di Niccolò Gualandris

Quante volte è capitato, nel corso della nostra carriera di lettura o studio, di scorrere gli indici dei manuali, gli elenchi dei nomi importanti e non trovare nessuna donna? E ancora, perché quasi sempre le autrici italiane cominciano a comparire solo quando si tratta il secolo scorso? Evitando domande retoriche, una risposta: le scrittrici esistono da quando esiste la scrittura ma hanno subito, insieme a minoranze e dissidenti di ogni epoca, fenomeni di censura e oblio che una solo una critica radicale e intellettualmente onesta può analizzare e portare al grande pubblico, affinché si possa discuterne con cognizione di causa.

Qui di seguito si cerca di tracciare delle coordinate sul concetto di canone e le sue implicazioni, insieme ad una presentazione e analisi del saggio di Federico Sanguineti, Per una nuova storia letteraria, che espone in maniera chiara e documentata la grande assenza delle scrittrici dal canone italiano.

Ognuno di noi è almeno implicitamente familiare con la nozione di canone letterario, quell’insieme di autori e di testi che sopravvivono alla loro epoca perché giudicati esempi di qualità e rappresentatività, entrando a far parte della storia culturale ufficiale. Servendoci dell’utile schema elaborato da Vittorio Spinazzola, identifichiamo nell’ultimo gradino del percorso di valorizzazione di un testo quella che lui chiama la “sanzione di classicità”: la canonizzazione di un’opera, spesso coincidente con la sua introduzione nei programmi scolastici.

È altrettanto noto a chiunque abbia anche solo tangenzialmente affrontato studi artistici o culturali come il Novecento sia stato il secolo della critica, della struttura e post-struttura, della decostruzione e del prospettivismo; della problematizzazione e a volte del superamento tout-court delle categorie estetiche e valoriali della società moderna in favore di nuovi sguardi critici più improntati alla relativizzazione e alla contestualizzazione del prodotto artistico. Appare chiaro, con buona pace di chi non vi ci si ritrova, come il clima culturale contemporaneo sia dominato da un forte sostrato anti-essenzialistico, utile lascito dei duelli critici del secolo passato. 

Questo humus da cui germogliano alcune fra le teorie critiche di più ampia diffusione presuppone una fondamentale presa di distanza dalla fede nell’alterità ontologica dell’arte rispetto alla vita, in favore di un approccio che ponga in rilievo le caratteristiche concrete di un’opera, il rapporto di tale opera con il suo contesto, la ricezione e l’impatto che tale opera ha sulla società e viceversa.

Un’altra tendenza avvertibile è una richiesta notevole di opere che mettano in primo le identità degli autori e dei lettori, che ingaggino con il pubblico dinamiche di autoriconoscimento, rispecchiamento e presa di coscienza valoriale, politica, sociale, ecologica; un trionfo del contenuto che talvolta prevale sul contenitore e che quindi rende labili i confini tra arte e mero content che deve essere fruibile, relatable e ripubblicabile istantaneamente senza ulteriori riflessioni o manipolazioni formali: non è questo il luogo per questa seppur interessante discussione, che rimarrà sicuramente aperta e partecipata nel futuro a venire.

Come si interfaccia dunque un concetto così monolitico come quello del Canone letterario con un rapporto sempre più diretto e complesso tra autore e lettore, critica e pubblico, storia e contemporaneo, stile e contenuto?

La sanzione di classicità di un’opera o di un autore è un giudizio valoriale e pertanto determinato socialmente, da una stratificazione di opinioni e attribuzioni che, storicizzate, delineano un pantheon nel quale ogni membro diventa colonna portante e imprescindibile, modello di stile e severo maestro.

Umberto Eco, in un suo intervento del 2002 sulla nozione di “classico”, pone l’accento sul carattere di sopravvissuti dei testi che sono arrivati fino a noi, del ristretto (se comparato a tutto ciò che è andato perduto) numero di opere letterarie antiche che sono state tramandate. Tolto il rogo della Biblioteca di Alessandria, le calamità naturali, e i danni del tempo, è chiaro come il motore principale della selezione e conservazione delle opere letterarie sia l’uomo, con i suoi motivi e le criticità che ne derivano.

