15 maggio 2023

NESSUNO POTRA' FERMARE LE MIGRAZIONI

 



CRISI MIGRATORIA E ASPETTI D'UMANITA'

 Matteo Cazzato

 

Sono passati tre mesi dal naufragio di Cutro e nulla è cambiato, ogni giorno persone rischiano di morire nel comprensibile e giusto tentativo di ottenere una vita migliore. Migranti continuano ad arrivare, naufragi meno eclatanti si verificano, e si è proclamato lo stato di emergenza ora che la maggioranza si è arresa al fatto che i blocchi navali non sono legalmente possibili.

Nulla è cambiato, e in fondo nulla può cambiare se davanti a quei corpi il governo ha organizzato un consiglio dei ministri per dire che la sua linea in merito alla questione migratoria sarebbe rimasta la stessa. È avvilente perché ciò vuol dire che: resta il pregiudizio radicato in parte della maggioranza che ogni immigrato sia una potenziale mela marcia (e tante ce ne sono alla fine fra gli italiani); resta la brutta parola clandestino che colpevolizza chi cerca di fuggire dalla disperazione con gli unici mezzi che ha a disposizione, perché la sofferenza non giustifica chi parte; e ancora, restano la tesi della sostituzione etnica, col corollario di una distinzione fra migranti veri e finti, sulla base di criteri che solo il signor Salvini e i suoi amici comprendono.

 

Rappresentanti del governo di primo piano, vicinissimi alla premier, nei giorni scorsi lo hanno ammesso apertamente: “non dobbiamo arrenderci alla sostituzione etnica”, e se oggi il mercato del lavoro interno si regge anche sui migranti, quello che si deve fare è ridurre la loro presenza, ostacolarla per il futuro e incentivare piuttosto la natalità. Il mondo vede un sovrappopolamento, legato alla crescita demografica non occidentale. Gli esseri umani sono troppi in particolare perché una percentuale piccola della popolazione mondiale consuma la maggior parte delle risorse totali. E invece di apprezzare la ridistribuzione fra zone di mondo più popolate e meno popolate – una dinamica naturale che potrebbe ricreare un equilibrio economico e generare al contempo incontri culturali – si inneggia al ripopolamento massiccio a nostro interesse esclusivo, aumentando il consumo del solo occidente. Ma dobbiamo evitare la sostituzione etnica… No?

 

Si devono certo creare le condizioni perché gli italiani che vogliono avere figli lo possano fare serenamente, e così forse si invertirà la tendenza in corso. Ma non si può pensare di mettere in campo norme che “premiano” chi ha figli e “puniscono” chi non ne ha…[1] attuare politiche di natalità per contrastare la migrazione è folle e moralmente discutibile, e la storia ha già conosciuto tristemente il mix di politiche per la natalità e contrarietà allo straniero…

Ma la replica è che hanno strumentalizzato le parole pronunciate del governo, quando in realtà non c’è nessuna strumentalizzazione in questo e in altri casi, semplicemente se qualcuno dice qualcosa verrà giudicato per le sue parole, come merita, nel bene e nel male.

 

Ma dobbiamo essere onesti, il governo ha preso dei provvedimenti riguardo i migranti: inasprire le pene per i trafficanti; eliminare la protezione speciale, cioè le garanzie di protezione umanitaria e permesso di soggiorno per motivi legati alla tutela di diritti;[2] mettere in campo il Click Day, circa 80.000 posti di lavoro per chiamare migranti “regolari”.

