in Italia
Il documento cui fa capo il piano di digitalizzazione dei servizi pubblici in Italia è il Piano triennale per l’Informatica nella pubblica amministrazioneper il biennio 2020-2022, pubblicato dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) con l’obiettivo di condurre il paese a una completa digitalizzazione della sua pubblica amministrazione. In questa cornice si inserisce, ad esempio, l’introduzione da parte di INPS dell’identità digitale (SPID, CIE, CNS) per l’accesso ai portali online. Quanto all’impatto di queste misure sulle persone straniere, dal momento che il permesso di soggiorno non è considerato un documento di identità, le persone straniere dotate solo di tale documento non è possibile richiedere l’identità digitale, per la quale è necessario il permesso di soggiorno insieme al passaporto in corso di validità. Con questa coppia si può ottenere la carta di identità necessaria per richiedere lo SPID. Analogamente, quando una persona straniera proveniente da Paesi Terzi richiede una Carta di identità digitale (CIE), è necessario che sia in possesso di permesso di soggiorno, passaporto e tessera sanitaria o codice fiscale: prerequisiti spesso difficili da ottenere, o da ottenere simultaneamente, al punto che oggi più di 500 mila persone straniere non comunitarie residenti sul territorio italiano non sono in possesso di una CIE.
La digitalizzazione ha coinvolto anche le questioni anagrafiche: il database digitale che raccoglie i dati e i servizi demografici anagrafici è l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), tramite il cui sportello online si possono richiedere e completare procedure quali il cambio di residenza, la comunicazione dei propri dati anagrafici o la richiesta dei certificati; ma l’iscrizione anagrafica, requisito necessario per effettuare tali procedure, non è disponibile online per persone senza fissa dimora o per chi vive in stabili occupati.
La popolazione migrante di fronte alle prestazioni sociali
Anche nel caso delle prestazioni sociali la popolazione migrante, pur regolarmente soggiornante in Italia, risulta in alcuni casi esclusa dalla possibilità di richiedere determinati servizi. Non è sufficiente essere in possesso di un qualsiasi permesso di soggiorno per accedere all’Assegno per il Nucleo Familiare (ANF), una prestazione economica che spetta alle famiglie di lavoratori dipendenti del settore privato, dei dipendenti agricoli, di lavoratori dipendenti di ditte cessate o fallite e di titolari di prestazioni previdenziali. Per ottenere questa agevolazione occorre un permesso di lungo soggiorno; inoltre, vi si accede tramite identità digitale, che i cittadini stranieri possono ottenere solo alla condizione di possedere un permesso di soggiorno valido e un passaporto, un requisito impossibile da soddisfare per quei richiedenti asilo che, proprio per la loro situazione pregressa, non hanno un passaporto. Questo esclude una grande porzione di cittadini stranieri da un sostegno economico importante. In maniera analoga o simile funzionano anche altri servizi, come l’Assegno mensile di invalidità civile, erogato in favore di soggetti a cui è stata certificata una riduzione della capacità lavorativa superiore al 74% e con un reddito personale annuo inferiore alla soglia annualmente prevista dalla legge, ma anche l’assegno di maternità per lavoratrici atipiche, l’assegno sociale, l’assegno unico universale (destinato a famiglie in condizione di difficoltà economica e attribuito a ogni figlio a carico fino al raggiungimento di una certa età), il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza.
Cosa denuncia Hermes?
Innanzitutto, il report fa luce sull’arbitrarietà delle prassi amministrative e sulle discrepanze non soltanto tra le prassi degli uffici sul territorio italiano, ma anche tra la normativa italiana e la normativa europea. Inoltre, molte associazioni hanno riscontrato e denunciato una diversità di trattamento delle persone straniere quando si presentano agli sportelli in autonomia oppure accompagnate da operatori o operatrici legali, in grado di esprimere la forza giuridica di una norma. Inoltre, se il rifiuto di una richiesta portata da persone straniere dovrebbe essere formalizzato e messo per iscritto, nei fatti tale rifiuto avviene prevalentemente tramite canali informali (a voce, allo sportello, di persona), che non mettono l’interessato nelle condizioni di poterlo contestare. Come osserva l’associazione Avvocato di Strada, “è un rapporto sbilanciato: le persone più vulnerabili sono anche le persone a cui è più facile dire di no”.
Barriere culturali e giuridiche
Oltre ai fattori precedentemente descritti (scarsa alfabetizzazione digitale, risorse economiche insufficienti, barriera linguistica), il report fa un’osservazione cruciale sulle barriere culturali: “la tecnologia digitale è fondata su metafore e basi del mondo analogico che hanno senso in uno schema di pensiero occidentale”, una difficoltà che fatichiamo noi stessi a comprendere, dal momento che, da occidentali, assumiamo da sempre tali schemi di pensiero.
Oltre alla barriera culturale, si evidenzia come spesso la digitalizzazione delle procedure abbia irrigidito le procedure (pensiamo, ad esempio, ai menù a tendina che vincolano l’utente a scegliere all’interno di un elenco limitato di voci). Al contrario, le persone migranti risultano spesso titolari di documenti in fase di rinnovo, oppure attraversano periodi (che possono durare anche mesi) di transizione da uno status giuridico a un altro, ma spesso i sistemi digitali non sono progettati per imbrigliare un universo tanto sfaccettato di condizioni. La ricerca riporta più di un caso concreto di mancato accesso ai servizi a causa di tali rigidità.
Conclusioni
Il report si conclude con una riflessione critica sull’effettiva utilità del digitale per l’accesso ai servizi pubblici: se l’obiettivo dichiarato della digitalizzazione è da un lato restituire procedure più snelle, espletabili da casa, dall’altro quello di tagliare delle spese pubbliche di gestione, nei fatti i servizi forniti di persona sono stati semplicemente ricollocati in altri siti, quali Caf, patronati e sindacati, cui si rivolgono le persone straniere in difficoltà con il digitale, e che comunque non sono sempre efficienti nel garantire un supporto.
“In conclusione, stando alle attuali modalità di implementazione, la digitalizzazione si profila come un’opportunità non solo iniqua per la popolazione straniera, ma che rischia di acuire le disuguaglianze già esistenti.”
Fonte: Progetto Melting Pot
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