27 giugno 2013

BRIGITTE BARDOT UN MITO D'ALTRI TEMPI...




Per i giovani d'oggi credo che sia difficile comprendere cosa ha rappresentato BB per i giovani degli anni 60 e 70. Per farsene un'idea - almeno dal punto di vista intellettuale - può essere utile rileggere quello che ne ha scritto Simone de Beauvoir:


Una notte di Natale, Brigitte Bardot è apparsa sullo schermo televisivo. Nella tenuta abituale: blue-jeans, maglione, capelli in disordine, pizzicava una chitarra, accoccolata su un divano. «Niente di speciale, lo farei altrettanto bene, non è neanche bella, ha un viso da servetta» dicevano le donne, gli uomini non potevano far a meno di divorarla con gli occhi, ma come controvoglia, e sogghignavano. Su trenta spettatori, eravamo solo in due o tre a trovarla incantevole; poi si è esibita in un eccellente numero di danza classica. «Sa danzare» ammisero a denti stretti. Ancora una volta mi resi conto che Brigitte Bardot nel suo paese non è amata. Quando ai Champs Elysées fu proiettato il film «Et Dieu créa la femme» che era costato 140 milioni di franchi, gli incassi ne fruttarono meno di 60. Lo stesso spettacolo ha raggiunto negli U.S.A. i 4 milioni, in dollari, d’incassi: grosso modo il costo di 2.500 Dauphine. B.B., oggi, merita di essere considerata un prodotto da esportazione importante come le automobili Renault. Giunta ad essere il nuovo idolo della gioventù americana, stella internazionale di prima grandezza, i suoi connazionali continuano ad osteggiarla. Non passa settimana senza che la stampa non ci dia ragguagli sui suoi ultimi umori, amori, o non ci proponga un’interpretazione inedita della sua personalità; ma il cinquanta per cento di queste notizie lascia trapelare del malanimo.
Quotidianamente Brigitte riceve trecento lettere di ammiratori di ambo i sessi; ogni giorno madri indignate scrivono ai direttori dei più diffusi giornali, alle autorità religiose e laiche, protestando contro la sua esistenza. Quando ad Angers, tre giovani di buona famiglia per gioco ozioso uccisero sul treno un vecchio nel sonno, le famiglie degli scolari unite, denunciarono B.B. al signor V. Chatenay, sindaco della città: era lei la vera responsabile del delitto; si era permessa la proiezione ad Angers di «Et Dieu créa la femme»: il pervertimento dei giovani era stato immediato. Non mi meraviglia il fatto che il Vaticano, nel padiglione allestito a Bruxelles, abbia scelto B.B. come simbolo del male, né che ovunque, negli stessi U.S.A., i ben noti specialisti della morale abbiano brigato per vietare l’importazione dei suoi films. Non è cosa nuova che i moralisti identifichino la carne e il peccato, con nell’animo la segreta speranza di poter ridurre in cenere le opere d’arte, i libri, i films che la rappresentano con compiacenza o franchezza. Ma questo pudore ufficiale non spiega la particolare animosità del pubblico francese verso Brigitte Bardot. Nei suoi films di successo anche Martine Carol era avara di vesti e generosa verso natura e nessuno gliene voleva; quasi tutti invece concordano nel considerare Brigitte Bardot un monumento d’immoralità: perché il personaggio fabbricato da Marc Allegret e soprattutto da Vadim scatena tanta ostilità?

Poco importa che Dio abbia originato Eva da una costola piuttosto che da una vertebra, se si vuol capire ciò che Brigitte Bardot rappresenta, poco importa conoscere l’intima fisionomia della giovane donna chiamata Brigitte Bardot. Il suo pubblico ammira e critica la creatura immaginaria dello schermo che un vasto apparato pubblicitario ha già reso familiare. Nella misura in cui è esposta, la sua vita privata è un contributo valido almeno quanto le interpretazioni cinematografiche alla sua leggenda, la quale, pure, è postilla recente a un antichissimo mito che Vadim si è proposto con risolutezza di ringiovanire; egli ha creato una versione del tutto moderna de «l’eterno femminino», originando così un tipo inedito d’erotismo: è questa novità che attira gli uni e confonde altri.

L’amore può resistere alla familiarità, l’erotismo no. La sua presenza nel cinema è andata sempre più diminuendo quando si sono attenuate le differenze sociali tra i due sessi. Dal 1930 al 1940 la vicenda erotica ha ceduto il posto a quella di carattere romantico-sentimentale; la vamp fu sostituita dalla donna-compagna di cui Joan Arthur rappresentò il tipo perfetto. Però, quando nel 1947 una grave crisi colpì l’industria cinematografica, per richiamare il pubblico nelle sale cinematografiche si ritornò all’erotismo. Non sarebbe cosa molto logica in un’epoca in cui la donna guida l’automobile, amministra e dirige larghi interessi, ostenta con naturalezza sulle spiagge la sua nudità, rinverdire e risuscitare il tipo della vamp e il suo mistero; si ricorse, in modo più spregiudicato, alla malìa che le forme femminili esercitano sul maschio; le attrici furono valorizzate, più che per l’ardore o il languore del loro sguardo, secondo l’evidenza delle loro doti intrinseche d’attrazione. Marylin Monroe, Sophia Loren, la Lollobrigida provano e convincono che la donna dalle fiorite grazie non ha perduto il suo potere sull’uomo. Contemporaneamente i mercanti di sogni si sono così orientati in un’altra direzione. Con Audrey Hepburn, Françoise Arnoul, Marina Vlady, Leslie Caron, Brigitte Bardot essi hanno inventato la monella erotica. Per il suo ultimo film, «Les liaisons dangereuses», Vadim ha scritturato una ragazzina di 14 anni. La donna-bambina non trionfa soltanto nel cinema. Nel dramma di Arthur Miller «Uno sguardo dal ponte» che tanto e strepitoso successo ha ottenuto negli Stati Uniti e in Francia, l’eroina è appunto adolescente. Per alcuni mesi, «Lolita» di Nabokov è stata negli Stati Uniti alla testa dei best-sellers: il romanzo narra gli amori di un quarantenne e di una «ninfetta» di dodici anni. La donna adulta ha oggi una sfera di vita pressoché uguale a quella dell’uomo; l’adolescente-donna si muove in un’atmosfera che è a lui impenetrabile; la differenza d’età ristabilisce quella distanza che si considerava presupposto necessario del desiderio. È almeno questo il colore su cui hanno puntato nel creare una nuova Eva sintesi dei tipi «frutto acerbo» e «donna fatale». Si vedrà per quali ragioni la loro riuscita sia tanto minore in Francia che in America.

Brigitte Bardot è l’esemplare più completo di queste ambigue ninfe. Visto di spalle, il suo corpo di ballerina, minuto, muscoloso, è pressoché androgino; la femminilità balza esuberante dal suo busto incantevole; sulle sue spalle scende la lunga e voluttuosa chioma di Melisenda, acconciata però con una negligenza da selvaggia; le sue labbra accennano un broncio puerile e nello stesso tempo invitano a baciare; cammina a piedi nudi, se ne infischia di come è vestita, non porta gioielli, non ricorre a busti, non si profuma, non fa uso di nessun artificio, purtuttavia le sue movenze sono lascive, e un santo si dannerebbe soltanto a vederla danzare.
Spesso hanno rimproverato al suo volto l’incapacità di cambiare espressione e la fissità della sua maschera; il mondo esteriore infatti non vi si riflette e da esso non traspaiono emozioni intime; ma questa indifferenza le si addice; l’esperienza non ha segnato Brigitte Bardot; anche se è donna di vita come in «En cas de malheur» la lezione è stata troppo confusa per essere efficace; senza memoria, senza passato, ella ritrova, grazie alla sua non-coscienza, quella perfetta innocenza che si attribuisce miticamente all’infanzia.
