Per i giovani d'oggi credo che sia difficile comprendere cosa ha rappresentato BB per i giovani degli anni 60 e 70. Per farsene un'idea - almeno dal punto di vista intellettuale - può essere utile rileggere quello che ne ha scritto Simone de
Beauvoir:
Una notte di Natale, Brigitte Bardot è apparsa sullo
schermo televisivo. Nella tenuta abituale: blue-jeans, maglione, capelli in
disordine, pizzicava una chitarra, accoccolata su un divano. «Niente di
speciale, lo farei altrettanto bene, non è neanche bella, ha un viso da
servetta» dicevano le donne, gli uomini non potevano far a meno di divorarla
con gli occhi, ma come controvoglia, e sogghignavano. Su trenta spettatori,
eravamo solo in due o tre a trovarla incantevole; poi si è esibita in un
eccellente numero di danza classica. «Sa danzare» ammisero a denti stretti.
Ancora una volta mi resi conto che Brigitte Bardot nel suo paese non è amata.
Quando ai Champs Elysées fu proiettato il film «Et Dieu créa la femme» che era
costato 140 milioni di franchi, gli incassi ne fruttarono meno di 60. Lo stesso
spettacolo ha raggiunto negli U.S.A. i 4 milioni, in dollari, d’incassi: grosso
modo il costo di 2.500 Dauphine. B.B., oggi, merita di essere considerata un
prodotto da esportazione importante come le automobili Renault. Giunta ad
essere il nuovo idolo della gioventù americana, stella internazionale di prima
grandezza, i suoi connazionali continuano ad osteggiarla. Non passa settimana
senza che la stampa non ci dia ragguagli sui suoi ultimi umori, amori, o non ci
proponga un’interpretazione inedita della sua personalità; ma il cinquanta per
cento di queste notizie lascia trapelare del malanimo.
Quotidianamente Brigitte riceve trecento lettere di
ammiratori di ambo i sessi; ogni giorno madri indignate scrivono ai direttori
dei più diffusi giornali, alle autorità religiose e laiche, protestando contro
la sua esistenza. Quando ad Angers, tre giovani di buona famiglia per gioco
ozioso uccisero sul treno un vecchio nel sonno, le famiglie degli scolari
unite, denunciarono B.B. al signor V. Chatenay, sindaco della città: era lei la
vera responsabile del delitto; si era permessa la proiezione ad Angers di «Et
Dieu créa la femme»: il pervertimento dei giovani era stato immediato. Non mi
meraviglia il fatto che il Vaticano, nel padiglione allestito a Bruxelles,
abbia scelto B.B. come simbolo del male, né che ovunque, negli stessi U.S.A., i
ben noti specialisti della morale abbiano brigato per vietare l’importazione
dei suoi films. Non è cosa nuova che i moralisti identifichino la carne e il
peccato, con nell’animo la segreta speranza di poter ridurre in cenere le opere
d’arte, i libri, i films che la rappresentano con compiacenza o franchezza. Ma
questo pudore ufficiale non spiega la particolare animosità del pubblico
francese verso Brigitte Bardot. Nei suoi films di successo anche Martine Carol
era avara di vesti e generosa verso natura e nessuno gliene voleva; quasi tutti
invece concordano nel considerare Brigitte Bardot un monumento d’immoralità:
perché il personaggio fabbricato da Marc Allegret e soprattutto da Vadim
scatena tanta ostilità?
Poco importa che Dio abbia originato Eva da una
costola piuttosto che da una vertebra, se si vuol capire ciò che Brigitte
Bardot rappresenta, poco importa conoscere l’intima fisionomia della giovane
donna chiamata Brigitte Bardot. Il suo pubblico ammira e critica la creatura
immaginaria dello schermo che un vasto apparato pubblicitario ha già reso
familiare. Nella misura in cui è esposta, la sua vita privata è un contributo
valido almeno quanto le interpretazioni cinematografiche alla sua leggenda, la
quale, pure, è postilla recente a un antichissimo mito che Vadim si è proposto
con risolutezza di ringiovanire; egli ha creato una versione del tutto moderna
de «l’eterno femminino», originando così un tipo inedito d’erotismo: è questa
novità che attira gli uni e confonde altri.
L’amore può resistere alla familiarità, l’erotismo no.