Ma in una sola giornata dal mercato del lavoro nazionale sono arrivate più di 240.000 richieste, e il problema è a monte, perché non si può pensare che questa sia accoglienza, basata su criteri utilitaristici: numero limitato e in base alle nostre necessità. La maggior parte delle persone che arriva in realtà vuole transitare per l’Italia in direzione di un altro paese, e perciò la soluzione sarebbe cambiare alleato in Europa per rivedere le norme.[3] Ma ancor più importante di questo, non si può ragionare con logiche di mercato davanti al dolore e alla ricerca di dignità. Il governo poi ha dichiarato che i migranti possono entrare regolarmente, in base alle esigenze del mercato interno, se hanno frequentato e superato corsi di formazione riconosciuti dall’Italia, senza però ulteriori chiarimenti. Ma questo requisito può essere rispettato in pochi casi sul totale di chi emigra, perché nei paesi di partenza non ci sono le condizioni per garantire l’accesso all’istruzione a causa di guerre, povertà, discriminazioni e tanti altri problemi. Una norma che vuol dare l’apparenza di interessarsi ai migranti in realtà sembra piuttosto una presa in giro.

 

Punire in modo severo gli scafisti, è cosa giustissima, ma non risolve il fenomeno migratorio, che è una dinamica globale sempre in atto – oggi come in passato – e va guidata affinché generi arricchimento e non disagio per le parti coinvolte. Ma l’atteggiamento di questo governo non fa altro che produrre le situazioni adatte perché i contrasti aumentino. Tra l’altro le minacce penali evidentemente non servono a scoraggiare i trafficanti da quello che si è visto in questo periodo.  Il vero problema non è capire come agire con i criminali, ma salvare e aiutare le persone, e perciò quello del governo sembra un tentativo di spostare l’attenzione, in modo da poter trascurare la vera questione.

Sono convinto che l’orizzonte sociale ed etico europeo sia il solo in cui questa e altre questioni possono trovare una vera soluzione, nello spirito storico dell’Unione intesa come luogo d’incontro interculturale e plurale, perché in questa Europa l’arrivo di vari popoli rappresenta un’occasione di scambio reciproco. Certo non l’Europa delle divisioni e dei nazionalismi patriottici della presidente Meloni e dell’alleato Orban.

 

Nella cultura europea degli ultimi due secoli «emigrazione, immigrazione ed esilio vanno annoverati tra gli impulsi che hanno concorso in modo decisivo al rinnovamento delle letterature nazionali perché ne hanno smorzato l’autoreferenzialità entro la quale rischiavano di perdersi»,  e questo non vuol dire negare il valore e l’amore per la nostra tradizione.[4] Questi fenomeni socio-culturali hanno amplificato le dinamiche di scambio a cui il continente per la sua storia era predisposto, consentendo forme di espressione nuove per nuove sensibilità.

Davanti ai problemi attuali e al dolore di Cutro, che i politici sembrano non aver voluto comprendere, vorrei provare a dare un consiglio di lettura. Perché la letteratura – prima delle tante analisi che come studiosi possiamo e dobbiamo fare – ha in molti casi anche una semplice ed essenziale funzione di testimonianza, e questo aspetto va riscoperto, soprattutto in una prospettiva socio-didattica. Ogni opera che mette al centro fenomeni migratori – di altri popoli o quelli che hanno interessato noi nel passato – è oggi importante, più che mai utile per provare a capire le cose dal punto di vista umano prima di ogni altro aspetto. È questo forse il passo in avanti che ancora non è stato fatto, e che impedisce di rendersi conto che si deve gestire con umanità la questione. Io di recente ho riletto un libro di qualche anno fa, ma la storia sembra ripetersi quotidianamente proprio perché le cose non sono cambiate. E se il protagonista di questa storia vede alla fine un approdo lieto, nel mezzo i dolori e le paure sono gli stessi: Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, di Fabio Geda, uscito per Dalai editore nel 2010

 