L’apparato pubblicitario tenuto vivo attorno a Brigitte Bardot l’ha a lungo presentata nelle sembianze di questo ingenuo e conturbante personaggio. Vadim nel presentarla parlò di «fenomeno naturale»; ella non recita, diceva, vive. Sì, ribadiva Brigitte Bardot: La Juliette di «Et Dieu créa la femme» sono proprio io; davanti alla macchina da presa mi limito ad essere ciò che sono. Si disse che Brigitte non usava il pettine, lo odiava, si aggiustava i capelli con le dita, che detestava le manifestazioni a carattere mondano. Nelle interviste appariva naturale, semplice. Vadim rincarò la dose, la descrisse candida sino all’assurdo: secondo lui, a 18 anni, la sua protetta credeva che i topi facessero le uova. Era ombrosa, capricciosa; il suo produttore l’attese invano alla prima di gala del film «Effeuillons la marguerite»; all’ultimo minuto Brigitte Bardot fece sapere che non sarebbe venuta. La si descrisse come un essere istintivo, totalmente soggetto ai suoi impulsi: di punto in bianco l’arredamento della sua camera non le andò più a genio; si mise all’opera strappando la tappezzeria e ridipingendo da sola i mobili.
Stravagante, di umore instabile, bizzarra, se Brigitte Bardot conserva l’ingenuità dell’infanzia ne ha anche il mistero: è uno strano piccolo essere, inquietante come la classica donna fatale.
Nonostante tutto, questa figura non è estranea al mito tradizionale della femminilità. Nei ruoli interpretati da Brigitte Bardot c’è anche un aspetto convenzionale. Ella vi appare come una forza naturale, pericolosa allo stato libero, e che proprio per questo, l’uomo deve addomesticare. È buona, generosa: in tutti i suoi films ama gli animali; se le accade di far soffrire qualcuno è sempre senza volerlo. Le sue bizzarrie, i guai che combina trovano sempre delle attenuanti nella sua estrema giovinezza e nelle circostanze; Juliette ha avuto un’infanzia infelice; Yvette, in «En cas de malheur» è una vittima della società; se si traviano è perché nessuno le ha indirizzate sulla giusta strada: ma un uomo, un vero uomo, saprebbe redimerle. Quando il suo giovane marito decide di comportarsi con virilità e la schiaffeggia, ecco la metamorfosi: Juliette diviene una sposa felice, contrita, sottomessa. Yvette accetta con gioia l’imposizione di fedeltà al suo amante e lo stato di quasi sequestro in cui è da lui costretta: con un po’ di fortuna, quest’uomo maturo ed esperto l’avrebbe potuta redimere. Brigitte Bardot è una adolescente sperduta e patetica, bisognosa di protezione, d’una guida; questo tipo è già stato sperimentato, lusinga la vanità maschile, tranquillizza le donne mature e già in declino; gli si può rimproverare infatti la mancanza di attualità, e non pecca di troppa audacia.
Soltanto – ed è per questo che i films di Vadim e di Autant-Lara non cadono nella banalità – questa vittoria dell’uomo e dell’ordine costituito che il copione prudentemente suggerisce, non fa presa sugli spettatori. Si può supporre che «questa irriducibile monella» metta giudizio ma Juliette certamente non diventerà una sposa e madre modello. All’incoscienza, all’inesperienza si può rimediare; ma Brigitte Bardot non è soltanto ingenua: è pericolosamente sincera. È compito della psichiatria porre un freno alla perversità di una «Baby doll»; una ribelle si può convincere e redimere; ne «La Contessa scalza», Ava Gardner nonostante le sue perversioni non attacca le istituzioni morali: condanna i propri istinti confessando che ama «immergersi nel fango». Brigitte Bardot non è né perversa, né ribelle, né immorale, la morale, dunque, con lei non può farcela.
Il bene, il male, fanno parte di quelle convinzioni, assoggettarsi alle quali è un pensiero che non la sfiora nemmeno. Niente mette a fuoco il suo personaggio come la scena del pranzo nuziale di «Et Dieu créa la femme»; Juliette si è subito messa a letto con il suo giovane sposo; nel bel mezzo del banchetto, si alza in vestaglia e, senza degnare di uno sguardo o di un gesto i commensali esterrefatti, sottrae sotto il loro naso mangusta, pollo, frutta, bottiglie di vino: porta via con noncuranza e tranquillità il vassoio colmo di vivande. Dell’opinione altrui non si interessa. Brigitte Bardot non cerca lo scandalo, non rivendica nulla; non sa di doveri e di diritti: segue il suo istinto. Mangia quando ha fame, in fatto d’amore si comporta con la stessa semplicità; il desiderio, il piacere, la convincono più delle consuetudini e delle norme. Non critica gli altri: agisce a suo modo ed è proprio ciò che smonta, non pone interrogativi, ma la franchezza delle sue risposte è tale che rischia d’essere contagiosa. Si può rimediare all’errore, alla stonatura; ma chi guarirebbe Brigitte Bardot da questa virtù assoluta: l’autenticità? È la sua stessa natura; né le rudi né le buone maniere, neppure l’amore saprebbero sopprimerla. Brigitte non rifiuta soltanto l’ipocrisia e l’inibizione, ma anche il calcolo, la premeditazione ed ogni sua variante: l’avvenire è ancora una di quelle invenzioni degli adulti alle quali ben si guarda di dare confidenza. «Vivo come se dovessi morire da un momento all’altro», dice Jiuliette. Brigitte confida: «ogni volta che amo, penso che sia un amore eterno». Farsi partecipi di una misura eterna del tempo, è sempre un modo di negarlo. Si dice grande ammiratrice di James Dean, e in lei si ritrovano, in minor misura e portata, alcune delle caratteristiche che il giovane attore americano spinse al loro parossismo: la frenesia del vivere, l’amore dell’assoluto, il sentimento della fine incombente. Con meno violenza ed esaltazione, ma chiaramente, anche lei simbolizza il credo che una parte della gioventù moderna oppone ai falsi valori, alle vuote speranze, all’impaccio, alla noia delle costrizioni.
Ecco perché i tenaci membri di certa reazione tradizionalista dichiarano: «Brigitte Bardot è il frutto dell’immoralità di un’epoca e come tale si esprime». Le donne dabbene e sdegnose si sentono a loro agio davanti al fascino delle classiche Circi, il cui potere aveva origini oscure e misteriose; cortigiane, calcolatrici, viziose, reprobe, una forza malvagia le possedeva; dall’alto della loro virtù, la fidanzata, la sposa, la padrona dal cuore grande così, la madre dispotica, condannavano con trasporto queste figlie del male. Ma se il male prende le sembianze dell’innocenza, esse si struggono dalla rabbia impotente.
Brigitte Bardot non ha nulla della «donna malvagia»; il suo viso spira franchezza e bontà: è più giusto rassomigliarla a un pechinese che a un gatto, non è viziosa, non è venale. In una scena di «En cas de malheur», alzando le sottane sulla coscia, propone crudamente uno scambio a Gabin; ma nel suo cinismo è una non so quale disarmante candidezza. Fresca, serena, tranquillamente sensuale, impossibile vedere in lei il segno di Satana: e tuttavia non può che sembrare diabolica alle donne umiliate e minacciate dalla sua bellezza. Ogni uomo è vittima della forza seduttrice di Brigitte Bardot: ciò non significa che essi siano ben disposti verso lei. La maggioranza dei francesi sostiene che la donna perde il suo fascino se rinuncia agli accessori della bellezza; secondo loro, una donna in pantaloni spegne ogni desiderio. Brigitte dimostra loro il contrario ed essi non le sono grati. Il fatto è che non vogliono rinunciare al ruolo di signori e padroni. La vamp non lo metteva in pericolo; il fascino che esercitava su di loro era ancora sostanzialmente quello di un oggetto passivo; cadevano di propria volontà nella trappola magica, in essa si obliavano volontariamente, come ci si annega: la libertà, la padronanza della situazione, accompagnavano quest’atto di dedizione.
Quando Marlène ostentava le cosce inguainate nella seta nera, cantando con voce roca e volgendo all’intorno lo sguardo carico e intenso, iniziava sulla scena un rito d’ammaliamento. Brigitte Bardot non strega: agisce. La sua carne non ha l’esuberanza che diviene in altri simbolo di passività; i suoi costumi non sono strumenti magici, e quando si spoglia non svela un mistero; mostra il suo corpo, né più né meno. Raramente plasticizzato nell’immobilità, esso cammina, danza, si muove.
