<<Forse un attentato, forse un suicidio. Non è ancora chiara la causa della morte di Giuseppe Impastato, dilaniato dall’esplosione di una bomba sui binari del treno Palermo-Trapani. Impastato, 30 anni, era candidato nelle liste di “Democrazia Proletaria”, alle elezioni comunali del 14 maggio a Cinisi>>. (Corriere della sera, 10 maggio 1978)
Per i carabinieri è abbastanza. Fanno presto, prima del solito. È un terrorista, anzi no, un dinamitardo suicida. Il caso è chiuso. Cartabollato. Non la vogliono proprio spiccicare la parola: “Mafia”.
Ma la biografia di Peppino sta lì, bella come il sole, a sbugiardare chi lo vuole ammazzare ancora.
Cinisi è un paesello che si sdraia sulla baia del Corallo, ad una manciata di chilometri dal capoluogo siciliano. Qui, come in tutta la Sicilia occidentale, spadroneggia la mafia che traffica tutto il trafficabile. Dicono in giro che non si muova paglia se non lo voglia il capo dei capi, Gaetano Badalamenti. <<Don Tano>>, così lo chiamano sottovoce i suoi fedelissimi di dubbia costituzione civile. Tutti agli ordini e <<nenti so>>.
Chi non gli ha mai fatto la riverenza è Peppino. Proprio no. Lui lo sfotte dalla mattina alla sera. Lo chiama <<Don Tano seduto>>, il grande capo di <<Mafiopoli>>.
Lo sfotte dai microfoni di “Radio Aut”, che ha accroccato insieme ad una ventina di compagni coraggiosi come lui. Quando il vento gira per il verso giusto il segnale arriva pure a Castellammare del Golfo. Una trentina di chilometri da <<u paìsi >>.
Dalle frequenze dei 98.800, Peppino non le manda a dire, ne ha per tutti: il sindaco, l’assessore, il notaio, il parroco, il maresciallo.
Peppino Impastato ha letto Leonardo Sciascia e imparato che <<la mafia è dentro di noi. Si infiltra come una religione. Ti convince che anche quello che ti spetta non è un diritto, ma un favore. La “Mafia” distribuisce equamente lavoro e morte, soperchierìa e protezione>>.
La cosa più paradossale che Peppino è figlio di una <<famigghia mafiosa>>. Il lezzo maleodorante della mafiosità lo ha respirato sin da <<picciriddu>>.
Suo padre è alla testa di un piccolo clan. Si è fatto uomo d’onore durante il fascismo, tanto da collezionare tre anni di confino a Ustica per attività mafiose.
Suo zio, Cesare Manzella, è stato il capo incontrastato della cupola mafiosa fino al 1963 quando lo fanno saltare in aria con una autobomba. Anche il padre di Peppino fa una brutta fine. Viene investito e ucciso da una macchina.
Morto Manzella, lo scettro passa al suo braccio destro: Gaetano Badalamenti. <<Don Tano>>, imbastisce in pompa magna il traffico di eroina con gli Stati Uniti. Si è fatto costruire a suo uso e consumo l’aeroporto di Punta Raisi, ad un tiro di schioppo da Cinisi.
Lì l’ha voluto e lì l’hanno costruito, nonostante tutti i pareri tecnici avessero individuato un’altra area, quella compresa tra l’Astra e Acqua dei Corsari.
L’opera venne sfiocchettata nel 1960 e vennero subito a galla tutte le magagne. Quella più grossa era rappresentata dai venti meridionali di scirocco. Smitragliate di aria bollente che rendevano “Punta Raisi” un luogo poco ospitale per rullate, decolli ed atterraggi.
Per rendere lo scalo meno impraticabile venne realizzata un’ulteriore pista trasversale rispetto alle altre due, per la quale l’amministrazione comunale decise d’imperio una raffica di procedure d’esproprio. Con la forza vennero fatti sloggiare dalle loro terre duecento famiglie contadine.
Zitti e mosca, tranne il solito rompi coglioni di Peppino che fino all’ultimo respiro denuncia uno spudorato saccheggio che grida vendetta. Anche per questo gli hanno fatto fare il “botto”.
Vito, Faro, Salvo e Giovannino i compagni della radio fanno quello che avrebbero dovuto fare i carabinieri. Cercano e trovano la prova schiacciante dell’esecuzione di Peppino: una pietra macchiata di sangue in un casolare poco distante la ferrovia. I suoi assassini - i picciotti di Don Tano - lo hanno prima colpito, poi trascinato sulle rotaie e fatto saltare in aria con dieci candelotti di esplosivo.
Peppino Impastato nato a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio del 1942: <<Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi. Prima di non accorgerci più di niente>>.
Alfredo Facchini
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