IL
GRAMSCI DI PASOLINI
L'
anno scorso sono stati pubblicati gli atti di un importante Convegno di studi,
svoltosi a Casarsa della Delizia (UD), intitolato IL GRAMSCI DI
PASOLINI (Marsilio Editori, Venezia 2022). Il curatore degli Atti,
Paolo Desogus (docente di letteratura italiana alla Sorbona di Parigi)
nell'Introduzione ha dovuto riconoscere che sono stati ben pochi gli studi che
hanno messo a fuoco il rapporto tra Gramsci
e Pasolini. Tra i pochi è stato notato il saggio che lo scrivente ha
pubblicato, nel novembre del 2011, sulla rivista dell'Università di
Barcelona Quaderns d' Italià , con il
titolo Lingua e potere in Pier Paolo Pasolini.
Dopo 22
anni è stato finalmente riconosciuto che in questo saggio, riprendendo e
sviluppando originalmente, in modo documentato, una intuizione del compianto
Prof. Tullio De Mauro, sono stato tra i primi a dimostrare l'origine gramsciana
di gran parte dell'opera pasoliniana.
Il poeta
e regista bolognese, dopo le sue prime letture del grande pensatore sardo, nei
primi anni sessanta, sulle pagine del settimanale comunista Vie
Nuove, ha mostrato di aver ben assimilato la lezione pedagogica
gramsciana e, fin dal 1965, dopo aver rilevato la deformazione dogmatica del
creativo pensiero critico di Marx e Gramsci, si è posto il compito di costruire
«un nuovo modo d’essere gramsciani» per comprendere meglio il neocapitalismo.
Più precisamente Pasolini, dopo aver rivendicato con orgoglio di essere stato
un marxista critico e di aver dato un contributo originale
allo storicismo gramsciano, afferma, memore della classica lezione marxiana:
bisogna tenere presente l’assioma primo e fondamentale
dell’economia politica, cioè che chi produce non produce solo merci, produce
rapporti sociali, cioè umanità.
Ora, aggiunge Pasolini, dato che il neocapitalismo ha
rivoluzionato il vecchio modo di produzione e tramite la produzione di beni
superflui e il consumismo ha trasformato antropologicamente gli italiani, i
vecchi comunisti non sanno più cosa fare. Nella confusione tendono a
trasformarsi in «un nuovo tipo di chierici» che, non tenendo conto dei
cambiamenti profondi avvenuti negli ultimi dieci anni, ripetono salmodicamente
il catechismo marxista-leninista, accusando di eresia tutti coloro che la
pensano diversamente:
dove ho scritto che bisogna ritornare indietro? Dove? Vedete punto
per punto, e io [...] vi dico no: avete capito male, vi siete sbagliati, non
intendo affatto ritornare indietro, appunto perché mi pongo i problemi più
attuali, fiuto i problemi del momento [...] Gramsci lavorava quaranta anni fa,
in un mondo arcaico che noi non osiamo neppure immaginare [...] puoi ricordarmi
Gramsci come anello di una catena storica che porta a fare nuovi ragionamenti
oggi, a riproporre un nuovo modo di essere progressisti, un nuovo modo di
essere gramsciani.
Come si vede, anche queste parole confermano l’immagine data di sé
nell’intervista ad Arbasino del 1963: «la mia caratteristica principe è
la fedeltà».
Uno dei lettori più attenti delle ultime opere di Pasolini
(Dagli Scritti corsari agli ultimi versi friulani, dalle Lettere luterane a
Salò) è stato Gianni Scalia. Amico e collaboratore del poeta fin dagli anni
cinquanta, quando si ritrovarono, insieme a Franco Fortini, Francesco Leonetti,
Angelo Romanò e Roberto Roversi, a redigere la rivista Officina.
I due vecchi amici, dopo aver seguito strade diverse, si
ritrovano di nuovo in sintonia un mese prima che Pasolini venga assassinato. Lo
dimostra un importante carteggio che si trova oggi in Appendice alla riedizione
arricchita di un libro dello Scalia (La mania della verità. Dialogo con Pier
Paolo Pasolini, Portatori d'acqua Editori, Urbino 2020, pp. 242-245) È
quest’ultimo a riaprire il dialogo con l’amico nel settembre del
1975, con una lettera in cui si compiace di notare come solo chi non vuole
capire si ostina a fraintendere il senso dei suoi ultimi articoli pubblicati
sul Corriere della Sera, accusandolo di “irrazionalismo, vitalismo,
arcaismo eccetera eccetera”. Al contrario Scalia, intravedendo tra le righe
pasoliniane l’antico spirito critico marxiano, propone di “tradurre” in termini
marxisti gli articoli dell’ amico.
Il successivo 3 ottobre
Pasolini risponde con entusiasmo a Scalia affermando: «La tua idea di
“tradurre” in termini di economia politica ciò che io dico giornalisticamente
mi sembra non solo bellissima, ma da attuarsi subito». Purtroppo il poeta non
fa in tempo a leggere la “traduzione” dell’amico che, comunque, mantiene
l’impegno scrivendo, tra l’altro: «Credo che l’ultima ricerca di Pasolini (la sua scoperta di Marx)
sia tutta qui: capire la società del capitale nella sua ultima figura; chiedere
di essere aiutato a capire sempre di più, e più profondamente; di essere
aiutato cioè tradotto. Insomma, Pasolini stava facendo, a suo modo, con i suoi
mezzi e la sua cultura, attraverso le sue intuizioni, un’analisi della società
del capitale da marxista, (…), in mezzo a marxisti progressisti e storicisti:
ritrovava l’analisi della totalità del Capitale, della sua produzione non solo
di merci e di plusvalore ma di rapporti sociali (…) totalmente alienati nella
mercificazione (…). Riconosceva, in mezzo a un marxismo endemico, o, meglio,
introuvable, l’analisi marxiana, incentrandola in tre grandi questioni: la
“mutazione antropologica” prodotta dal capitale nella sua ultima figura di
‘modernità’; la totalizzazione e socializzazione del modo di produzione
capitalistico nel ‘produttivismo-consumismo’; il “genocidio delle culture”
(secondo una espressione marxiana del Manifesto, che continuava a ‘recitare’)
nella produzione culturale capitalistica».
La storia di Pasolini è stata, in gran parte, una storia di
incomprensioni. Come ha ben visto Gianni Scalia, dopo la sua morte, i mezzi di
comunicazione di massa si sono impadroniti di lui:
il poeta bolognese è stato «interpretato,
giudicato, commemorato: encasillado (come direbbe Unamuno). Ma
non compreso. Chiedeva di essere aiutato nella
sua ricerca dei “perché” della condizione presente […]. Faceva domande e
sollecitava risposte[...]. Gli si rispondeva con i silenzi puntuali, le
polemiche […], o, come diceva con il “silenzio”».
(G. Scalia, La mania della verità. Dialogo con Pier Paolo
Pasolini, Portatori d'acqua Editori, Urbino 2020, p. 51).
Naturalmente, quanto sopra esposto in modo sommario, lo potete
leggere, in modo più articolato e documentato, nel mio ultimo libro Eredità
dissipate. Gramsci Pasolini Sciascia, Diogene Multimedia, Bologna 2023, II edizione rivista ed ampliata.
FRANCESCO VIRGA
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