Il suo erotismo non è magico, ma aggressivo; nel gioco dell’amore, ella è ugualmente cacciatrice e preda; il maschio è oggetto come a sua volta lei per lui. È questo che ferisce l’orgoglio maschile: nei paesi latini gli uomini non sanno liberarsi dal mito della «donna-oggetto»; la naturalezza di Brigitte Bardot sembra loro più perversa di tutte le sofisticazioni. Disprezzare i gioielli, i belletti, i tacchi alti, rinunciare alla linea, è il rifiuto a costituirsi irraggiungibile idolo: è confermarsi a somiglianza dell’uomo, suo pari, è ammettere tra i due sessi una reciprocità di desiderio, di piacere. Perciò, pur negandosi affine a loro – senza dubbio perché le sembrano troppo cerebrali – Brigitte ha una certa parentela con le eroine di Françoise Sagan.
Ma l’uomo si sente a disagio se invece di una bambola di carne, stringe tra le braccia un essere cosciente che lo osserva e lo vaglia; una donna libera è l’assoluto contrario di una donna facile. Nelle sue parti di giovinetta smarrita, di puttanella senza casa né tetto, Brigitte Bardot sembra facile preda di ogni desiderio: ma paradossalmente, ecco, rende timidi.
Non è difesa da ricche acconciature, né da alcuna prestigiosa posizione sociale, ma c’è qualcosa di restio nel suo viso imbronciato, nel suo corpo vivace. «Lei capisce» mi diceva un francese del ceto medio «quando una donna piace a un uomo, bisogna che egli possa pizzicarle il sedere». Il gesto tra il licenzioso e il familiare riduce la donna ad un oggetto disponibile a piacere senza che ci si debba preoccupare di ciò che accade nella sua testa, nel suo cuore, nel suo corpo. Ma Brigitte Bardot non ha la componente «buona ragazza» che permetterebbe di trattarla con tale licenziosa disinvoltura; nulla in lei è triviale: possiede una specie di spontanea dignità, e la serietà dell’infanzia. La differenza dell’accoglienza fatta a Brigitte negli U.S.A. e in Francia deriva in parte dal fatto che l’uomo americano non ha, come il francese, il gusto della licenziosità, è abituato a un certo rispetto della donna; la parità sessuale che il contegno generale di Brigitte Bardot asserisce senza enunciare, egli l’ammette ormai da anni; nello stesso tempo, per una quantità di ragioni spesso analizzate in America, egli prova avversione verso la donna-donna; in lei scorge un’antagonista, una mantide sacra, una tiranna. Si abbandonerà invece con entusiasmo alle grazie della «ninfa» nella quale ancora non si annunciano visibilmente le temute figure della moglie e della «madre». In Francia, gran parte delle donne si fanno complici servili di questo sentimento di superiorità connaturato negli uomini, che preferiscono la loro passività all’altezzosa impudenza di Brigitte Bardot.
Ella li imbarazza sempre più: scoraggia la loro voglia di pizzicotti e non si presta d’altra parte alle sublimazioni idealistiche. La Garbo era detta «la Divina»; la Bardot, al contrario, è del tutto terrestre; nel volto della Garbo c’era una sorta di potenziale, imminente evasione che permetteva di trasferirvi qualsiasi progetto; su quello della Bardot non si può programmare nulla: è fine a se stesso, ha in sé l’irrecusabile presenza della realtà. I fantasmi che animano e alimentano il vizio, e i sogni eterei vi si frantumano contro in egual modo; la maggior parte dei francesi ama purificarsi della tendenza alla licenziosità attraverso itinerari mistici e viceversa: con Brigitte Bardot i conti non tornano. Li riduce alla franchezza; sono costretti ad ammettere la crudezza del loro desiderio; esso ha per oggetto precisamente questo corpo, queste cosce, questi seni. La maggior parte delle persone non ha il coraggio di limitare la sessualità a se stessa e riconoscerne la forza; essi accusano di cinismo chiunque metta in pericolo la loro ipocrisia. Brigitte Bardot dunque, in una società con pretese spiritualiste, appare deplorevolmente materialista e volgare. Si è talmente mascherato l’amore d’orpelli falsamente poetici che questa prosa mi sembra sana e riposante. Approvo Vadim che ha voluto riportare l’erotismo sulla terra. Gli faccio però un rimprovero: averlo spinto a una esagerazione disumana.
In molti campi, oggi, il «fattore umano» ha perso la sua importanza: il progresso tecnico gli assegna un posto secondario e a volte insignificante. Si mira alla razionalizzazione e funzionalità massima degli elementi di cui l’uomo si serve per vivere: abitazioni, vestiti, etc… L’uomo stesso è considerato dai politicanti, dagli arrivisti, dagli agenti pubblicitari, dai militari ed anche dagli educatori, in tutto il cosiddetto «mondo dell’organizzazione», un oggetto da manipolare. Si è formato in Francia un gruppo letterario che si fa interprete di questa tendenza, il «nuovo romanzo» – così si è autobattezzato – tende a creare un universo il più possibile privo di significati umani, ridotto a spostamenti di volume e superficie, a gioco d’ombre e di luci, di spazio e di tempo; i personaggi, le loro relazioni, si muovono a vuoto o come dirette da un prestigiatore. L’interesse di questa esperienza è relativo a pochi iniziati. Essa non ha certamente influenzato Vadim; ma anche lui riduce il mondo, le cose, i corpi al loro aspetto immediato. Nella vita e generalmente nei libri, nei films di valore, gli individui non arrivano a definirsi soltanto attraverso la propria sessualità; ciascuno ha una propria storia e il suo erotismo fa parte di una determinata situazione: è possibile che sia la situazione stessa a causarlo. Come si vede in «African Queen», né Bogart né Katherine Hepburn, vecchi, distrutti, suscitano a priori il desiderio; tuttavia, quando Bogart posa per la prima volta una mano sulla spalla di Katherine, una intensa emozione erotica si sprigiona dal suo gesto: lo spettatore si identifica con l’uomo o con la donna e i due interpreti sono trasfigurati dal sentimento che ciascuno ispira all’altro. Perfino quando i protagonisti sono giovani e belli, il pubblico sente più profondamente la loro forza di seduzione se diviene maggiormente partecipe della loro storia: bisogna, dunque, ch’egli si interessi a questa storia. Non è a caso, ad esempio, che Ingmar Bergman in «Sommerlak» ambienta nel passato l’idillio che ci narra; grazie a ciò noi non assistiamo alla storia d’amore di due adolescenti qualsiasi; una giovane donna, che ci ha commossi e conquistati, ricorda la sua giovanile avventura: ci appariva, appena sedicenne, sotto il peso enorme di tutto il suo avvenire. Il paesaggio in cui si muove al contrario dall’essere semplice motivo ornamentale è mezzo di comunicazione tra lei e noi: lo vediamo con i suoi occhi; attraverso la lenta risacca delle acque e il candore del cielo notturno, spontaneamente ci neghiamo identificandoci in lei. Tutte le sue emozioni divengono nostre: l’emozione cancella lo scandalo. I «giuochi d’estate», le carezze, gli abbracci, le parole che Bergman ci presenta sono molto più amorali delle avventure di Juliette in «Et Dieu créa la femme»; i due amanti hanno appena superato l’infanzia; l’idea del matrimonio, quella del peccato, non li sfiora nemmeno, essi si stringono con ardore esitante e impudica ingenuità; la loro audacia, la loro gioia, sfidano trionfalmente ciò che si chiama virtù. Lo spettatore non pensa neppure a turbarsi, poiché egli stesso vive la loro struggente avventura. Quando ho visto «Et Dieu créa la femme» durante la scena più ardita, alcuni, nella sala, ridevano. Ciò dipende dal fatto che Vadim non vuole la nostra complicità. Egli «isola» la sessualità, e il pubblico, non potendo trasferirsi sullo schermo, diventa osservatore passivo: cosa che giustifica in parte la sua noia. La stupenda ragazza che all’inizio del film offre ai raggi del sole il suo corpo nudo non è nessuno: un corpo anonimo; nel corso dello spettacolo non riesce a diventar qualcuno. Vadim, mescolando con negligenza il convenzionale e il provocatorio, evita di avvincere il pubblico con una storia convincente. I personaggi sono trattati allusivamente, appena accennati e mai definiti; quello di Brigitte Bardot è troppo intenzionale per essere reale; e Saint-Tropez non è che puro sfondo, estraneo alla vita degli eroi della storia, estraneo allo spettatore. In «Sommerlak» il mondo esiste, riflette ed anima a sua volta la commozione, il desiderio angoscioso, la gioia di giovani amanti: una semplice passeggiata in barca ha in sé una carica erotica talmente dichiarata da eguagliare come portata l’appassionata notte che l’ha preceduta, che ne sarà l’immediato futuro. Nell’opera di Vadim, il mondo è assente: egli dà forma, su uno sfondo dai colori irreali, a un certo numero di «scene madri» in cui si riassume tutta la sessualità del film: strip-tease, carezze eccitate, mambo. Questa discontinuità accentua il carattere aggressivo della femminilità di Brigitte Bardot; il pubblico non è trasportato, quasi eternamente, in un regno immaginario; esso assiste senza grande convinzione a una vicenda che non lo appassiona e che si serve in vario modo di «numeri» il cui intento è interessato direttamente e in modo totale: esso si protegge divenendo sarcastico. Un critico ha scritto che la sessualità di Brigitte Bardot è troppo «cerebrale» per avere successo con i latini; questo è render responsabile Brigitte Bardot dello stile di Vadim: uno stile analitico e per conseguenza astratto che, come sopra ho detto, mette il pubblico nello stato d’animo di chi assiste passivamente ad uno spettacolo osceno. Coloro che amano tale tipo di spettacolo e sono i frequentatori abituali di «blue-movie» o di «peep-show», cercano altre soddisfazioni che quelle puramente visive. Lo spettatore normale invece reagisce con malanimo: non è infatti piacevole assistere a freddo a uno spettacolo di fuoco. Quando Brigitte Bardot balla il suo famoso mambo, nessuno pensa a Juliette: è Brigitte Bardot che si esibisce, sola sullo schermo come una ballerina di strip-tease sul palco, ella si offre direttamente a ogni spettatore. Offerta illusoria, poiché guardandola essi non dimenticano che questa bella ragazza è celebre, ricca, corteggiata, assolutamente inaccessibile: non ci si deve stupire se la considerano una sgualdrina e si vendicano denigrandola.
