Non molto tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un poeta già
famoso nonostante la sua giovane età, feci una passeggiata in una contrada
estiva in piena fioritura. Il poeta ammirava la bellezza della natura intorno a
noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza
era destinata a perire, che col sopraggiungere dell’inverno sarebbe scomparsa:
come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli
uomini hanno creato e potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti
amato e ammirato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato.
Da un simile precipitare nella transitorietà di tutto ciò che è bello e
perfetto sappiamo che possono derivare due diversi moti dell’animo. L’uno porta
al doloroso tedio universale del giovane poeta, l’altro alla rivolta contro il
presunto dato di fatto. No! è impossibile che tutte queste meraviglie della
natura e dell’arte, che le delizie della nostra sensibilità e del mondo esterno
debbano veramente finire nel nulla.
Crederlo sarebbe troppo insensato e troppo nefando. In un modo o nell’altro
devono riuscire a perdurare, sottraendosi ad ogni forza distruttiva.
Ma questa esigenza di eternità è troppo chiaramente un risultato del nostro
desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: ciò che è doloroso può
pur essere vero. Io non sapevo decidermi a contestare la caducità del tutto e
nemmeno a strappare un’eccezione per ciò che è bello e perfetto.
Contestai però al poeta pessimista che la caducità del bello implichi un
suo svilimento.
Al contrario, ne aumenta il valore! Il valore della caducità è un valore di
rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo
pregio.
Sigmund Freud
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