PENSARE FARE AMARE
Nel febbraio del 1998. nel corso di una delle sue ultime iniziative, a Castel di Tusa, Francesco Carbone, con sottile ironia, rese pubblico questo suo inedito autoritratto. (fv)
LETTERA A ME STESSO
Non avrei mai sospettato o immaginato che un giorno avrei dovuto scrivere una lettera a me
stesso, né in quale occasione ciò sarebbe accaduto. Ora lo so (infatti la sto scrivendo), ed è una
circostanza certamente insolita, particolare: quella che tra qualche mese mi vedrà come soggetto,
protagonista di un evento votato al riconoscimento delle mie attività svolte in tanti campi della
cultura e dell’arte, del sociale, come in altri settori dai confini imprecisati ma sempre rispondenti ai
miei sofferti bisogni del pensare e del fare, dell’amare. Così questa lettera mi riempie di sensazioni
nuove, a volte molto strane, perché scriversi, scrivere a sé stesso è come scoprire per la prima
volta il “doppio” del proprio essere, un senso profondo di come in realtà sei fatto. Ed è un compito
che non può appartenere a nessun genere di letteratura, non è un racconto né un diario, ma
qualcosa che può comprendere sia l’uno che l’altro, superandoli subito. Lo ha considerato una
volta Tolstoj e anche Roland Barthes nel “piacere del testo”. Ciò nonostante, mi sto scrivendo,
lasciando scorrere nella mia mente e avanti agli occhi una infinità di sequenze della mia vita legata
alle cose che ho fatto e incise nella memoria in una evocazione a volte serrata, a volte a rilento,
come azionate da una moviola non elettronica ma magica, in cui il sogno, cioè gli ideali della vita
sottendono, condizionano ogni evento. Ne deriva tra l’altro, l’immagine di un intellettuale che
tanto si è dato alla cultura e alle aspirazioni degli altri, alla vita e ai sogni degli altri e molto poco a
sé stesso. Eppure questo per me è un pregio, un inestimabile valore, perché una grande verità è
quella di considerare che noi siamo fatti degli altri. Gli altri non sono soltanto vicini a noi, ma
dentro di noi. Così penso agli innumerevoli artisti, poeti, scrittori, teatranti, critici, attori e tanti
altri ai quali mi sono dedicato, i quali ho cercato di capire e di aiutare in tutti questi anni.
Il maggiore evento per me è quello di non sapere fare, di non potere fare al riguardo nessun
bilancio: tutto è stato e continua ad essere come in tante aree imprecisate di straordinaria
sospensione, dove nessun codice comune identifichi la natura degli eventi, il loro spessore reale, la
loro entità formale. Così, autentici amici affettuosi, con una apposita manifestazione, ora vogliono
ricordare - e ricordarmi – ciò che in questi lunghi anni di molteplici attività, io ho ideato e
realizzato: ne sono infinitamente grato e commosso, e non dimenticherò per tutta la vita il loro
gesto, anche perché questa “festa”, questo particolare riconoscimento, avvengono in un momento
particolare della mia vita così provata dalle sofferenze fisiche e psicologiche. Ma avviene anche in
un momento dei miei sentimenti così profondamente immersi nei sogni di un affetto e di un
amore.
Palermo, febbraio 1998 Francesco Carbone
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