Queste accuse non sono certo da riferirsi al film «En cas de malheur». La regia di Autant-Lara, la sceneggiatura e i dialoghi di Pierre Bost e di Aurenche, la recitazione di Jean Gabin, tutto contribuisce a impegnare lo spettatore; con questo complesso Brigitte Bardot ha portato a termine la sua più convincente fatica. Ma la sua reputazione morale non è migliorata: il film ha suscitato delle proteste rabbiose proprio perché attacca la società ancora più aspramente dei precedenti girati dalla Bardot; «l’amoralismo» di Yvette, l’eroina, è radicale: si prostituisce con indifferenza, organizza un colpo di mano e non ha esitazioni a percuotere un vecchio; propone a un avvocato uno scambio di prestazioni che per poco non gli toglie ogni dignità professionale, gli si dà senza amore; poi lo ama, lo inganna e ingenuamente gli confida le sue infedeltà; gli confessa di aver abortito più volte. Sebbene la trama faccia intravedere per un momento la possibilità di una conversione, pure Yvette non si presenta a noi come un’incosciente che può essere riportata al Bene, così come lo immaginano gli onesti; la verità è dalla sua parte; mai ella nasconde o deforma i propri sentimenti, non tergiversa davanti alla realtà della vita, la sua autenticità è così contagiosa da farle conquistare il suo amante, il vecchio avvocato senza scrupoli; Yvette risuscita tutto ciò che in lui rimane di vivo e sincero. Autant-Lara ha ripreso il personaggio creato da Vadim, ma l’ha caricato di un significato molto più sovversivo: nella nostra malata società, non c’è possibilità di salvezza per i figli reietti o ribelli.
Ma ecco che questo personaggio comincia ad evolversi. Senza dubbio qualcuno ha convinto Brigitte Bardot che oggi, in Francia, l’anticonformismo non ha più significato. Si accusa Vadim di averne deformata la reale immagine, e non è del tutto falso. Tutti quelli che conoscono Brigitte Bardot dicono grandi cose della sua gentilezza, della sua bontà, della sua freschezza; non è né stolta, né sventata e la sua vera natura è sconosciuta al pubblico. Ugualmente sorprendente è il fatto che ultimamente gli articoli che le sono dedicati nella pretesa di presentarci «la vera Brigitte Bardot» non mettono in luce che i pregi del suo carattere. Brigitte, ci dicono, è una giovinetta semplicissima, adora gli animali e la madre, ha il culto dell’amicizia, soffre delle antipatie che suscita, si pente di ogni bizzarria, è decisa a correggersi; le sue passate stravaganze hanno delle scusanti: la gloria, la fortuna l’hanno messa alla prova troppo duramente, l’hanno esaltata; ma sta ritrovando il suo equilibrio. Insomma, si sta assistendo a una vera e propria riabilitazione.
Da qualche tempo, Brigitte dichiara spesso con entusiasmo che adora la campagna e sogna di poter possedere e dirigere una fattoria: l’amore per le mucche è considerato in Francia garanzia di alta moralità. Gabin è sicuro di avere con sé tutta la simpatia del pubblico quando dichiara: «Una vacca è più solida della gloria»; si fotografano il più possibile le attrici mentre danno il mangime ai loro polli o vangano il loro giardino. Questo gusto campestre conviene alla figura di ragionevole borghese che Brigitte, ci assicurano, sta cercando sempre più di assumere. Brigitte Bardot ha sempre conosciuto i prezzi della roba e tenuto scrupolosamente i conti di casa; in questi tempi segue attentamente i movimenti in Borsa e dà illuminati consigli al suo agente di cambio; durante un pranzo ufficiale avrebbe stupito con la sua competenza il direttore della Banca di Francia: saper collocare il proprio denaro è per la borghesia francese una virtù suprema. Un giornalista di più elevata fantasia è arrivato a dare per probabile una evoluzione mistica di Brigitte, tanto fervore c’è in lei di assoluto. Fra tutte le strade esemplari che la nuova edizione della sua leggenda le apre, ella ha scelto la più definitiva e determinante per la redenzione di una «star»: il matrimonio, la maternità. E anche sullo schermo è rientrata nell’ordine: in «Babette s’en va-t-en guerre» Brigitte è un’eroina della Resistenza; una uniforme, e delle «toilettes» particolarmente studiate, ci nascondono il suo incantevole corpo. «Voglio che tutti i minori di 16 anni possano venire a vedermi» ha detto. Il film si chiude con una sfilata militare che permette a Babette di acclamare il generale de Gaulle.
La metamorfosi è definitiva? Ci sarebbe un certo numero di persone deluse, comunque. Chi nel giusto? Molti giovani potrebbero facilmente essere classificati della vecchia guardia mentre vi sono persone mature che preferiscono la verità alla convenzione; sarebbe semplicistico credere che Brigitte Bardot rappresenta il punto d’attrito di due generazioni: la contesa mette di fronte i tradizionalisti e gli spiriti moderni, coloro che vorrebbero fermi e decisi una volta per tutte i modi di vivere e quelli che reclamano un’evoluzione. Dire che Brigitte Bardot incarna l’immoralità di un’epoca è come ammettere che il suo personaggio pone in discussione alcuni dei tabú propri dell’epoca precedente: in particolare quelli che negano alla donna l’autonomia sessuale. In Francia, almeno ufficialmente si dà ancora molta importanza alla dipendenza della femmina rispetto al maschio. Gli americani, che in effetti sono lontani dall’avere raggiunto completamente l’uguaglianza dei sessi, ma che teoricamente la ammettono, non hanno visto niente di scandaloso in questa emancipazione che ha il suo simbolo in Brigitte Bardot. È soprattutto la sua franchezza che turba tutti e conquista pochi. «L’amore, voglio che sia senza ipocrisia, senza storia» ha dichiarato Brigitte Bardot.
Amore, erotismo, senza più mistificazioni, l’impresa va più lontana del previsto: se un mito s’incrina, tutti i miti sono in pericolo. Uno sguardo sincero, per limitata che sia la sua azione, è un fuoco che rischia di propagarsi e di ridurre in cenere tutti i volgari travestimenti che soffocano l’immagine della realtà. Perché? Perché no? domandano i bambini. Gli s’impone il silenzio. Gli occhi di Brigitte, il suo sorriso, la sua presenza reclamano una risposta urgente agli interrogativi. Perché? Perché no? Si stanno mettendo a tacere queste domande non sillabate ma egualmente poste? Accetterà ella di ripetere delle risposte menzognere? Forse gli astî suscitati si placheranno, ma Brigitte non significherà più niente per nessuno. Spero che per divenire popolare non accetti di diventare insignificante. Le auguro di morire ma di non cambiare.