La sua presenza nel cinema è andata sempre più diminuendo quando si sono
attenuate le differenze sociali tra i due sessi. Dal 1930 al 1940 la vicenda
erotica ha ceduto il posto a quella di carattere romantico-sentimentale; la
vamp fu sostituita dalla donna-compagna di cui Joan Arthur rappresentò il tipo
perfetto. Però, quando nel 1947 una grave crisi colpì l’industria cinematografica,
per richiamare il pubblico nelle sale cinematografiche si ritornò all’erotismo.
Non sarebbe cosa molto logica in un’epoca in cui la donna guida l’automobile,
amministra e dirige larghi interessi, ostenta con naturalezza sulle spiagge la sua
nudità, rinverdire e risuscitare il tipo della vamp e il suo mistero; si
ricorse, in modo più spregiudicato, alla malìa che le forme femminili
esercitano sul maschio; le attrici furono valorizzate, più che per l’ardore o
il languore del loro sguardo, secondo l’evidenza delle loro doti intrinseche
d’attrazione. Marylin Monroe, Sophia Loren, la Lollobrigida provano e
convincono che la donna dalle fiorite grazie non ha perduto il suo potere
sull’uomo. Contemporaneamente i mercanti di sogni si sono così orientati in
un’altra direzione. Con Audrey Hepburn, Françoise Arnoul, Marina Vlady, Leslie
Caron, Brigitte Bardot essi hanno inventato la monella erotica. Per il suo
ultimo film, «Les liaisons dangereuses», Vadim ha scritturato una ragazzina di
14 anni. La donna-bambina non trionfa soltanto nel cinema. Nel dramma di Arthur
Miller «Uno sguardo dal ponte» che tanto e strepitoso successo ha ottenuto
negli Stati Uniti e in Francia, l’eroina è appunto adolescente. Per alcuni
mesi, «Lolita» di Nabokov è stata negli Stati Uniti alla testa dei
best-sellers: il romanzo narra gli amori di un quarantenne e di una «ninfetta»
di dodici anni. La donna adulta ha oggi una sfera di vita pressoché uguale a
quella dell’uomo; l’adolescente-donna si muove in un’atmosfera che è a lui
impenetrabile; la differenza d’età ristabilisce quella distanza che si
considerava presupposto necessario del desiderio. È almeno questo il colore su
cui hanno puntato nel creare una nuova Eva sintesi dei tipi «frutto acerbo» e
«donna fatale». Si vedrà per quali ragioni la loro riuscita sia tanto minore in
Francia che in America.
Brigitte Bardot è l’esemplare più completo di queste
ambigue ninfe. Visto di spalle, il suo corpo di ballerina, minuto, muscoloso, è
pressoché androgino; la femminilità balza esuberante dal suo busto incantevole;
sulle sue spalle scende la lunga e voluttuosa chioma di Melisenda, acconciata
però con una negligenza da selvaggia; le sue labbra accennano un broncio
puerile e nello stesso tempo invitano a baciare; cammina a piedi nudi, se ne
infischia di come è vestita, non porta gioielli, non ricorre a busti, non si
profuma, non fa uso di nessun artificio, purtuttavia le sue movenze sono
lascive, e un santo si dannerebbe soltanto a vederla danzare.
Spesso hanno rimproverato al suo volto l’incapacità di
cambiare espressione e la fissità della sua maschera; il mondo esteriore
infatti non vi si riflette e da esso non traspaiono emozioni intime; ma questa
indifferenza le si addice; l’esperienza non ha segnato Brigitte Bardot; anche
se è donna di vita come in «En cas de malheur» la lezione è stata troppo
confusa per essere efficace; senza memoria, senza passato, ella ritrova, grazie
alla sua non-coscienza, quella perfetta innocenza che si attribuisce
miticamente all’infanzia.
