Il mare invisibile del patriarcato
Per percepire l’acqua in cui nuotiamo, il grande mare del patriarcato, studenti e studentesse hanno bisogno di analizzare i meccanismi educativi e socioculturali nei quali siamo tutti avvolti e avvolte da tempo immemore. Si tratta di riconoscere prima di tutto la violenza psicologica, domestica, economica, insita nel linguaggio e nell’educazione, insomma quella più sotterranea. “Altrettanto necessaria e urgente è una formazione adeguata anche del corpo docente – scrive Maria Anna Di Gioia in Com’è l’acqua? Riconoscere ogni giorno il mare invisibile del patriarcato (Settenove ed.) -, spesso non pienamente consapevole dei pregiudizi e stereotipi che attraverso il proprio lavoro contribuisce a perpetuare…”. Com’è l’acqua? raccoglie sette percorsi con decine di attività da proporre nella scuola secondaria di secondo grado. Introduzione e indice completo del libro
«Due pesci che nuotano incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?”. I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa “Che cavolo è l’acqua?”» (Questa è l’acqua, di David Foster Wallace)
In Italia si parla di violenza contro le donne in modo solenne e istituzionale il 25 Novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Negli ultimi anni si organizzano incontri nelle scuole, si parla di violenza di genere in classe, le persone in politica fanno dichiarazioni, i giornali ne scrivono. Il resto dell’anno, la questione torna nella sua nicchia e i femminicidi continuano a realizzarsi a cadenza impressionante1, derubricati a fatti di cronaca.
Con questo lavoro ho cercato di andare oltre il 25 novembre e di analizzare la violenza sotterranea, camuffata in altre ricorrenze che diamo per scontate, senza vederne alcuni spigoli, contraddizioni, ipocrisie, retaggi storici, cercando di evidenziare il modo in cui le giornate che “celebriamo” in modo acritico spesso rappresentano la base nascosta in profondità dell’iceberg della violenza, di cui i femminicidi non sono che l’apice.
Tre anni fa, durante le mie lezioni a scuola in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ho avuto modo di parlare in classe del report2 dell’Istat pubblicato il giorno prima dal dipartimento per le Pari opportunità. Disegnando e commentando con le mie classi la piramide della violenza sulle donne, tutti e tutte condannavano senza esitazioni i piani alti della piramide (femminicidio, violenza sessuale, violenza fisica e verbale). Le perplessità iniziavano a presentarsi scendendo verso la base: la violenza psicologica, domestica, economica, insita nel linguaggio e nell’educazione. Non è stato facile riconoscere per loro la violenza che si nasconde in questi piani, percepire davvero l’acqua in cui nuotiamo, il grande mare del patriarcato. Per molti dei miei studenti con cui ho parlato (una scuola professionale del sud Italia), le ragazze con cui escono non hanno il diritto di vestirsi come vogliono (no scollature, no minigonne «troppo corte»). I cellulari delle loro compagne possono, anzi devono, essere controllati. È giusto che i lavori domestici vengano eseguiti dalle donne, perché «gli uomini lavorano tutto il giorno». La consapevolezza dell’importanza di lavorare con ragazze e ragazzi sul tema degli stereotipi e sulla violenza di genere, già presente negli anni precedenti in cui avevo lavorato alla scuola media, si è fatta sempre più urgente.
Solo attraverso la sensibilizzazione riguardo al retaggio dei meccanismi educativi e socioculturali di cui siamo avvolte e avvolti da tempo immemore, gli e le studenti, futura cittadinanza, potranno davvero contribuire efficacemente a migliorare lo status quo per tutte le persone. Altrettanto necessaria e urgente è una formazione adeguata anche del corpo docente, spesso non pienamente consapevole dei pregiudizi e stereotipi che attraverso il proprio lavoro contribuisce a perpetuare.
Il progetto si dipana in sette percorsi che seguono alcuni momenti dell’anno scolastico e non, come la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, l’Epifania, San Valentino, la Giornata internazionale della donna, la festa del papà, la festa della mamma, la Giornata contro l’omobitransfobia, presi come spunto per soffermarsi su alcuni macrotemi fondamentali per una riflessione sulla violenza di genere sommersa e le manipolazioni culturali che spesso ruotano intorno a queste giornate, osservandole in trasparenza per far venir fuori le contraddizioni che le contraddistinguono.
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Le metodologie didattiche utilizzate privilegiano l’interdisciplinarietà, il role playing, il collaborative learning, il debate, la raccolta di articoli di giornali, pubblicità, video e immagini e la didattica laboratoriale. Si pone al centro del processo il “corpo discente”, con l’obiettivo di valorizzarne competenze e vissuto relazionale, di promuovere l’apprendimento esperienziale per favorire l’operatività e allo stesso tempo il dialogo, la riflessione, ampliando così le opportunità di costruire attivamente il proprio sapere. Gli strumenti di intervento proposti si basano sui bisogni di chi apprende, nell’ottica di promuovere l’apprendimento collaborativo e di agevolare lo sviluppo di competenze. Si propongono spesso lavori in piccoli gruppi per attivare il conflitto cognitivo e la ricerca collettiva di risultati riguardo alle varie problematiche. Per evitare una mera acquisizione di conoscenze, ma promuovere soprattutto abilità e competenze, tra cui quella di “imparare a imparare” nel modo più efficace possibile, le strategie e metodologie didattiche adottate sono tese a valorizzare il potenziale di apprendimento di ciascun e ciascuna studente e a favorirne l’autonomia.
1 Cfr. il documento Omicidi volontari pubblicato dal Dipartimento della pubblica sicurezza sul sito del Ministero dell’interno l’11 ottobre 2021.
2 Cfr. Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immaginazione sociale della violenza sessuale pubblicato sul sito dell’Istat il 25 novembre 2019.
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