 Traduzione italiana di Piero Del Giudice, Milano, Lerici, 1960 (Oggi nel mondo, 4), pp. 7-41.


Una notte di Natale, Brigitte Bardot è apparsa sullo schermo televisivo. Nella tenuta abituale: blue-jeans, maglione, capelli in disordine, pizzicava una chitarra, accoccolata su un divano. «Niente di speciale, lo farei altrettanto bene, non è neanche bella, ha un viso da servetta» dicevano le donne, gli uomini non potevano far a meno di divorarla con gli occhi, ma come controvoglia, e sogghignavano. Su trenta spettatori, eravamo solo in due o tre a trovarla incantevole; poi si è esibita in un eccellente numero di danza classica. «Sa danzare» ammisero a denti stretti. Ancora una volta mi resi conto che Brigitte Bardot nel suo paese non è amata. Quando ai Champs Elysées fu proiettato il film «Et Dieu créa la femme» che era costato 140 milioni di franchi, gli incassi ne fruttarono meno di 60. Lo stesso spettacolo ha raggiunto negli U.S.A. i 4 milioni, in dollari, d’incassi: grosso modo il costo di 2.500 Dauphine. B.B., oggi, merita di essere considerata un prodotto da esportazione importante come le automobili Renault. Giunta ad essere il nuovo idolo della gioventù americana, stella internazionale di prima grandezza, i suoi connazionali continuano ad osteggiarla. Non passa settimana senza che la stampa non ci dia ragguagli sui suoi ultimi umori, amori, o non ci proponga un’interpretazione inedita della sua personalità; ma il cinquanta per cento di queste notizie lascia trapelare del malanimo.
Quotidianamente Brigitte riceve trecento lettere di ammiratori di ambo i sessi; ogni giorno madri indignate scrivono ai direttori dei più diffusi giornali, alle autorità religiose e laiche, protestando contro la sua esistenza. Quando ad Angers, tre giovani di buona famiglia per gioco ozioso uccisero sul treno un vecchio nel sonno, le famiglie degli scolari unite, denunciarono B.B. al signor V. Chatenay, sindaco della città: era lei la vera responsabile del delitto; si era permessa la proiezione ad Angers di «Et Dieu créa la femme»: il pervertimento dei giovani era stato immediato. Non mi meraviglia il fatto che il Vaticano, nel padiglione allestito a Bruxelles, abbia scelto B.B. come simbolo del male, né che ovunque, negli stessi U.S.A., i ben noti specialisti della morale abbiano brigato per vietare l’importazione dei suoi films. Non è cosa nuova che i moralisti identifichino la carne e il peccato, con nell’animo la segreta speranza di poter ridurre in cenere le opere d’arte, i libri, i films che la rappresentano con compiacenza o franchezza. Ma questo pudore ufficiale non spiega la particolare animosità del pubblico francese verso Brigitte Bardot. Nei suoi films di successo anche Martine Carol era avara di vesti e generosa verso natura e nessuno gliene voleva; quasi tutti invece concordano nel considerare Brigitte Bardot un monumento d’immoralità: perché il personaggio fabbricato da Marc Allegret e soprattutto da Vadim scatena tanta ostilità?
Poco importa che Dio abbia originato Eva da una costola piuttosto che da una vertebra, se si vuol capire ciò che Brigitte Bardot rappresenta, poco importa conoscere l’intima fisionomia della giovane donna chiamata Brigitte Bardot. Il suo pubblico ammira e critica la creatura immaginaria dello schermo che un vasto apparato pubblicitario ha già reso familiare. Nella misura in cui è esposta, la sua vita privata è un contributo valido almeno quanto le interpretazioni cinematografiche alla sua leggenda, la quale, pure, è postilla recente a un antichissimo mito che Vadim si è proposto con risolutezza di ringiovanire; egli ha creato una versione del tutto moderna de «l’eterno femminino», originando così un tipo inedito d’erotismo: è questa novità che attira gli uni e confonde altri.
L’amore può resistere alla familiarità, l’erotismo no. La sua presenza nel cinema è andata sempre più diminuendo quando si sono attenuate le differenze sociali tra i due sessi. Dal 1930 al 1940 la vicenda erotica ha ceduto il posto a quella di carattere romantico-sentimentale; la vamp fu sostituita dalla donna-compagna di cui Joan Arthur rappresentò il tipo perfetto. Però, quando nel 1947 una grave crisi colpì l’industria cinematografica, per richiamare il pubblico nelle sale cinematografiche si ritornò all’erotismo. Non sarebbe cosa molto logica in un’epoca in cui la donna guida l’automobile, amministra e dirige larghi interessi, ostenta con naturalezza sulle spiagge la sua nudità, rinverdire e risuscitare il tipo della vamp e il suo mistero; si ricorse, in modo più spregiudicato, alla malìa che le forme femminili esercitano sul maschio; le attrici furono valorizzate, più che per l’ardore o il languore del loro sguardo, secondo l’evidenza delle loro doti intrinseche d’attrazione. Marylin Monroe, Sophia Loren, la Lollobrigida provano e convincono che la donna dalle fiorite grazie non ha perduto il suo potere sull’uomo. Contemporaneamente i mercanti di sogni si sono così orientati in un’altra direzione. Con Audrey Hepburn, Françoise Arnoul, Marina Vlady, Leslie Caron, Brigitte Bardot essi hanno inventato la monella erotica. Per il suo ultimo film, «Les liaisons dangereuses», Vadim ha scritturato una ragazzina di 14 anni. La donna-bambina non trionfa soltanto nel cinema. Nel dramma di Arthur Miller «Uno sguardo dal ponte» che tanto e strepitoso successo ha ottenuto negli Stati Uniti e in Francia, l’eroina è appunto adolescente. Per alcuni mesi, «Lolita» di Nabokov è stata negli Stati Uniti alla testa dei best-sellers: il romanzo narra gli amori di un quarantenne e di una «ninfetta» di dodici anni. La donna adulta ha oggi una sfera di vita pressoché uguale a quella dell’uomo; l’adolescente-donna si muove in un’atmosfera che è a lui impenetrabile; la differenza d’età ristabilisce quella distanza che si considerava presupposto necessario del desiderio. È almeno questo il colore su cui hanno puntato nel creare una nuova Eva sintesi dei tipi «frutto acerbo» e «donna fatale». Si vedrà per quali ragioni la loro riuscita sia tanto minore in Francia che in America.
Brigitte Bardot è l’esemplare più completo di queste ambigue ninfe. Visto di spalle, il suo corpo di ballerina, minuto, muscoloso, è pressoché androgino; la femminilità balza esuberante dal suo busto incantevole; sulle sue spalle scende la lunga e voluttuosa chioma di Melisenda, acconciata però con una negligenza da selvaggia; le sue labbra accennano un broncio puerile e nello stesso tempo invitano a baciare; cammina a piedi nudi, se ne infischia di come è vestita, non porta gioielli, non ricorre a busti, non si profuma, non fa uso di nessun artificio, purtuttavia le sue movenze sono lascive, e un santo si dannerebbe soltanto a vederla danzare.
Spesso hanno rimproverato al suo volto l’incapacità di cambiare espressione e la fissità della sua maschera; il mondo esteriore infatti non vi si riflette e da esso non traspaiono emozioni intime; ma questa indifferenza le si addice; l’esperienza non ha segnato Brigitte Bardot; anche se è donna di vita come in «En cas de malheur» la lezione è stata troppo confusa per essere efficace; senza memoria, senza passato, ella ritrova, grazie alla sua non-coscienza, quella perfetta innocenza che si attribuisce miticamente all’infanzia.
L’apparato pubblicitario tenuto vivo attorno a Brigitte Bardot l’ha a lungo presentata nelle sembianze di questo ingenuo e conturbante personaggio. Vadim nel presentarla parlò di «fenomeno naturale»; ella non recita, diceva, vive. Sì, ribadiva Brigitte Bardot: La Juliette di «Et Dieu créa la femme» sono proprio io; davanti alla macchina da presa mi limito ad essere ciò che sono. Si disse che Brigitte non usava il pettine, lo odiava, si aggiustava i capelli con le dita, che detestava le manifestazioni a carattere mondano. Nelle interviste appariva naturale, semplice. Vadim rincarò la dose, la descrisse candida sino all’assurdo: secondo lui, a 18 anni, la sua protetta credeva che i topi facessero le uova. Era ombrosa, capricciosa; il suo produttore l’attese invano alla prima di gala del film «Effeuillons la marguerite»; all’ultimo minuto Brigitte Bardot fece sapere che non sarebbe venuta. La si descrisse come un essere istintivo, totalmente soggetto ai suoi impulsi: di punto in bianco l’arredamento della sua camera non le andò più a genio; si mise all’opera strappando la tappezzeria e ridipingendo da sola i mobili.