L’apparato pubblicitario tenuto vivo attorno a
Brigitte Bardot l’ha a lungo presentata nelle sembianze di questo ingenuo e
conturbante personaggio. Vadim nel presentarla parlò di «fenomeno naturale»;
ella non recita, diceva, vive. Sì, ribadiva Brigitte Bardot: La Juliette di «Et
Dieu créa la femme» sono proprio io; davanti alla macchina da presa mi limito
ad essere ciò che sono. Si disse che Brigitte non usava il pettine, lo odiava,
si aggiustava i capelli con le dita, che detestava le manifestazioni a
carattere mondano. Nelle interviste appariva naturale, semplice. Vadim rincarò
la dose, la descrisse candida sino all’assurdo: secondo lui, a 18 anni, la sua
protetta credeva che i topi facessero le uova. Era ombrosa, capricciosa; il suo
produttore l’attese invano alla prima di gala del film «Effeuillons la
marguerite»; all’ultimo minuto Brigitte Bardot fece sapere che non sarebbe
venuta. La si descrisse come un essere istintivo, totalmente soggetto ai suoi
impulsi: di punto in bianco l’arredamento della sua camera non le andò più a
genio; si mise all’opera strappando la tappezzeria e ridipingendo da sola i
mobili.
Stravagante, di umore instabile, bizzarra, se Brigitte
Bardot conserva l’ingenuità dell’infanzia ne ha anche il mistero: è uno strano
piccolo essere, inquietante come la classica donna fatale.
Nonostante tutto, questa figura non è estranea al mito
tradizionale della femminilità. Nei ruoli interpretati da Brigitte Bardot c’è
anche un aspetto convenzionale. Ella vi appare come una forza naturale,
pericolosa allo stato libero, e che proprio per questo, l’uomo deve
addomesticare. È buona, generosa: in tutti i suoi films ama gli animali; se le
accade di far soffrire qualcuno è sempre senza volerlo. Le sue bizzarrie, i
guai che combina trovano sempre delle attenuanti nella sua estrema giovinezza e
nelle circostanze; Juliette ha avuto un’infanzia infelice; Yvette, in «En cas
de malheur» è una vittima della società; se si traviano è perché nessuno le ha
indirizzate sulla giusta strada: ma un uomo, un vero uomo, saprebbe redimerle.
Quando il suo giovane marito decide di comportarsi con virilità e la
schiaffeggia, ecco la metamorfosi: Juliette diviene una sposa felice, contrita,
sottomessa. Yvette accetta con gioia l’imposizione di fedeltà al suo amante e
lo stato di quasi sequestro in cui è da lui costretta: con un po’ di fortuna,
quest’uomo maturo ed esperto l’avrebbe potuta redimere. Brigitte Bardot è una
adolescente sperduta e patetica, bisognosa di protezione, d’una guida; questo
tipo è già stato sperimentato, lusinga la vanità maschile, tranquillizza le
donne mature e già in declino; gli si può rimproverare infatti la mancanza di
attualità, e non pecca di troppa audacia.
Soltanto – ed è per questo che i films di Vadim e di
Autant-Lara non cadono nella banalità – questa vittoria dell’uomo e dell’ordine
costituito che il copione prudentemente suggerisce, non fa presa sugli
spettatori. Si può supporre che «questa irriducibile monella» metta giudizio ma
Juliette certamente non diventerà una sposa e madre modello. All’incoscienza,
all’inesperienza si può rimediare; ma Brigitte Bardot non è soltanto ingenua: è
pericolosamente sincera. È compito della psichiatria porre un freno alla
perversità di una «Baby doll»; una ribelle si può convincere e redimere; ne «La
Contessa scalza», Ava Gardner nonostante le sue perversioni non attacca le
istituzioni morali: condanna i propri istinti confessando che ama «immergersi
nel fango». Brigitte Bardot non è né perversa, né ribelle, né immorale, la
morale, dunque, con lei non può farcela.