Il libro è riporta la storia di Enaiatollah, bimbo afgano di etnia hazara che a soli 10 anni deve scappare dal paese per non essere ucciso o rapito come schiavo. La mamma lo fa partire, e così lui bbandona la famiglia, gli amici e i luoghi della sua infanzia per arrivare alla fine in Italia dopo un lungo viaggio. Un’accoglienza basata sul mercato, sul Click Day, crea enormi difficoltà per i migranti bambini e ragazzi, che sono molti, spesso in viaggio da soli – come Enaiat. Il libro è organizzato in sei capitoli, ognuno dedicato ad uno dei paesi attraversati. All’inizio, in Afghanistan, c’è un episodio atroce e illuminante al tempo stesso: nel suo villaggio d’origine Enaiat e gli altri vivevano tranquilli, senza forme di integralismo religioso, e i bambini desideravano andare a scuola, e imparare. Un’altra cultura certo, ma nessuna minaccia o difficoltà per l’interazione come spesso paventano certi politici nostrani. I talebani arrivano lì per chiudere la scuola, perché secondo loro gli hazara non devono studiare. Il maestro si oppone, e alla fine viene ucciso davanti a tutti i suoi studenti. Ma non si spegne la voglia di imparare, il desiderio di andare a scuola resta vivo in Enaiat fino alla fine, e quando arriva in Italia lo riempie di gioia poter tornare fra i banchi, vuole dare il massimo. Tanti giovani come lui hanno lo stesso atteggiamento, e il nostro obbiettivo dovrebbe essere trasformare la migrazione in un’occasione per accogliere qui persone desiderose di studiare, dar loro la possibilità di formarsi, andare incontro umanamente e al contempo fare dell’Italia un hub culturale e dell’istruzione in Europa, realizzando così le vere potenzialità del paese. Se ci sono cervelli in fuga – e alla fine portano prestigio all’Italia all’estero – ce ne sono anche tanti che vorrebbero solo arrivare qui e crescere. Questo rappresenterebbe il più grande arricchimento possibile, anche in termini economici, a patto di investire su scuola, università e ricerca, con la premessa ineludibile di un ambiente basato sul confronto fra culture – e dunque sul mantenimento vero della loro d’origine – non sull’idea di “indottrinare” per preservare intatta la nostra tradizione, che a ben guardare si rivela sempre l’esito di contatti fra diverse culture avvenuti nel tempo, contro ogni mito di purezza.[5]

 

Poi si è detto che bisogna aiutare queste persone nel loro paese, anche se viste le premesse non so quanto sia convinto il governo in queste affermazioni. In ogni caso, per poterli aiutare dobbiamo capirli, e dunque serve qualcuno che faccia lavoro di mediazione fra le due lingue e culture. Se prendiamo il continente africano o certe aree dell’Asia con le loro complessità di innumerevoli lingue, e con paradigmi culturali completamente diversi dai nostri, si è visto che spesso i progetti di cooperazione non riescono ad avere l’impatto sperato perché la comunicazione non funziona in modo ottimale, e non si instaura un rapporto costruttivo fra chi va ad aiutare e le popolazioni locali, che spesso non percepiscono attenzione per i loro bisogni, ma solo l’imposizione di idee su ciò che servirebbe loro secondo gli occidentali. Chi più di un migrante, giunto da quelle zone e che si è formato poi nel nostro paese, può al contempo avere una vita dignitosa in Italia e diventare ponte vivo per mettere in atto la cooperazione? L’integrazione autentica può arricchire sul piano culturale, sociale ed economico il nostro paese e quelli d’origine dei migranti allo stesso tempo.[6]

 

Comunque, dietro la narrazione del libro bisogna immaginare l’autore-intervistatore, che emerge direttamente solo in momentanee interruzioni della storia, in scambi diretti fra lui e il protagonista riportati in corsivo. Rispetto ad altre scritture della migrazione, questa ha una caratteristica interessante: l’autore non coincide con il protagonista ma presta la sua scrittura al migrante per raccontare e diffondere la testimonianza. L’intero testo nasce da un dialogo che resta nell’ombra, tranne nelle parti in corsivo, e la narrazione in prima persona scorre secondo lo sguardo – alle volte anche ingenuo pur davanti a fatti dolorosi – del giovane che ne è stato protagonista.[7] La scelta di trasformare il dialogo fra autore italiano e migrante in una costruzione diegetica in prima persona, con l’autore che riporta – nei toni come nel contenuto – il vissuto di Enaiat come se fosse lui stesso a parlare, è la resa testuale di un incontro, e nella stessa direzione va anche la scelta di mantenere parole straniere – trascritte in caratteri latini – per far entrare in contatto in modo più diretto il lettore con l’altra cultura, che però alla fine non ci sembra poi così distante dal punto di vista emotivo, una pagina dopo l’altra. D’altronde quando l’autore fa notare a Enaiat che nel suo racconto ci sono spesso riferimenti «a culture differenti, a mondi lontani», il ragazzo dice: «Anche fosse vero, Fabio, ora sono entrambi dentro di me, questi mondi». Perché integrazione non è sottrazione e sostituzione, ma aggiunta e arricchimento.