Eco afferma ottimisticamente come un tale meccanismo di selezione sia di per sé una garanzia di qualità delle opere, poiché la permanenza delle stesse nel tempo sarebbe indice di una loro rilevanza tematica e stilistica sempre sentita che si rinnova ad ogni trapasso generazionale. Un classico pertanto è quel testo che mantiene, se non intatto, comunque in larga parte il suo carico di valore, riconosciuto ed apprezzato anche passata la contemporaneità. 

A questa lettura, che conforta e rassicura sulla salute del gusto letterario in ogni epoca è però doveroso contrapporre un approccio critico che miri ad evidenziare gli interventi censori, presenti ad ogni altezza cronologica, e le storture ideologiche che hanno minato la conservazione di opere, autori o li hanno relegati in secondo piano.

Tutto ciò è particolarmente vero quando si pensa alla presenza, o meglio all’assenza pressoché totale delle scrittrici nel canone letterario italiano.

Il libro di Federico SanguinetiPer una nuova storia letteraria (Argolibri, 2022) è un’illuminante raccolta di saggi sull’argomento ed un utile strumento per fare chiarezza su questa assenza.

Innanzitutto lo studioso evidenzia come la rimozione delle donne dal canone, “un vero e proprio femminicidio culturale”, sia stata compiuta con un atto deliberato, complice l’adozione nella “storiografia borghese” del Regno d’Italia del modello di Francesco De Sanctis, storico della letteratura e primo ministro dell’istruzione italiano.

Frontespizio del primo volume dell’opera
Francesco De Sanctis nel 1860

La storia letteraria desanctisiana è complice e artefice di una rimozione sbrigativa ma sistematica delle autrici che pure erano citate dai contemporanei come rilevanti, con menzioni particolarmente dettagliata nei settecenteschi volumi della storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, in cui le donne trovano uno spazio decisamente più ampio, poiché come sosteneva Tiraboschi: “Fin dal primo nascere della Poesia Italiana avean comiciato le Donne a gareggiare cogli uomini nel coltivarla”.

De Sanctis liquida la maggior parte delle scrittrici, omettendole o limitandosi a poche righe e invita invece a ritrovare nelle pagine dei grandi scrittori maschi quelle “figure femminili” esemplari che rappresenterebbero meglio degli ideali (patriarcali) da cui trarre esempio.

“La donna è invitata sul proscenio letterario e poetico, purché nella forma di manichino, oggetto e personaggio feticizzato di un progetto maschile”.

Sottraendo alle donne italiane il diritto all’autodeterminazione, lo storico censura “la memoria di quante storicamente abbiano avuto un ruolo attivo”, condannandole all’oblio a cui sono ancora oggi in gran parte soggette.

Sanguineti, da accademico esperto, presenta un quadro dettagliato delle escluse, partendo dal XIV secolo con Christine De Pizan, scrittrice italiana molto studiata in Francia, dove si trasferì, ma colpevolmente ignorata nel paese d’origine. l’autrice de La città delle dame si inserì vivacemente nel dibattito culturale della cosiddetta “Querelle de femmes”, contrapponendosi alla misoginia di molti autori tardo-medievali. Successivamente vengono passate in rassegna autrici del petrarchismo cinquecentesco, del barocco, dell’Arcadia e del periodo romantico, note e celebrate ai loro tempi ma “misteriosamente” scomparse dai manuali scolastici post-unitari.

Nel sito The Celebration of Women Writers, che raccoglie un catalogo in espansione della letteratura femminile mondiale, la sezione dedicata all’Italia conta più di 400 nomi appartenenti a ogni epoca: un numero che sorprenderà intere generazioni abituate all’assenza totale delle donne tra gli autori canonici pre-novecenteschi.

Nominiamone alcune tra le numerose citate da Sanguineti: Christine De Pizan (1365-1430), Isotta Nogarola (1418-1466), Laura Cereta (1469-1499),Vittoria Colonna (1490-1547), Veronica Gambara (1485-1550), Gaspara Stampa (1523-1554), Isabella Andreini (1562-1604), Lucrezia Marinella (1571-1633), Petronilla Paolini Massimi (1663-1726), Maria Giuseppa Guacci Nobile (1807-1848).

