Militarismo, genocidio e clima
Silvia RibeiroÈ vero, di tanto in tanto, se ne parla sottovoce. Può capitare che in uno ogni cento, ma forse mille, articoli e servizi televisivi dedicati alla strage del 7 ottobre e allo sterminio infinito di Gaza si faccia anche riferimento alle conseguenze ambientali per il resto del pianeta. Ma avete presente quando Biden, per citare soltanto uno di quei grandi signori della guerra, ammoniva con tutta l’enfasi di cui è capace che “la lotta ai cambiamenti climatici è un imperativo”? Accadeva, poco più di un anno fa, e accadrà di nuovo, a lui o ai suoi successori e ai colleghi, Meloni compresa. Ecco, è in quelle occasioni che bisognerebbe ricordare loro quel che segnala in questo articolo Silvia Ribeiro: “Le emissioni derivanti dalla “risposta
” militare israeliana all’attacco di Hamas in 60 giorni equivalgono alla combustione di 150mila tonnellate di carbone”. Sono state dunque superiori all’impronta di carbonio annuale di oltre 20 delle nazioni più vulnerabili al clima del mondo. Il calcolo include la CO2 generata dalle missioni di bombardamento aereo, il carburante per i carri armati e altri veicoli, nonché i gas generati dall’esplosione di bombe, artiglieria e razzi. Non include invece la stima di altri gas serra, come il metano. La metà delle emissioni prese in esame corrispondono agli aerei cargo statunitensi che trasportano materiale bellico in Israele. Naturalmente, il discorso non vale solo per il genocidio dei Palestinesi in corso. Si calcola che il militarismo e le ginnastiche belliche che impazzano ovunque causino tra il 5 e il 6% delle emissioni globali di gas serra, più di tutte quelle prodotte dai trasporti commerciali aerei e marittimi messi insieme, eppure la maggior parte delle attività militari non vengono proprio prese in considerazione quando si parla di crisi climatica nei media e nei solenni vertici europei e mondiali dedicati alla… protezione dell’ambiente. Una cronica dimenticanza, quella del verde militare, che non è più tollerabile. Ricordiamocene, almeno noi, e diciamolo ai nostri figli quando a scuola sono chiamati a partecipare ai progetti sull’Agenda 2030
L’11 gennaio 2024, il Sudafrica, sostenuto da più di 60 paesi e 900 organizzazioni civili, ha presentato una solida causa contro Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite per il crimine di genocidio. Sono state prodotte prove convincenti di intenzionalità e molteplici violazioni da parte di Israele della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.
Israele ha sostenuto che l’attacco di guerra sistematico contro la popolazione civile palestinese è una risposta e una difesa contro l’attacco indubbiamente terribile del movimento Hamas del 7 ottobre 2023, con centinaia di morti civili. Evita opportunamente di menzionare che Hamas è stato originariamente creato con il sostegno dello stesso Israele per dividere i movimenti palestinesi, in particolare per indebolire l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, allora guidata da Yasser Arafat, che contava su un importante sostegno presso le Nazioni Unite. Questa non è una teoria del complotto, ma un fatto pubblicamente riconosciuto dal generale israeliano Yitzhak Segev al New York Times. Per Israele, Hamas avrebbe rappresentato un importante fattore di divisione interna in Palestina, ma anche un elemento più aggressivo e radicale che sarebbe stato più facile da condannare dall’esterno.
Con oltre 23mila morti in soli tre mesi – il 70% dei quali sono stati donne, bambini e bambine –, più di 60mila feriti – nella stragrande maggioranza civili – e il 90% degli edifici distrutti, soprattutto ospedali, scuole, abitazioni e servizi, è difficile pensare che il genocidio in corso da parte del governo israeliano contro il popolo palestinese a Gaza possa avere un impatto più devastante. Tuttavia, le ripercussioni negative di questa guerra colpiscono anche il resto del pianeta a livelli più profondi di quanto pensiamo.
Uno studio condotto da ricercatori di università del Regno Unito e degli Stati Uniti, recensito dal quotidiano britannico The Guardian, ha rivelato che le emissioni di gas serra (GHG) nei primi 60 giorni di guerra a Gaza hanno superato le emissioni totali di oltre 20 paesi altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici.
Pubblicato il 5 gennaio, lo studio stima che in 60 giorni, a partire dal 7 ottobre, siano state rilasciate 281mila tonnellate di anidride carbonica (CO2), il 99% delle quali è stato attribuito ai bombardamenti aerei e all’invasione di terra di Israele a Gaza.
I ricercatori hanno preso in considerazione solo le attività con la maggiore intensità nella generazione di gas serra, ma non tutte le fonti di emissioni, quindi si tratta certamente di una stima al ribasso. Le emissioni derivanti dalla “risposta
” militare israeliana all’attacco di Hamas in 60 giorni equivalgono alla combustione di 150mila tonnellate di carbone. Questo calcolo include la CO2 generata dalle missioni di bombardamento aereo, il carburante per i carri armati e altri veicoli, nonché i gas generati dall’esplosione di bombe, artiglieria e razzi. Non include la stima di altri gas serra, come il metano. La metà delle emissioni stimate corrispondono agli aerei cargo statunitensi che trasportano materiale bellico in Israele.
I razzi lanciati da Hamas nello stesso periodo sono stati stimati in 713 tonnellate di CO2, equivalenti alla combustione di 300 tonnellate di carbone, in questo senso lo studio evidenzia anche un esempio dell’enorme differenza tra gli apparati bellici impiegati.
Gli autori della ricerca stimano che la ricostruzione dei 100.000 edifici distrutti comporterà l’emissione di almeno 30 milioni di tonnellate aggiuntive di carbonio. Sottolineano poi che lo studio su Gaza è solo un’istantanea dell’immensa impronta climatica ed ecologica del militarismo e dei conflitti bellici. Riferiscono infatti che, secondo altri studi precedenti, se venissero presi in considerazione tutti gli elementi della catena industriale-militare che emettono CO2 o equivalenti, le emissioni di gas serra risultanti sarebbero da cinque a otto volte maggiori.
Il militarismo e le guerre, oltre alla massiccia perdita di vite umane e ad essere fonte di devastazione e inquinamento ambientale, di distruzione della natura e degli esseri viventi, sono anche un fattore molto importante nella crisi climatica, cosa che genera più sofferenze, migrazioni e perdita di vite umane.
Sebbene diversi studi sull’argomento stimino che essi causino tra il 5 e il 6% delle emissioni globali di gas serra (più di tutte quelle causate dai trasporti commerciali aerei e marittimi messi insieme), la maggior parte delle attività militari non vengono prese in considerazione al momento in cui si calcolano le emissioni per paese nel database della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Anche per questo, nella recente COP28 tenuta negli Emirati Arabi Uniti, le proteste di organizzazioni e movimenti contro il genocidio di Gaza sono state costanti, così come quelle contro tutte le guerre e l’aumento del militarismo in generale, che è inseparabile e contribuisce ad aumentare l’ingiustizia climatica.
* Ricercatrice del Gruppo ETC
Pezzo ripreso da https://comune-info.net/militarismo-genocidio-e-clima/
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