 

Leggendo la storia di Enaiatollah sorge forte il desiderio che le condizioni dei paesi di partenza migliorino una volta per tutte. Ma finché le cose non cambieranno la disperazione giustifica, anzi esige che quelle persone cerchino una vita migliore altrove, come tantissimi italiani hanno fatto in passato. La letteratura può testimoniare tutto ciò, e avvicinare le persone al problema. L’esperienza raccontata fa poi comprendere come le misure che i decisori politici stanno adottando sono insufficienti alla prova dei fatti. Davanti ai pericoli e al dolore di queste persone, cadono le limitazioni sui numeri e l’idea di non doverli far partire. Leggendo il romanzo si ha l’impressione che la soluzione per evitare queste tragedie sia solo avvicinarci noi il più possibile per soccorrerli, togliendo ogni spazio agli scafisti, interrompendo la possibilità di sfruttamento alla fonte. Infatti la testimonianza di Enaiat mostra che i trafficanti non sono solo quelli sui barconi, su cui si concentrano i nostri miopi politici: ogni passo dei migranti è segnato da figure del genere, ogni spostamento, ogni attraversamento di confine avviene così, e questo perché, anche fra paesi vicini su terra ferma come Afghanistan e Iran, non ci sono collegamenti stabili, ufficiali e garantiti.

 

L’Italia di cui esser contenti è quella che il ragazzo ci racconta nell’ultimo capitolo: a Venezia un uomo lo vede in difficoltà e non si chiede se è o no regolare, non pensa a segnalarlo, gli compra da mangiare, lo aiuta e gli compra un biglietto per Roma; una signora lo assiste durante un secondo spostamento in treno verso Torino, per raggiungere un amico afgano. Certo, si tratta di una persona presente sul suolo nazionale senza documenti, ma sempre e comunque un essere umano in difficoltà. «Se tutti gli italiani sono così, ho pensato, mi sa che questo è un posto in cui potrei anche fermarmi». E tutti gli italiani dovrebbero essere così. Enaiat paragona queste persone ad angeli, come la famiglia che poi lo accoglierà in casa in attesa di tutte le pratiche per il permesso di soggiorno. Il contrasto è con la commissione di burocrati che nega lo status di rifugiato ad un amico di Enaiat, e pensa di negarlo anche a lui, finché la sua storia e un articolo di giornale fatto presente dal ragazzo sulla vera situazione in Afghanistan non li convince.

Leggere queste pagine fa percepire un po’ del dolore dei campi di detenzione, che attraverso un ponte fra le due culture vengono paragonati dal ragazzo stesso ai lager, dove viene rasata la testa e si rischia di vedere annullata ogni briciola della propria umanità, a meno di non fare di tutto per conservare qualche gesto che la mantenga. E sono situazioni che hanno delle analogie in vari racconti dell’esperienza della Shoà.

 

Davanti a situazioni come queste, i libri non possono trovare soluzioni organizzative e pratiche, ma possono dare voce alle emozioni, alle esperienze, e da queste si deve partire, sennò ogni scelta è priva di valore.