Della maggior parte di queste ed altre autrici non si hanno edizioni critiche delle opere nella lingua in cui hanno scritto  e lo studioso che volesse approfondirle spesso sarà obbligato a consultare edizioni inglesi o francesi di trattati e carteggi, romanzi, poesie e pièces teatrali, tutto materiale che testimonia la scarsissima attenzione, se non in tempi molto recenti, per l’apporto attivo delle donne alla letteratura italiana.

Analizzata la genesi e la fenomenologia del canone italiano, l’autore si concentra in seguito nell’analisi della rappresentazione femminile in opere come la Divina Commedia e il Decameron, mettendo il luce la “teologia femminile” di Dante e l’emersione di una sessualità borghese di costrizioni nell’opera del Boccaccio, nella cui opera si evince come le donne che riescono a prendere in mano il proprio piacere siano marginalizzate dalla nascente società mercantile, in contemporanea vengono messe in risalto figure femminili che non soffrono del falso pudore stilnovistico, del perbenismo e del conformismo della classe sociale a cui appartengono.

Nel saggio successivo, Violenza domestica e Umanesimo Sanguineti esplora la trattatistica familiare fra ‘400 e ‘500, fondata sulla segregazione dei figli e delle mogli, sulla violenza che trova giustificazione nella sacre scritture e su un modello patriarcale che porta il genitore ad agire impunemente nei confronti della prole, sempre presunta colpevole, rispecchiando il rapporto di sudditanza degli organi di potere e dell’educazione religiosa dell’epoca.

Nei capitoli seguenti si susseguono una lettura di Lorenzo il Magnifico come “primo individuo borghese freudianamento scisso fra principio di piacere e principio di realtà” ed interessanti esposizioni sui personaggi de “La Mandragola” e “La Gerusalemme Liberata”.

Sanguineti ci dona infine due preziosi saggi: uno su Gadda e l’altro sulla politica culturale gramsciana. Nel primo viene analizzato il geniale e impietoso ritratto del fallocentrismo fascista in Eros e Priapo; del secondo basterà una citazione per coglierne il senso e l’appello: 

La violenza messa in atto dalla borghesia nei confonti della memoria storica per cancellare quanto le donne hanno operato come soggetto di cultura e forcluderle dalla storia degli intellettuali non è che una forma sovrastrutturale di una violenza strutturale alla stessa società borghese. (pag. 180)

“Se non ci si libera dalla forclusione presente nella storiografia borghese”, che colpisce ogni voce marginalizzata, “si rimane complici di falsificazioni ideologiche, di sessismo e di razzismo” e di una “colonizzazione maschile del femminile analoga a quella tra Nord e Sud” (del mondo).

Nei soli primi due capitoli di Per una nuova storia letteraria l’autore crea un conciso e motivato pamphlet che analizza e documenta questa assurda iniquità, proponendo anche soluzioni pratiche per la revisione del canone. I programmi scolastici non sono che l’ultimo approdo del dibattito che prima dovrebbe svolgersi in seno al pubblico, poi in ambiti critici e in seguito accademici poiché “urge per la storia letteraria […] un paradigma dove il dialogo tra l’operato delle donne e quello degli uomini si svolga in modo costante” e risulti in un arricchimento collettivo che solo in parte correggerà l’onta che la storiografia borghese ha generato e continua a perpetuare nelle nostre scuole e università. 

Federico Sanguineti condensa in questa raccolta di saggi, un pensiero ideologico -senza i connotati negativi che siamo abituati ad attribuire all’aggettivo- e motivato da dati e numeri inoppugnabili, accademico nel rigore ed appassionato nella resa,  in cui teoria e prassi si applicano ad un argomento culturale per alcuni intoccabile ma che va problematizzato con intelligenza se, oltre al progresso economico e al trionfo dell’individuo  la nostra società vuole porsi degli obbiettivi collettivi più alti. 

Federico Sanguineti, Per una nuova storia letterariaArgolibri, 2022, 15 euro

Niccolò Gualandris

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