Stravagante, di umore instabile, bizzarra, se Brigitte Bardot conserva l’ingenuità dell’infanzia ne ha anche il mistero: è uno strano piccolo essere, inquietante come la classica donna fatale.
Nonostante tutto, questa figura non è estranea al mito tradizionale della femminilità. Nei ruoli interpretati da Brigitte Bardot c’è anche un aspetto convenzionale. Ella vi appare come una forza naturale, pericolosa allo stato libero, e che proprio per questo, l’uomo deve addomesticare. È buona, generosa: in tutti i suoi films ama gli animali; se le accade di far soffrire qualcuno è sempre senza volerlo. Le sue bizzarrie, i guai che combina trovano sempre delle attenuanti nella sua estrema giovinezza e nelle circostanze; Juliette ha avuto un’infanzia infelice; Yvette, in «En cas de malheur» è una vittima della società; se si traviano è perché nessuno le ha indirizzate sulla giusta strada: ma un uomo, un vero uomo, saprebbe redimerle. Quando il suo giovane marito decide di comportarsi con virilità e la schiaffeggia, ecco la metamorfosi: Juliette diviene una sposa felice, contrita, sottomessa. Yvette accetta con gioia l’imposizione di fedeltà al suo amante e lo stato di quasi sequestro in cui è da lui costretta: con un po’ di fortuna, quest’uomo maturo ed esperto l’avrebbe potuta redimere. Brigitte Bardot è una adolescente sperduta e patetica, bisognosa di protezione, d’una guida; questo tipo è già stato sperimentato, lusinga la vanità maschile, tranquillizza le donne mature e già in declino; gli si può rimproverare infatti la mancanza di attualità, e non pecca di troppa audacia.
Soltanto – ed è per questo che i films di Vadim e di Autant-Lara non cadono nella banalità – questa vittoria dell’uomo e dell’ordine costituito che il copione prudentemente suggerisce, non fa presa sugli spettatori. Si può supporre che «questa irriducibile monella» metta giudizio ma Juliette certamente non diventerà una sposa e madre modello. All’incoscienza, all’inesperienza si può rimediare; ma Brigitte Bardot non è soltanto ingenua: è pericolosamente sincera. È compito della psichiatria porre un freno alla perversità di una «Baby doll»; una ribelle si può convincere e redimere; ne «La Contessa scalza», Ava Gardner nonostante le sue perversioni non attacca le istituzioni morali: condanna i propri istinti confessando che ama «immergersi nel fango». Brigitte Bardot non è né perversa, né ribelle, né immorale, la morale, dunque, con lei non può farcela.
Il bene, il male, fanno parte di quelle convinzioni, assoggettarsi alle quali è un pensiero che non la sfiora nemmeno. Niente mette a fuoco il suo personaggio come la scena del pranzo nuziale di «Et Dieu créa la femme»; Juliette si è subito messa a letto con il suo giovane sposo; nel bel mezzo del banchetto, si alza in vestaglia e, senza degnare di uno sguardo o di un gesto i commensali esterrefatti, sottrae sotto il loro naso mangusta, pollo, frutta, bottiglie di vino: porta via con noncuranza e tranquillità il vassoio colmo di vivande. Dell’opinione altrui non si interessa. Brigitte Bardot non cerca lo scandalo, non rivendica nulla; non sa di doveri e di diritti: segue il suo istinto. Mangia quando ha fame, in fatto d’amore si comporta con la stessa semplicità; il desiderio, il piacere, la convincono più delle consuetudini e delle norme. Non critica gli altri: agisce a suo modo ed è proprio ciò che smonta, non pone interrogativi, ma la franchezza delle sue risposte è tale che rischia d’essere contagiosa. Si può rimediare all’errore, alla stonatura; ma chi guarirebbe Brigitte Bardot da questa virtù assoluta: l’autenticità? È la sua stessa natura; né le rudi né le buone maniere, neppure l’amore saprebbero sopprimerla. Brigitte non rifiuta soltanto l’ipocrisia e l’inibizione, ma anche il calcolo, la premeditazione ed ogni sua variante: l’avvenire è ancora una di quelle invenzioni degli adulti alle quali ben si guarda di dare confidenza. «Vivo come se dovessi morire da un momento all’altro», dice Jiuliette. Brigitte confida: «ogni volta che amo, penso che sia un amore eterno». Farsi partecipi di una misura eterna del tempo, è sempre un modo di negarlo. Si dice grande ammiratrice di James Dean, e in lei si ritrovano, in minor misura e portata, alcune delle caratteristiche che il giovane attore americano spinse al loro parossismo: la frenesia del vivere, l’amore dell’assoluto, il sentimento della fine incombente. Con meno violenza ed esaltazione, ma chiaramente, anche lei simbolizza il credo che una parte della gioventù moderna oppone ai falsi valori, alle vuote speranze, all’impaccio, alla noia delle costrizioni.
Ecco perché i tenaci membri di certa reazione tradizionalista dichiarano: «Brigitte Bardot è il frutto dell’immoralità di un’epoca e come tale si esprime». Le donne dabbene e sdegnose si sentono a loro agio davanti al fascino delle classiche Circi, il cui potere aveva origini oscure e misteriose; cortigiane, calcolatrici, viziose, reprobe, una forza malvagia le possedeva; dall’alto della loro virtù, la fidanzata, la sposa, la padrona dal cuore grande così, la madre dispotica, condannavano con trasporto queste figlie del male. Ma se il male prende le sembianze dell’innocenza, esse si struggono dalla rabbia impotente.
Brigitte Bardot non ha nulla della «donna malvagia»; il suo viso spira franchezza e bontà: è più giusto rassomigliarla a un pechinese che a un gatto, non è viziosa, non è venale. In una scena di «En cas de malheur», alzando le sottane sulla coscia, propone crudamente uno scambio a Gabin; ma nel suo cinismo è una non so quale disarmante candidezza. Fresca, serena, tranquillamente sensuale, impossibile vedere in lei il segno di Satana: e tuttavia non può che sembrare diabolica alle donne umiliate e minacciate dalla sua bellezza. Ogni uomo è vittima della forza seduttrice di Brigitte Bardot: ciò non significa che essi siano ben disposti verso lei. La maggioranza dei francesi sostiene che la donna perde il suo fascino se rinuncia agli accessori della bellezza; secondo loro, una donna in pantaloni spegne ogni desiderio. Brigitte dimostra loro il contrario ed essi non le sono grati. Il fatto è che non vogliono rinunciare al ruolo di signori e padroni. La vamp non lo metteva in pericolo; il fascino che esercitava su di loro era ancora sostanzialmente quello di un oggetto passivo; cadevano di propria volontà nella trappola magica, in essa si obliavano volontariamente, come ci si annega: la libertà, la padronanza della situazione, accompagnavano quest’atto di dedizione.
Quando Marlène ostentava le cosce inguainate nella seta nera, cantando con voce roca e volgendo all’intorno lo sguardo carico e intenso, iniziava sulla scena un rito d’ammaliamento. Brigitte Bardot non strega: agisce. La sua carne non ha l’esuberanza che diviene in altri simbolo di passività; i suoi costumi non sono strumenti magici, e quando si spoglia non svela un mistero; mostra il suo corpo, né più né meno. Raramente plasticizzato nell’immobilità, esso cammina, danza, si muove.
Il suo erotismo non è magico, ma aggressivo; nel gioco dell’amore, ella è ugualmente cacciatrice e preda; il maschio è oggetto come a sua volta lei per lui. È questo che ferisce l’orgoglio maschile: nei paesi latini gli uomini non sanno liberarsi dal mito della «donna-oggetto»; la naturalezza di Brigitte Bardot sembra loro più perversa di tutte le sofisticazioni. Disprezzare i gioielli, i belletti, i tacchi alti, rinunciare alla linea, è il rifiuto a costituirsi irraggiungibile idolo: è confermarsi a somiglianza dell’uomo, suo pari, è ammettere tra i due sessi una reciprocità di desiderio, di piacere. Perciò, pur negandosi affine a loro – senza dubbio perché le sembrano troppo cerebrali – Brigitte ha una certa parentela con le eroine di Françoise Sagan.