L’attualità può spingere ad approfondire e ampliare i propri interessi, e queste letture possono essere una strada da seguire, soprattutto per chi ci governa, per provare a dare spazio alla sensibilità necessaria per affrontare il fenomeno migratorio. Diamo a questi libri qualche spazio in più anche nelle scuole, dove già ora qualche meritevole docente li propone. Occorre evitare certi eccessi dei postcolonial studies che deformano la realtà di un testo, così come tanti altri approcci ideologici degli studi letterari recenti. Ma negli ultimi decenni in ambito universitario – anche se di più all’estero – si è data sempre più attenzione a queste opere. Non è uno dei miei argomenti di studio ma leggo con interesse, e davanti al nostro quotidiano penso sia giusto, da lettore, raccogliere più informazioni proprio per la grande rilevanza sociale di queste opere.[8] Riscoprirle è forse oggi la scelta più adatta anche senza tante sovrastrutture e analisi, ma proprio per il loro valore di testimonianza che deve cercare una diffusione oltre l’attenzione degli specialisti, verso la società civile, la scuola, e anche la classe politica che dalla letteratura potrebbe imparare qualcosa.

 

 

Note

 

[1] Si è arrivati a proporre di eliminare le tasse solo per chi fa figli, e dunque tassare la non genitorialità. Io consiglierei ai nostri ministri di aprire un libro di storia… Ma alla fine non è neanche questione di fascismo o meno, ormai, si scelga il termine che si vuole, la questione non cambia: se si parla di sostituzione etnica, bisogna sapere che si è sulla stessa pericolosa linea di Orban, del suprematismo di Trump, e non siamo tanto distanti da molti discorsi fatti da Putin in passato e non solo. Tutti casi in cui in sostanza si allude alla ripugnante idea di una razza pura.

[2] Ora è stato deciso di non rimuovere del tutto la protezione speciale ma solo per evitare contrasti e richiami del Quirinale, nei fatti però l’intenzione marcata resta quella.

[3] Da cittadino, tra l’altro, questi numeri portano a pensare che il collasso degli hotspots, lo stato di emergenza, siano dovuti non a un eccesso in sé di migranti rispetto a quanto il sistema paese è in grado di sostenerne (espressione così tecnica, lontana dal problema umano), ma a mancanze nell’organizzazione, e su questo bisognerebbe lavorare in ottica europea, ma con altri alleati.

[4] C. Chiellino, Scritture dei migranti, in L’età moderna e contemporanea. 20. Il novecento. Il secolo breve. Letteratura, a cura di U. Eco, Milano-Roma, Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, 2012, pp. 535-546, qui p. 535.

[5] E se non è l’istruzione, per ragioni di età, tanti migranti vogliono solo poter trovare un lavoro sicuro che li faccia vivere dignitosamente, e ciò potrebbe andare solo a vantaggio del nostro sistema produttivo.

[6] Pensiamo proprio a Enaiat, che nella sua vita successiva a quanto raccontato nel libro poi in Italia si è formato, ha studiato all’università e ora mette in campo le sue conoscenze per collaborare a progetti rivolti al suo paese nella cooperazione internazionale.

[7] Su questo tipo di scelta diegetica, diffusa in altre opere recenti di testimonianza, cfr. A. Ball, Biopolitical landscapes of the “small human”: figuring the child in the contemporary Middle Eastern refugee crisis in Europe, in The Edinburgh companion to the postcolonial Middle East, a cura di A. Ball and K. Mattar, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2018, pp. 446-468, che prende in considerazioni diverse narrazioni nate dalla crisi migratoria del Mediterraneo e ricorda anche il libro di Fabio Geda.

[8] La riscoperta e la valorizzazione di questa produzione ha portato a iniziative molto interessanti anche in Italia, come le riviste El Ghibli (http://www.el-ghibli.org/) e Scritture migranti (https://scritturemigranti.unibo.it/), e la banca dati degli scrittori immigrati BASILI-LIMM in collaborazione con l’Accademia della Crusca (https://www.basili-limm.it/). L’esigenza sempre più forte di andare in questa direzione si vede anche nella pubblicazione quest’anno da parte di un importante studioso come Gino Tellini del manuale Scritture della migrazione. Per una prospettiva globale della letteratura italiana, per i tipi di Mondadori Education. Ma anche altri volumi sono usciti su questo tema, e corsi e tesi sull’argomento si stanno diffondendo.


Pezzo ripreso da https://www.leparoleelecose.it/?p=46900

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