Per una nuova cultura politica
Viviamo tempi di grandi contrasti: da una parte alcune conquiste di libertà e di diritti, la caduta di pregiudizi, come per l’omofobia, la creazione di nuove intimità fuori dalla famiglia tradizionale, dall’altra spinte che vanno verso la restaurazione di valori tradizionali minacciati proprio dal cambiamento. Si tratta di mutamenti al tempo stesso sociali e globali ma che si ritrovano anche in ogni singolo. “Per questo è necessario un agire politico – scrive Lea Melandri – che tenga insieme uno sguardo in profondità e insieme il contesto in cui viviamo, che riesca ad afferrare l’intreccio tra inconscio e coscienza…”. Perché è necessario tornare al rapporto tra femminismo e psicanalisi
Uno degli slogan più significativi del femminismo degli anni Settanta è stato “Modificazione di sé e modificazione del mondo”. Al centro, e in conflitto con un contesto che voleva essere “rivoluzionario”, c’era allora soprattutto il “sé”, la scoperta della politicità della vita personale: corpo, sessualità, maternità, aborto, legami famigliari, inconscio. Oggi è il mondo con tutto il suo carico storico di violenze, poteri, forme diverse di dominio – sessismo, classismo, razzismo, nazionalismo, ecc. – che ci viene addosso e quindi è forte il bisogno di trovare i nessi che li legano tra loro, nel pubblico come nel privato.
Le generazioni più giovani si trovano sotto la pressione di una crisi generale, si potrebbe dire di civiltà, più che sistema, in cui entrano in campo il rapporto tra i sessi, ma anche i rapporti di lavoro, la relazione tra popoli e culture diverse, le ondate migratorie, la distruzione delle risorse ambientali e la guerra tornata anche per l’Occidente nella “normalità”.
Venuti meno i confini tra privato e pubblico, e di tutte le dualità finora conosciute – biologia /storia, sentimenti/ragione, individuo/società, inconscio/coscienza, produzione/riproduzione, ecc.- quello che abbiamo davanti oggi è una sorta di impasto, di agglomerato in cui si può dire che il privato divora il pubblico, e viceversa. Un esempio è la femminilizzazione del lavoro, la vita intera messa in produzione (C. Morini); la spinta del neoliberismo a farsi “capitale umano”, “imprenditori di sé stessi” (R. Ciccarelli), un sistema economico che, come quello patriarcale, sta diventando “natura” e come tale interiorizzato.
Di questa modificazione profonda i movimenti non autoritari degli anni Settanta furono il sintomo e al medesimo tempo l’embrione di un ripensamento della politica, a partire dal suo atto fondativo, la separazione tra il corpo e la polis, tra il destino del maschio e della femmina, ma anche tra sessualità e politica. Per questa estensione di campo, che portava la politica “alle radici dell’umano”, fin dentro “le acque insondate della persona” (R. Rossanda) ai confini con l’inconscio, le pratiche innovative di quei movimenti non potevano non intersecare psicanalisi e politica.
Oggi le “viscere della storia” sono più che mai allo scoperto, tanto da poter dire, con le parole di Elvio Fachinelli, che “l’inconscio viaggia nella ionosfera”.
Ma più manifeste e più alla coscienza che in passato sono anche le diverse appartenenze o identità che si danno “intersecate” nella storia di ogni singolarità. Ci troviamo di fronte a una aspra conflittualità sociale: da una parte conquiste di libertà, diritti, caduta di pregiudizi, come per l’omofobia, creazione di nuove intimità, fuori dalla famiglia tradizionale, dall’altra spinte che vanno verso la restaurazione di valori tradizionali minacciati proprio dal cambiamento. Si tratta di mutamenti e invarianze che non appartengono solo al contesto sociale e politico, ma che si ritrovano in ogni singolo. Per questo è necessario un agire politico che tenga insieme uno sguardo in profondità e insieme il contesto in cui viviamo, che riesca ad afferrare l’intreccio tra inconscio e coscienza.
Mi sembra importate tornare a chiedersi cosa significano oggi la pratica dell’autocoscienza e dell’inconscio, quando il partire da “sé” si presenta come un complessità di appartenenze, più consapevole che in passato di portarsi un retroterra di formazioni arcaiche, e, al medesimo tempo, costretto a fare i conti in modo più diretto con una realtà sociale che entra prepotentemente nella sua formazione. Si parla non a caso di biopolitica.
Si può pensare di dare una risposta a una crisi di civiltà senza andare alle radici di una politica che è nata facendo guerra, sottomettendo e colonizzando fin nel profondo dei cuori e delle menti la metà della specie umana, oltre che alla natura e agli altri viventi, che ha fatto del perverso connubio tra amore e violenza, conservazione e distruzione il fondamento della sua sopravvivenza? Si possono contrastare le logiche di guerra, che sono a fondamento di ogni contrapposizione dualistica – maschile/femminile, amico/nemico, odio e amore, sentimenti e ragione, ecc. -, senza nominare il posto che hanno avuto la sessualità maschile e la “virilità guerriera” nelle vicende della storia? Si possono combattere il sessismo, il razzismo e i pregiudizi che ancora li sorreggono dal profondo, limitandosi a contrapporvi le nuove consapevolezze e libertà acquisite, senza tentare di nuovo pratiche capaci di andare “alle radici dell’umano”?
Questa riflessione è nata dopo il Laboratorio di scrittura di esperienza tenuto da Lea Melandri a Bologna con un gruppo di ragazze interessate alle teorie e pratiche radicali del femminismo degli anni Settanta e alla loro possibile riattualizzazione o “ripresa” aperta a nuove vie di uscita. Nell’archivio di Comune gli articoli di Lea Melandri sono leggibili qui
Nessun commento:
Posta un commento