Ma l’uomo si sente a disagio se invece di una bambola di carne, stringe tra le braccia un essere cosciente che lo osserva e lo vaglia; una donna libera è l’assoluto contrario di una donna facile. Nelle sue parti di giovinetta smarrita, di puttanella senza casa né tetto, Brigitte Bardot sembra facile preda di ogni desiderio: ma paradossalmente, ecco, rende timidi.
Non è difesa da ricche acconciature, né da alcuna prestigiosa posizione sociale, ma c’è qualcosa di restio nel suo viso imbronciato, nel suo corpo vivace. «Lei capisce» mi diceva un francese del ceto medio «quando una donna piace a un uomo, bisogna che egli possa pizzicarle il sedere». Il gesto tra il licenzioso e il familiare riduce la donna ad un oggetto disponibile a piacere senza che ci si debba preoccupare di ciò che accade nella sua testa, nel suo cuore, nel suo corpo. Ma Brigitte Bardot non ha la componente «buona ragazza» che permetterebbe di trattarla con tale licenziosa disinvoltura; nulla in lei è triviale: possiede una specie di spontanea dignità, e la serietà dell’infanzia. La differenza dell’accoglienza fatta a Brigitte negli U.S.A. e in Francia deriva in parte dal fatto che l’uomo americano non ha, come il francese, il gusto della licenziosità, è abituato a un certo rispetto della donna; la parità sessuale che il contegno generale di Brigitte Bardot asserisce senza enunciare, egli l’ammette ormai da anni; nello stesso tempo, per una quantità di ragioni spesso analizzate in America, egli prova avversione verso la donna-donna; in lei scorge un’antagonista, una mantide sacra, una tiranna. Si abbandonerà invece con entusiasmo alle grazie della «ninfa» nella quale ancora non si annunciano visibilmente le temute figure della moglie e della «madre». In Francia, gran parte delle donne si fanno complici servili di questo sentimento di superiorità connaturato negli uomini, che preferiscono la loro passività all’altezzosa impudenza di Brigitte Bardot.
Ella li imbarazza sempre più: scoraggia la loro voglia di pizzicotti e non si presta d’altra parte alle sublimazioni idealistiche. La Garbo era detta «la Divina»; la Bardot, al contrario, è del tutto terrestre; nel volto della Garbo c’era una sorta di potenziale, imminente evasione che permetteva di trasferirvi qualsiasi progetto; su quello della Bardot non si può programmare nulla: è fine a se stesso, ha in sé l’irrecusabile presenza della realtà. I fantasmi che animano e alimentano il vizio, e i sogni eterei vi si frantumano contro in egual modo; la maggior parte dei francesi ama purificarsi della tendenza alla licenziosità attraverso itinerari mistici e viceversa: con Brigitte Bardot i conti non tornano. Li riduce alla franchezza; sono costretti ad ammettere la crudezza del loro desiderio; esso ha per oggetto precisamente questo corpo, queste cosce, questi seni. La maggior parte delle persone non ha il coraggio di limitare la sessualità a se stessa e riconoscerne la forza; essi accusano di cinismo chiunque metta in pericolo la loro ipocrisia. Brigitte Bardot dunque, in una società con pretese spiritualiste, appare deplorevolmente materialista e volgare. Si è talmente mascherato l’amore d’orpelli falsamente poetici che questa prosa mi sembra sana e riposante. Approvo Vadim che ha voluto riportare l’erotismo sulla terra. Gli faccio però un rimprovero: averlo spinto a una esagerazione disumana.
In molti campi, oggi, il «fattore umano» ha perso la sua importanza: il progresso tecnico gli assegna un posto secondario e a volte insignificante. Si mira alla razionalizzazione e funzionalità massima degli elementi di cui l’uomo si serve per vivere: abitazioni, vestiti, etc… L’uomo stesso è considerato dai politicanti, dagli arrivisti, dagli agenti pubblicitari, dai militari ed anche dagli educatori, in tutto il cosiddetto «mondo dell’organizzazione», un oggetto da manipolare. Si è formato in Francia un gruppo letterario che si fa interprete di questa tendenza, il «nuovo romanzo» – così si è autobattezzato – tende a creare un universo il più possibile privo di significati umani, ridotto a spostamenti di volume e superficie, a gioco d’ombre e di luci, di spazio e di tempo; i personaggi, le loro relazioni, si muovono a vuoto o come dirette da un prestigiatore. L’interesse di questa esperienza è relativo a pochi iniziati. Essa non ha certamente influenzato Vadim; ma anche lui riduce il mondo, le cose, i corpi al loro aspetto immediato. Nella vita e generalmente nei libri, nei films di valore, gli individui non arrivano a definirsi soltanto attraverso la propria sessualità; ciascuno ha una propria storia e il suo erotismo fa parte di una determinata situazione: è possibile che sia la situazione stessa a causarlo. Come si vede in «African Queen», né Bogart né Katherine Hepburn, vecchi, distrutti, suscitano a priori il desiderio; tuttavia, quando Bogart posa per la prima volta una mano sulla spalla di Katherine, una intensa emozione erotica si sprigiona dal suo gesto: lo spettatore si identifica con l’uomo o con la donna e i due interpreti sono trasfigurati dal sentimento che ciascuno ispira all’altro. Perfino quando i protagonisti sono giovani e belli, il pubblico sente più profondamente la loro forza di seduzione se diviene maggiormente partecipe della loro storia: bisogna, dunque, ch’egli si interessi a questa storia. Non è a caso, ad esempio, che Ingmar Bergman in «Sommerlak» ambienta nel passato l’idillio che ci narra; grazie a ciò noi non assistiamo alla storia d’amore di due adolescenti qualsiasi; una giovane donna, che ci ha commossi e conquistati, ricorda la sua giovanile avventura: ci appariva, appena sedicenne, sotto il peso enorme di tutto il suo avvenire. Il paesaggio in cui si muove al contrario dall’essere semplice motivo ornamentale è mezzo di comunicazione tra lei e noi: lo vediamo con i suoi occhi; attraverso la lenta risacca delle acque e il candore del cielo notturno, spontaneamente ci neghiamo identificandoci in lei. Tutte le sue emozioni divengono nostre: l’emozione cancella lo scandalo. I «giuochi d’estate», le carezze, gli abbracci, le parole che Bergman ci presenta sono molto più amorali delle avventure di Juliette in «Et Dieu créa la femme»; i due amanti hanno appena superato l’infanzia; l’idea del matrimonio, quella del peccato, non li sfiora nemmeno, essi si stringono con ardore esitante e impudica ingenuità; la loro audacia, la loro gioia, sfidano trionfalmente ciò che si chiama virtù. Lo spettatore non pensa neppure a turbarsi, poiché egli stesso vive la loro struggente avventura. Quando ho visto «Et Dieu créa la femme» durante la scena più ardita, alcuni, nella sala, ridevano. Ciò dipende dal fatto che Vadim non vuole la nostra complicità. Egli «isola» la sessualità, e il pubblico, non potendo trasferirsi sullo schermo, diventa osservatore passivo: cosa che giustifica in parte la sua noia. La stupenda ragazza che all’inizio del film offre ai raggi del sole il suo corpo nudo non è nessuno: un corpo anonimo; nel corso dello spettacolo non riesce a diventar qualcuno. Vadim, mescolando con negligenza il convenzionale e il provocatorio, evita di avvincere il pubblico con una storia convincente. I personaggi sono trattati allusivamente, appena accennati e mai definiti; quello di Brigitte Bardot è troppo intenzionale per essere reale; e Saint-Tropez non è che puro sfondo, estraneo alla vita degli eroi della storia, estraneo allo spettatore. In «Sommerlak» il mondo esiste, riflette ed anima a sua volta la commozione, il desiderio angoscioso, la gioia di giovani amanti: una semplice passeggiata in barca ha in sé una carica erotica talmente dichiarata da eguagliare come portata l’appassionata notte che l’ha preceduta, che ne sarà l’immediato futuro. Nell’opera di Vadim, il mondo è assente: egli dà forma, su uno sfondo dai colori irreali, a un certo numero di «scene madri» in cui si riassume tutta la sessualità del film: strip-tease, carezze eccitate, mambo. Questa discontinuità accentua il carattere aggressivo della femminilità di Brigitte Bardot; il pubblico non è trasportato, quasi eternamente, in un regno immaginario; esso assiste senza grande convinzione a una vicenda che non lo appassiona e che si serve in vario modo di «numeri» il cui intento è interessato direttamente e in modo totale: esso si protegge divenendo sarcastico. Un critico ha scritto che la sessualità di Brigitte Bardot è troppo «cerebrale» per avere successo con i latini; questo è render responsabile Brigitte Bardot dello stile di Vadim: uno stile analitico e per conseguenza astratto che, come sopra ho detto, mette il pubblico nello stato d’animo di chi assiste passivamente ad uno spettacolo osceno. Coloro che amano tale tipo di spettacolo e sono i frequentatori abituali di «blue-movie» o di «peep-show», cercano altre soddisfazioni che quelle puramente visive. Lo spettatore normale invece reagisce con malanimo: non è infatti piacevole assistere a freddo a uno spettacolo di fuoco. Quando Brigitte Bardot balla il suo famoso mambo, nessuno pensa a Juliette: è Brigitte Bardot che si esibisce, sola sullo schermo come una ballerina di strip-tease sul palco, ella si offre direttamente a ogni spettatore. Offerta illusoria, poiché guardandola essi non dimenticano che questa bella ragazza è celebre, ricca, corteggiata, assolutamente inaccessibile: non ci si deve stupire se la considerano una sgualdrina e si vendicano denigrandola.
