«Quanto celeste, quanto
bianco, quanto
verdeazzurro vedo
nel tuo nome uno e trino».
G.Caproni, Pasolini
Caproni,
quando ancora non conosce Pasolini, si ritrova tra le mani, durante la guerra,
le Poesie a Casarsa:
«L’anno era il
1942: l’anno più chiuso a ogni nostra speranza; e io non so ridire l’emozione,
la commozione – mentre il mio zaino era pieno di bombe e di buio – che mi colse
al suono di quelle limpide sillabe. Voltai – ma non subito, per timore d’un
disinganno – la pagina. Mi batteva il cuore: più d’una fucilata m’avrebbe
ucciso, quella notte all’addiaccio sotto una luna gelida che pur bastava a
illuminarmi la furtiva lettura, una delusione. Ma non ci fu nessuna delusione.
La seconda pagina confermava, avvalorava la prima. E così la terza, così la
quarta, così le rimanenti. Giacché era la voce d’un poeta quella che, per un
miracolo, mi aveva raggiunto in così nera circostanza. Era la voce – viva –
della vita».
Caproni
conoscerà di persona Pasolini, a Roma, nel ’48.
«Eravamo già in corrispondenza fin da quando abitava ancora a Casarsa.
Povero Pier Paolo, insegnava anche lui, era allampanato e poverissimo. Arrivava
con un biglietto del tram in mano, guardava che numero aveva, sperava che gli
avrebbe portato fortuna… Abbiamo fatto insieme tante passeggiate, parlavamo
anche di poeti, ma senza dir male degli altri (…). Camminavamo in silenzio,
magari per delle ore. (…) Facevamo lunghissime passeggiate da Ponte Mammolo a
Viale Quattro Venti senza dire una parola. La sua miseria era spaventosa ed io
avevo intuito la grandissima intelligenza di quest’uomo timidissimo. Gli
presentai Attilio Bertolucci che gli fece conoscere Penna e Moravia e di lì
prese il via».
Nascerà un'amicizia profonda, sancita da un'identità di vedute sull'uomo e
sul mondo, credendo entrambi che l’antichità abbia ancora un ruolo importante
nell'oggi.
"… Enea per me è un simbolo. Enea sono io, siamo tutti. Enea non come
eroe, ma come espressione dell’uomo d’oggi con sulle spalle il peso di un
passato che vorrebbe salvare (Anchise) e con la speranza per mano (il figlio)
che deve proteggere. Deve sostenere tutti e due i fardelli e la sua forza sta
nello stoicismo di accettare la vita com’è, senza orizzonti.[…]"
( Giorgio Caproni dai caruggi al Righi. Un genovese di Livorno, un limpido
poeta, intervista a cura di Maria Luisa Valenti, «Il Secolo XIX», 14 novembre
1972.)
"Certo è che viviamo in una società (in una cultura) estremamente friabile e asimmetrica, senza una sua precisa centralità: quella centralità (favola o mito, non importa) che ebbero l’età classica, quella cristiana del primo medioevo, quella illuministica ecc. Una centralità in base alla quale poter distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto ecc. Dicono alcuni che oggi vi siano più centralità, e che ciò sia un progresso. Sarà. Ricordi comunque il mio Enea, in disperata ricerca di un luogo dove fondare la nuova città, totalmente solo nel suo esilio con sulle spalle il peso d’una tradizione ormai crollante (Anchise), e per la mano una speranza quant’altro mai incerta, incapace ancora di reggersi sulle gambe (Ascanio). Un Enea scaturito, dopo una lunga dittatura, dalla terrificante esperienza della guerra, che ha investito in pieno la mia generazione e ha lasciato tante macerie non soltanto materiali".
(da Anche un poeta ha la sua Chernobyl. Colloquio con Giorgio Caproni, intervista a cura di Aurelio Andreoli, in «Fiera», 25 luglio 1986.)
"Nel pulsare del sangue del tuo Enea
solo nella catastrofe, cui sgalla
il piede ossuto la rossa fumea
bassa che arrazza il lido – Enea che in spalla
un passato che crolla tenta invano
di porre in salvo, e al rullo d’un tamburo
ch’è uno schianto di mura, per la mano
ha ancora così gracile un futuro
da non reggersi ritto. Nell’avvampo
funebre d’una fuga su una rena
che scotta ancora di sangue, che scampo
può mai esserti il mare (la falena
verde dei fari bianchi) se con lui
senti di soprassalto che nel punto,
d’estrema solitudine, sei giunto
più esatto e incerto dei nostri anni bui?"
da Il passaggio d’Enea, IV
Giorgio Caproni (7.1.1912 - 22.1.1990)
Pier Paolo Pasolini – in un articolo del 1956, pubblicato su “Il Punto”, in
concomitanza con Il passaggio d’Enea – riteneva Caproni “uno degli uomini più
liberi del nostro tempo letterario”.
Così Pasolini a Caproni:
«Anima armoniosa, perché muta e, perché scura, tersa:
se c’è qualcuno come te, la vita non è persa».
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