Il sogno di un mondo alla
rovescia
06 Gennaio 2024
Avevo tre o quattro anni; mio padre era in Canada.
All’imbrunire la nonna disse alla mamma: vado con il bambino alla bottega.
Ricordo l’arrivo in piazza, la mano nella sua. A sinistra della chiesa madre,
c’era un negozio di generi alimentari. Entrammo. La nonna e il
proprietario erano cugini. Dopo i convenevoli, la nonna disse: «Sono venuta a
fare la Befana al bambino» e cominciò a scegliere dagli stipi caramelle,
confetti, susumelle, torroni. Io la guardavo: sorpreso, curioso e compiaciuto.
Scoprire in quel modo che la Befana era lei non fu un trauma, né attenuò le mie
attese. Per anni continuai a scrivere letterine alla Befana in cui chiedevo
dolci, promettendo di diventare più buono. La cultura e i rapporti sono fatti
di finzioni, di teatro e di recite. Perché la Befana ci rendesse felici, i
padri erano andati lontano.
La Befana – un po’ strega, un po’ Quaresima, un po’
maga generosa, un po’ nonna amabile – era attesa con un misto di ansia e di
speranza. Per i ragazzi della mia
generazione non esisteva Babbo Natale, invenzione recente di una tradizione
globale dalla cui diffusione, nella versione più americanizzata e consumistica,
quei ragazzi divenuti adulti si sarebbero fatti travolgere. La Befana portava
doni sobri, frutta secca, qualche biscotto, le prime caramelle. Era uno
spauracchio per farci stare buoni: «Quest’anno la Befana ti porta cenere e
carbone». «Signor maestro – domandò un giorno un mio compagno che lavorava in
campagna col padre – ma è vero che adesso la Befana mi porta cenere e
carbone?». «Magari – rispose il maestro – almeno avresti cosa mettere nel tuo
“bracereju”». Il piccolo braciere: prima di andare a scuola, mettevamo in un
contenitore di latta cenere, pezzi di carbone e qualche brace del camino o del
braciere. Sotto il banco, doveva riscaldarci per tutta la mattinata nelle aule
fredde e umide. L’aria a volte diventava irrespirabile; per questo si mettevano
le bucce di arancia sopra il carbone, per attenuare l’odore delle scarpe di gomma
aperte e inzuppate, o dei piedi scalzi e gelati. Notte dell’Epifania gli
animali prendevano la parola e potevano dire male dei padroni che li avevano
maltrattati e non ben nutriti. Il sogno di un mondo alla rovescia
riportava all’età dell’oro, ai miti di Giano e Saturno, al desiderio di
cambiamento e di benessere. Un rovesciamento-ribaltamento dell’ordine abituale
sociale e l’affermazione di un diverso ordine naturale in cui uomini, animali,
natura, cose erano sullo stesso piano e facevano parte di un’unica vicenda
cosmica. La mattina della Befana si andava a messa e alla sera si
“cantava il presepe”, si baciava il Bambino prima di riporlo. Ricordo il senso
di vuoto quando i poveri pastori fatti con la creta, avvolti nei fogli di
giornale, venivano rimessi in una scatola di cartone.
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Ricordare la Befana della mia infanzia mi permette di
far rivivere gli istanti finali di un mondo al crepuscolo; forse, di tenere
accese le ultime braci che rivelano un bisogno di calore dato da legami e
rapporti veri. A essere scarsi non sono i beni, ma il loro valore simbolico. In
questo nostro mondo distratto e obeso, ingordo e preoccupato (il cui altro
volto sono milioni di affamati e assetati) resistono e rivivono schegge che,
tra passato e presente, tradizione modernità, ci segnalano la potenza dei limiti
e dei margini. Ricordare quei tempi di attesa e
sobrietà mi aiuta a capire quanto abbiamo sbagliato a continuare lungo una
strada che faceva perdere di vista il punto di partenza. Era davvero
obbligatorio passare dalle ristrettezze agli sprechi, dalle scarpe bucate alle
cento paia di scarpe inutili? La sensazione è che noi adulti cerchiamo di
salvarci l’anima per altre mancanze nei confronti dei figli e che a figli e
nipoti tocchi recitare la parte dell’infelicità e dell’insoddisfazione
ricevendo regali costosi, mai troppi, mai perfetti.
Questo presepe
è stato realizzato nel 2023 dal giornalista e saggista Michele Albanese, nella
sua casa di Cinquefrondi, dove vive sotto scorta, per avere dato testimonianza
di amore per la sua terra
Ognuno, come diceva Alvaro, è responsabile del proprio
tempo: deve fare i conti con quello presente, con le sue e le nostre
contraddizioni. Una nuova pedagogia, etica ed ecologia del donare e
della convivialità forse sono ancora possibili. Servirebbe un nuovo
modello di sviluppo capace di annullare le grandi disuguaglianze; una
politica in grado di pensare che beni e risorse non sono illimitati e
appartengono a tutti. Il sogno di nuove forme di rovesciamento dell’attuale
insopportabile e suicida ordine del mondo.
Di quello che ricordo e racconto in questo articolo
(la cui prima versione è apparsa qui nel 2019) non esiste dunque più
nulla. Tutto è cambiato, si è sfarinato. Ma, forse, parlarne e scriverne
continua a mantenere in vita quanto è accaduto e può dare un senso a quel che
resta. E ricordare la Befana della mia infanzia mi permette di far rivivere gli
istanti finali di un mondo al crepuscolo; forse, di tenere accese le ultime
braci che rivelano un bisogno di calore dato da legami e rapporti veri.
Ricordare quei tempi di attesa e sobrietà mi aiuta a capire quanto abbiamo
sbagliato a continuare lungo una strada che faceva perdere di vista il punto di
partenza. Penso che quanto scrivevo prima che esplodesse la pandemia, che ha
segnato e segna il corpo, la mente, la vita di tutti noi, abbia una sua
attualità in un mondo che sembra non voler capire quanto è accaduto e
dove appare inquietante la “grande cecità” (Amitav Ghosh) che quasi tutti, in
maniera diversa, e con differenti responsabilità, abbiamo dinnanzi alle
mutazioni climatiche e alle grandi ingiustizie sociali a livello locale e
globale.
Se dobbiamo credere e accettare le bugie, gli inganni,
le menzogne degli uomini e delle donne di potere, forse è meglio continuare a
credere nella Befana, in un mito che indica comunque altre strade possibili
rispetto alla razionalità, alla tecnica e all’economia di chi sta distruggendo
il pianeta.
Articolo ripreso da https://comune-info.net/il-sogno-di-un-mondo-alla-rovescia/
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