Dalla “Lettera al compagno Kostròv da Parigi
sulla sostanza dell’amore”
Vladimir Majakovskij
Scusatemi
dunque,
compagno Kostròv,
con la larghezza di spirito
a voi propria,
se parte
delle strofe assegnatemi per Parigi
io
sciuperò
per la lirica.
Immaginate:
entra
una bella nella sala,
adorna
di pellicce e di collane.
Io
la prendo per mano
e le dico
(in modo giusto)
o sbagliato?):
– Compagna,
io sono di Russia,
ben noto nel mio paese,
ho veduto
le ragazze più leggiadre,
ho veduto
ragazze più snelle.
Alle ragazze
piacciono i poeti.
Io sono arguto,
ho una voce squillante
e le abbaglio con belle parole,
per poco
che prestino orecchio.
Non mi lascio
acchiappare
su un’inezia,
su un’effimera
coppia di sentimenti.
Io sono infatti
per l’eternità
ferito dall’amore
e mi trascino a malapena.
Per me
l’amore
non si misura con le nozze.
Ha cessato d’amarmi?
È svanita.
Compagna,
in sommo grado
me ne infischio
delle cupole.
Ma perché scendere a particolari?
Smettete gli scherzi
mia bella,
non ho vent’anni,
ma trenta…
con una codina.
L’amore
non è
nel bollire più sodo,
non è
nell’esser bruciato come carboni,
ma in ciò
che sorge dalle montagne dei petti
sopra
le giungle dei capelli.
Amare
significa
correre in fondo
al cortile
e sino alla notte corvina
con l’ascia lucente
tagliare la legna,
giocando
con la propria
forza.
Amare
è sciogliersi
dalle lenzuola
strappate dall’insonnia,
gelosi di Copernico,
lui,
e non il marito d’una Maria Ivànovna
considerando
proprio
rivale.
Per noi
l’amore
annunzia ronzando
che di nuovo
è stato messo in marcia
il motore
raffreddato del cuore.
Voi
con Mosca
avete rotto il filo.
Gli anni
sono distanza.
Come
potrei
spiegarvi
questa situazione?
Sulla terra
luci sino al cielo…
Nel cielo azzurro
stelle
sino al diavolo.
S’io
non fossi poeta,
sarei
diventato
un astrologo.
La piazza leva frastuono,
le vetture si muovono,
io cammino,
scrivendo versi
nel mio taccuino.
Sfrecciano
le auto
per la via,
ma non mi gettano a terra.
Gli intelligenti
capiscono:
quell’uomo
è in estasi.
Uno stuolo di sogni
e di pensieri
mi riempie
sino all’orlo.
Qui
anche gli orsi
crescerebbero le alette.
Ed ecco
da una
mensa dozzinale,
quando
ogni cosa è al colmo del fervore,
dalla gola
alle stelle
si alza la parola
come una cometa d’oro.
La sua coda
è distesa
su un terzo dei cieli,
brilla
e splende il suo piumaggio,
perché due innamorati
scorgano le stelle
dalla loro
pergola di lilla.
Per sollevare
e condurre
e trascinare
coloro la cui vista è indebolita.
Per troncare
le teste
dei nemici
come una caudata
sciabola sfavillante.
Trattenendo
me stesso,
come a un convegno,
sino all’ultimo battito del petto,
tendo l’orecchio:
l’amore riprende a ronzare,
umano,
semplice.
Fuoco,
uragano
ed acqua
s’avanzano con un sordo brontolio.
Chi
saprebbe
dominarsi?
Potete?
Provateci…
Traduzione di Angelo Maria Ripellino
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