Il bene, il male, fanno parte di quelle convinzioni,
assoggettarsi alle quali è un pensiero che non la sfiora nemmeno. Niente mette
a fuoco il suo personaggio come la scena del pranzo nuziale di «Et Dieu créa la
femme»; Juliette si è subito messa a letto con il suo giovane sposo; nel bel
mezzo del banchetto, si alza in vestaglia e, senza degnare di uno sguardo o di
un gesto i commensali esterrefatti, sottrae sotto il loro naso mangusta, pollo,
frutta, bottiglie di vino: porta via con noncuranza e tranquillità il vassoio
colmo di vivande. Dell’opinione altrui non si interessa. Brigitte Bardot non
cerca lo scandalo, non rivendica nulla; non sa di doveri e di diritti: segue il
suo istinto. Mangia quando ha fame, in fatto d’amore si comporta con la stessa
semplicità; il desiderio, il piacere, la convincono più delle consuetudini e
delle norme. Non critica gli altri: agisce a suo modo ed è proprio ciò che
smonta, non pone interrogativi, ma la franchezza delle sue risposte è tale che
rischia d’essere contagiosa. Si può rimediare all’errore, alla stonatura; ma
chi guarirebbe Brigitte Bardot da questa virtù assoluta: l’autenticità? È la
sua stessa natura; né le rudi né le buone maniere, neppure l’amore saprebbero
sopprimerla. Brigitte non rifiuta soltanto l’ipocrisia e l’inibizione, ma anche
il calcolo, la premeditazione ed ogni sua variante: l’avvenire è ancora una di
quelle invenzioni degli adulti alle quali ben si guarda di dare confidenza.
«Vivo come se dovessi morire da un momento all’altro», dice Jiuliette. Brigitte
confida: «ogni volta che amo, penso che sia un amore eterno». Farsi partecipi
di una misura eterna del tempo, è sempre un modo di negarlo. Si dice grande
ammiratrice di James Dean, e in lei si ritrovano, in minor misura e portata,
alcune delle caratteristiche che il giovane attore americano spinse al loro
parossismo: la frenesia del vivere, l’amore dell’assoluto, il sentimento della
fine incombente. Con meno violenza ed esaltazione, ma chiaramente, anche lei
simbolizza il credo che una parte della gioventù moderna oppone ai falsi
valori, alle vuote speranze, all’impaccio, alla noia delle costrizioni.
Ecco perché i tenaci membri di certa reazione
tradizionalista dichiarano: «Brigitte Bardot è il frutto dell’immoralità di
un’epoca e come tale si esprime». Le donne dabbene e sdegnose si sentono a loro
agio davanti al fascino delle classiche Circi, il cui potere aveva origini
oscure e misteriose; cortigiane, calcolatrici, viziose, reprobe, una forza
malvagia le possedeva; dall’alto della loro virtù, la fidanzata, la sposa, la
padrona dal cuore grande così, la madre dispotica, condannavano con trasporto
queste figlie del male. Ma se il male prende le sembianze dell’innocenza, esse
si struggono dalla rabbia impotente.
Brigitte Bardot non ha nulla della «donna malvagia»;
il suo viso spira franchezza e bontà: è più giusto rassomigliarla a un
pechinese che a un gatto, non è viziosa, non è venale. In una scena di «En cas
de malheur», alzando le sottane sulla coscia, propone crudamente uno scambio a
Gabin; ma nel suo cinismo è una non so quale disarmante candidezza. Fresca,
serena, tranquillamente sensuale, impossibile vedere in lei il segno di Satana:
e tuttavia non può che sembrare diabolica alle donne umiliate e minacciate
dalla sua bellezza. Ogni uomo è vittima della forza seduttrice di Brigitte
Bardot: ciò non significa che essi siano ben disposti verso lei. La maggioranza
dei francesi sostiene che la donna perde il suo fascino se rinuncia agli
accessori della bellezza; secondo loro, una donna in pantaloni spegne ogni desiderio.
Brigitte dimostra loro il contrario ed essi non le sono grati. Il fatto è che
non vogliono rinunciare al ruolo di signori e padroni. La vamp non lo metteva
in pericolo; il fascino che esercitava su di loro era ancora sostanzialmente
quello di un oggetto passivo; cadevano di propria volontà nella trappola
magica, in essa si obliavano volontariamente, come ci si annega: la libertà, la
padronanza della situazione, accompagnavano quest’atto di dedizione.
Quando Marlène ostentava le cosce inguainate nella
seta nera, cantando con voce roca e volgendo all’intorno lo sguardo carico e
intenso, iniziava sulla scena un rito d’ammaliamento. Brigitte Bardot non
strega: agisce. La sua carne non ha l’esuberanza che diviene in altri simbolo
di passività; i suoi costumi non sono strumenti magici, e quando si spoglia non
svela un mistero; mostra il suo corpo, né più né meno. Raramente plasticizzato
nell’immobilità, esso cammina, danza, si muove.