Queste accuse non sono certo da riferirsi al film «En cas de malheur». La regia di Autant-Lara, la sceneggiatura e i dialoghi di Pierre Bost e di Aurenche, la recitazione di Jean Gabin, tutto contribuisce a impegnare lo spettatore; con questo complesso Brigitte Bardot ha portato a termine la sua più convincente fatica. Ma la sua reputazione morale non è migliorata: il film ha suscitato delle proteste rabbiose proprio perché attacca la società ancora più aspramente dei precedenti girati dalla Bardot; «l’amoralismo» di Yvette, l’eroina, è radicale: si prostituisce con indifferenza, organizza un colpo di mano e non ha esitazioni a percuotere un vecchio; propone a un avvocato uno scambio di prestazioni che per poco non gli toglie ogni dignità professionale, gli si dà senza amore; poi lo ama, lo inganna e ingenuamente gli confida le sue infedeltà; gli confessa di aver abortito più volte. Sebbene la trama faccia intravedere per un momento la possibilità di una conversione, pure Yvette non si presenta a noi come un’incosciente che può essere riportata al Bene, così come lo immaginano gli onesti; la verità è dalla sua parte; mai ella nasconde o deforma i propri sentimenti, non tergiversa davanti alla realtà della vita, la sua autenticità è così contagiosa da farle conquistare il suo amante, il vecchio avvocato senza scrupoli; Yvette risuscita tutto ciò che in lui rimane di vivo e sincero. Autant-Lara ha ripreso il personaggio creato da Vadim, ma l’ha caricato di un significato molto più sovversivo: nella nostra malata società, non c’è possibilità di salvezza per i figli reietti o ribelli.
Ma ecco che questo personaggio comincia ad evolversi. Senza dubbio qualcuno ha convinto Brigitte Bardot che oggi, in Francia, l’anticonformismo non ha più significato. Si accusa Vadim di averne deformata la reale immagine, e non è del tutto falso. Tutti quelli che conoscono Brigitte Bardot dicono grandi cose della sua gentilezza, della sua bontà, della sua freschezza; non è né stolta, né sventata e la sua vera natura è sconosciuta al pubblico. Ugualmente sorprendente è il fatto che ultimamente gli articoli che le sono dedicati nella pretesa di presentarci «la vera Brigitte Bardot» non mettono in luce che i pregi del suo carattere. Brigitte, ci dicono, è una giovinetta semplicissima, adora gli animali e la madre, ha il culto dell’amicizia, soffre delle antipatie che suscita, si pente di ogni bizzarria, è decisa a correggersi; le sue passate stravaganze hanno delle scusanti: la gloria, la fortuna l’hanno messa alla prova troppo duramente, l’hanno esaltata; ma sta ritrovando il suo equilibrio. Insomma, si sta assistendo a una vera e propria riabilitazione.
Da qualche tempo, Brigitte dichiara spesso con entusiasmo che adora la campagna e sogna di poter possedere e dirigere una fattoria: l’amore per le mucche è considerato in Francia garanzia di alta moralità. Gabin è sicuro di avere con sé tutta la simpatia del pubblico quando dichiara: «Una vacca è più solida della gloria»; si fotografano il più possibile le attrici mentre danno il mangime ai loro polli o vangano il loro giardino. Questo gusto campestre conviene alla figura di ragionevole borghese che Brigitte, ci assicurano, sta cercando sempre più di assumere. Brigitte Bardot ha sempre conosciuto i prezzi della roba e tenuto scrupolosamente i conti di casa; in questi tempi segue attentamente i movimenti in Borsa e dà illuminati consigli al suo agente di cambio; durante un pranzo ufficiale avrebbe stupito con la sua competenza il direttore della Banca di Francia: saper collocare il proprio denaro è per la borghesia francese una virtù suprema. Un giornalista di più elevata fantasia è arrivato a dare per probabile una evoluzione mistica di Brigitte, tanto fervore c’è in lei di assoluto. Fra tutte le strade esemplari che la nuova edizione della sua leggenda le apre, ella ha scelto la più definitiva e determinante per la redenzione di una «star»: il matrimonio, la maternità. E anche sullo schermo è rientrata nell’ordine: in «Babette s’en va-t-en guerre» Brigitte è un’eroina della Resistenza; una uniforme, e delle «toilettes» particolarmente studiate, ci nascondono il suo incantevole corpo. «Voglio che tutti i minori di 16 anni possano venire a vedermi» ha detto. Il film si chiude con una sfilata militare che permette a Babette di acclamare il generale de Gaulle.
La metamorfosi è definitiva? Ci sarebbe un certo numero di persone deluse, comunque. Chi nel giusto? Molti giovani potrebbero facilmente essere classificati della vecchia guardia mentre vi sono persone mature che preferiscono la verità alla convenzione; sarebbe semplicistico credere che Brigitte Bardot rappresenta il punto d’attrito di due generazioni: la contesa mette di fronte i tradizionalisti e gli spiriti moderni, coloro che vorrebbero fermi e decisi una volta per tutte i modi di vivere e quelli che reclamano un’evoluzione. Dire che Brigitte Bardot incarna l’immoralità di un’epoca è come ammettere che il suo personaggio pone in discussione alcuni dei tabú propri dell’epoca precedente: in particolare quelli che negano alla donna l’autonomia sessuale. In Francia, almeno ufficialmente si dà ancora molta importanza alla dipendenza della femmina rispetto al maschio. Gli americani, che in effetti sono lontani dall’avere raggiunto completamente l’uguaglianza dei sessi, ma che teoricamente la ammettono, non hanno visto niente di scandaloso in questa emancipazione che ha il suo simbolo in Brigitte Bardot. È soprattutto la sua franchezza che turba tutti e conquista pochi. «L’amore, voglio che sia senza ipocrisia, senza storia» ha dichiarato Brigitte Bardot.
Amore, erotismo, senza più mistificazioni, l’impresa va più lontana del previsto: se un mito s’incrina, tutti i miti sono in pericolo. Uno sguardo sincero, per limitata che sia la sua azione, è un fuoco che rischia di propagarsi e di ridurre in cenere tutti i volgari travestimenti che soffocano l’immagine della realtà. Perché? Perché no? domandano i bambini. Gli s’impone il silenzio. Gli occhi di Brigitte, il suo sorriso, la sua presenza reclamano una risposta urgente agli interrogativi. Perché? Perché no? Si stanno mettendo a tacere queste domande non sillabate ma egualmente poste? Accetterà ella di ripetere delle risposte menzognere? Forse gli astî suscitati si placheranno, ma Brigitte non significherà più niente per nessuno. Spero che per divenire popolare non accetti di diventare insignificante. Le auguro di morire ma di non cambiare.

 Traduzione italiana di Piero Del Giudice, Milano, Lerici, 1960 (Oggi nel mondo, 4), pp. 7-41.


FONTE:  http://www.kainos.it/numero8/disvelamenti/debeauvoir.html





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