Piero Gobetti:
elogio di Gramsci
Sul numero del 22 aprile 1924 de La Rivoluzione
liberale, subito dopo le ultime semilibere elezioni politiche del 6 aprile,
Piero Gobetti tesseva questo elogio di Antonio Gramsci,
appena eletto deputato nazionale.
“Antonio Gramsci va alla nuova Camera fascista come rappresentante degli
operai del Veneto. È davvero la Rivoluzione, sconfitta, che va in Parlamento a
predire sciagure ai vincitori. È il primo rivoluzionario che entra a
Montecitorio! Altro che rompere le urne e provocare scandali rumorosi! Bombacci
e Misiano erano delle riproduzioni fotografiche di Enrico Ferri; era la
rivoluzione dilettosa per le cronache dei buoni borghesi. Il piano ideologico e
lo stile di questi agitatori assomigliava stranamente a quello di Mussolini.
Se Gramsci parlerà a Montecitorio vedremo probabilmente i deputati fascisti
raccolti e silenziosi a udire la sua voce sottile ed esile e nello sforzo di
ascoltare parrà loro di provare un'emozione nuova di pensiero. La dialettica di
Gramsci non protesta contro i brogli o le truffe ma ne documenta dalle pure
altezze dell'idea hegeliana, la insopprimibile necessità per un governo
borghese. I suoi discorsi saranno condanne metafisiche, le invettive risentiranno
dei bagliori d'una palingenesi.
Bisogna pensare a tutta la sua formazione spirituale negli anni di
Università a Torino per spiegarsi il suo odio contro la società. L'odio di
Gramsci è uno degli esempi più convincenti che io conosca di orgogliosa nobiltà
e di dignità ferita. Il suo socialismo è prima di tutto una risposta contro le
offese della società alla sua solitudine di sardo emigrato.
La sua sociologia ascetica, l'assolutezza filosofica dei suoi atteggiamenti
giacobini sono nutriti di sofferenza personale. Una sofferenza diventata così
intimamente aristocrazia di carattere che può deridere tutti i compatimenti
della morale borghese e documentare la sfacciata crudeltà della filantropia. È
difficile trovare un tipo così caratteristico di schietto marxismo, una
coscienza così superba e ferma di plebeo che non si rinnega.
Ma già nell'istinto c'era il disprezzo per tutta questa semi-borghesia, e
l'istinto maturò nelle campagne isolane, dove le opinioni politiche giungono
logicamente sino all'abigeato e alla pratica dell'assassinio vendicatore.
Tuvieri mostrava cent'anni fa ai repubblicani della penisola, che fuori di
ogni ipocrisia la logica era coi monarcomachi: anche Gramsci invoca delle
conclusioni fedeli alle premesse, senza mezze misure. Pare venuto dalla
campagna per dimenticare le sue tradizioni, per sostituire l'eredità malata
dell'anacronismo sardo con uno sforzo chiuso e inesorabile verso la modernità
del cittadino. Porta nella persona fisica il segno di questa rinuncia alla vita
dei campi, e la sovrapposizione quasi violenta di un programma costruito e
ravvivato dalla forza della disperazione, dalla necessità spirituale di chi ha
respinto e rinnegato l'innocenza nativa. Antonio Gramsci ha la testa di un
rivoluzionario; il suo ritratto sembra costruito dalla sua volontà, tagliato
rudemente e fatalmente per una necessità, che dovette essere accettata senza
discussione: il cervello ha soverchiato il corpo. Il capo dominante sulle
membra malate sembra costituito secondo i rapporti logici di una grande utopia
redentrice, e serba dello sforzo una rude serietà impenetrabile; solo gli occhi
mobili e ingenui ma contenuti e nascosti dall'amarezza, interrompono talvolta
con la bontà del pessimista il fermo rigore della sua razionalità. La voce é
tagliente come la critica dissolvitrice, l'ironia s'avvelena nel sarcasmo, il
dogma vissuto con la tirannia della logica toglie la consolazione
dell'umorismo. C'è nella sua sincerità aperta il peso di un corruccio
inaccessibile; dalla condanna della sua solitudine sdegnosa di confidenze,
sorge l'accettazione dolorosa di responsabilità più forti della vita, dure come
il destino della storia; la sua rivolta é talora il risentimento e talora il
rancore più profondo dell'isolano che non si può aprire se non con l'azione,
che non può liberarsi dalla schiavitù secolare se non portando nei comandi e
nell'energia dell'apostolo qualcosa di tirannico. L'istinto e gli affetti si
celano ugualmente nella riconosciuta necessità di un ritmo di vita austera
nelle forme e nei nessi logici; dove non vi può essere unità serena ed armonica
supplirà la costrizione, e le idee domineranno sentimenti ed espansioni.
L'amore per la chiarezza categorica e dogmatica, propria dell'ideologo e
del sognatore gli interdicono la simpatia e la comunicazione sicché sotto il
fervore delle indagini e le esperienze dell'inchiesta diretta, sotto la
preoccupazione etica del programma, sta un rigorismo arido e una tragedia
cosmica che non consente un respiro di indulgenza. Lo studente conseguiva la
liberazione della retorica innata nella razza negando l'istinto per la
letteratura e l'agile gusto nelle ricerche ascetiche del glottologo; l'utopista
detta oggi il suo imperativo categorico agli strumenti dell'industria moderna,
regola colla logica che non può fallire i giri delle ruote nella fabbrica, come
un amministratore fa i suoi calcoli imperturbabile, come il generale conta le
unità organiche apprestate per la battaglia: sulla vittoria non si calcola, non
si fanno previsioni perché la vittoria sarà il segno di Dio, sarà il risultato
matematico del rovesciamento della praxis. Il senso etico é dato qui dalla
tolleranza e dalla sicurezza silenziosa: c'è la borghesia che lavora
alacremente per la vittoria del proletariato.
Più che un tattico o un combattente Gramsci é un profeta. Come si può esserlo oggi: inascoltati se non dal fato. L'eloquenza di Gramsci non rovescerà nessun ministero. La sua polemica catastrofica, la sua satira disperata, non attendono consolazioni facili. Tutta l'umanità, tutto il presente gli è in sospetto. Chiede la giustizia a un feroce futuro vendicatore.”
PIERO GOBETTI
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