Il suo erotismo non è magico, ma aggressivo; nel gioco
dell’amore, ella è ugualmente cacciatrice e preda; il maschio è oggetto come a
sua volta lei per lui. È questo che ferisce l’orgoglio maschile: nei paesi
latini gli uomini non sanno liberarsi dal mito della «donna-oggetto»; la
naturalezza di Brigitte Bardot sembra loro più perversa di tutte le
sofisticazioni. Disprezzare i gioielli, i belletti, i tacchi alti, rinunciare
alla linea, è il rifiuto a costituirsi irraggiungibile idolo: è confermarsi a
somiglianza dell’uomo, suo pari, è ammettere tra i due sessi una reciprocità di
desiderio, di piacere. Perciò, pur negandosi affine a loro – senza dubbio
perché le sembrano troppo cerebrali – Brigitte ha una certa parentela con le
eroine di Françoise Sagan.
Ma l’uomo si sente a disagio se invece di una bambola
di carne, stringe tra le braccia un essere cosciente che lo osserva e lo
vaglia; una donna libera è l’assoluto contrario di una donna facile. Nelle sue
parti di giovinetta smarrita, di puttanella senza casa né tetto, Brigitte
Bardot sembra facile preda di ogni desiderio: ma paradossalmente, ecco, rende
timidi.
Non è difesa da ricche acconciature, né da alcuna
prestigiosa posizione sociale, ma c’è qualcosa di restio nel suo viso
imbronciato, nel suo corpo vivace. «Lei capisce» mi diceva un francese del ceto
medio «quando una donna piace a un uomo, bisogna che egli possa pizzicarle il
sedere». Il gesto tra il licenzioso e il familiare riduce la donna ad un
oggetto disponibile a piacere senza che ci si debba preoccupare di ciò che
accade nella sua testa, nel suo cuore, nel suo corpo. Ma Brigitte Bardot non ha
la componente «buona ragazza» che permetterebbe di trattarla con tale
licenziosa disinvoltura; nulla in lei è triviale: possiede una specie di
spontanea dignità, e la serietà dell’infanzia. La differenza dell’accoglienza
fatta a Brigitte negli U.S.A. e in Francia deriva in parte dal fatto che l’uomo
americano non ha, come il francese, il gusto della licenziosità, è abituato a
un certo rispetto della donna; la parità sessuale che il contegno generale di
Brigitte Bardot asserisce senza enunciare, egli l’ammette ormai da anni; nello
stesso tempo, per una quantità di ragioni spesso analizzate in America, egli
prova avversione verso la donna-donna; in lei scorge un’antagonista, una
mantide sacra, una tiranna. Si abbandonerà invece con entusiasmo alle grazie
della «ninfa» nella quale ancora non si annunciano visibilmente le temute
figure della moglie e della «madre». In Francia, gran parte delle donne si
fanno complici servili di questo sentimento di superiorità connaturato negli
uomini, che preferiscono la loro passività all’altezzosa impudenza di Brigitte
Bardot.
Ella li imbarazza sempre più: scoraggia la loro voglia
di pizzicotti e non si presta d’altra parte alle sublimazioni idealistiche. La
Garbo era detta «la Divina»; la Bardot, al contrario, è del tutto terrestre;
nel volto della Garbo c’era una sorta di potenziale, imminente evasione che
permetteva di trasferirvi qualsiasi progetto; su quello della Bardot non si può
programmare nulla: è fine a se stesso, ha in sé l’irrecusabile presenza della
realtà. I fantasmi che animano e alimentano il vizio, e i sogni eterei vi si
frantumano contro in egual modo; la maggior parte dei francesi ama purificarsi
della tendenza alla licenziosità attraverso itinerari mistici e viceversa: con
Brigitte Bardot i conti non tornano. Li riduce alla franchezza; sono costretti
ad ammettere la crudezza del loro desiderio; esso ha per oggetto precisamente
questo corpo, queste cosce, questi seni. La maggior parte delle persone non ha
il coraggio di limitare la sessualità a se stessa e riconoscerne la forza; essi
accusano di cinismo chiunque metta in pericolo la loro ipocrisia. Brigitte
Bardot dunque, in una società con pretese spiritualiste, appare deplorevolmente
materialista e volgare. Si è talmente mascherato l’amore d’orpelli falsamente
poetici che questa prosa mi sembra sana e riposante. Approvo Vadim che ha
voluto riportare l’erotismo sulla terra. Gli faccio però un rimprovero: averlo
spinto a una esagerazione disumana.
In molti campi, oggi, il «fattore umano» ha perso la
sua importanza: il progresso tecnico gli assegna un posto secondario e a volte
insignificante. Si mira alla razionalizzazione e funzionalità massima degli
elementi di cui l’uomo si serve per vivere: abitazioni, vestiti, etc… L’uomo
stesso è considerato dai politicanti, dagli arrivisti, dagli agenti
pubblicitari, dai militari ed anche dagli educatori, in tutto il cosiddetto
«mondo dell’organizzazione», un oggetto da manipolare. Si è formato in Francia
un gruppo letterario che si fa interprete di questa tendenza, il «nuovo
romanzo» – così si è autobattezzato – tende a creare un universo il più
possibile privo di significati umani, ridotto a spostamenti di volume e
superficie, a gioco d’ombre e di luci, di spazio e di tempo; i personaggi, le
loro relazioni, si muovono a vuoto o come dirette da un prestigiatore.
L’interesse di questa esperienza è relativo a pochi iniziati. Essa non ha
certamente influenzato Vadim; ma anche lui riduce il mondo, le cose, i corpi al
loro aspetto immediato. Nella vita e generalmente nei libri, nei films di
valore, gli individui non arrivano a definirsi soltanto attraverso la propria
sessualità; ciascuno ha una propria storia e il suo erotismo fa parte di una
determinata situazione: è possibile che sia la situazione stessa a causarlo.
Come si vede in «African Queen», né Bogart né Katherine Hepburn, vecchi,
distrutti, suscitano a priori il desiderio; tuttavia, quando Bogart posa per la
prima volta una mano sulla spalla di Katherine, una intensa emozione erotica si
sprigiona dal suo gesto: lo spettatore si identifica con l’uomo o con la donna
e i due interpreti sono trasfigurati dal sentimento che ciascuno ispira
all’altro. Perfino quando i protagonisti sono giovani e belli, il pubblico
sente più profondamente la loro forza di seduzione se diviene maggiormente
partecipe della loro storia: bisogna, dunque, ch’egli si interessi a questa
storia. Non è a caso, ad esempio, che Ingmar Bergman in «Sommerlak» ambienta
nel passato l’idillio che ci narra; grazie a ciò noi non assistiamo alla storia
d’amore di due adolescenti qualsiasi; una giovane donna, che ci ha commossi e
conquistati, ricorda la sua giovanile avventura: ci appariva, appena sedicenne,
sotto il peso enorme di tutto il suo avvenire. Il paesaggio in cui si muove al
contrario dall’essere semplice motivo ornamentale è mezzo di comunicazione tra
lei e noi: lo vediamo con i suoi occhi; attraverso la lenta risacca delle acque
e il candore del cielo notturno, spontaneamente ci neghiamo identificandoci in
lei. Tutte le sue emozioni divengono nostre: l’emozione cancella lo scandalo. I
«giuochi d’estate», le carezze, gli abbracci, le parole che Bergman ci presenta
sono molto più amorali delle avventure di Juliette in «Et Dieu créa la femme»;
i due amanti hanno appena superato l’infanzia; l’idea del matrimonio, quella
del peccato, non li sfiora nemmeno, essi si stringono con ardore esitante e
impudica ingenuità; la loro audacia, la loro gioia, sfidano trionfalmente ciò
che si chiama virtù. Lo spettatore non pensa neppure a turbarsi, poiché egli
stesso vive la loro struggente avventura. Quando ho visto «Et Dieu créa la
femme» durante la scena più ardita, alcuni, nella sala, ridevano. Ciò dipende
dal fatto che Vadim non vuole la nostra complicità. Egli «isola» la sessualità,
e il pubblico, non potendo trasferirsi sullo schermo, diventa osservatore
passivo: cosa che giustifica in parte la sua noia. La stupenda ragazza che
all’inizio del film offre ai raggi del sole il suo corpo nudo non è nessuno: un
corpo anonimo; nel corso dello spettacolo non riesce a diventar qualcuno.
Vadim, mescolando con negligenza il convenzionale e il provocatorio, evita di
avvincere il pubblico con una storia convincente. I personaggi sono trattati
allusivamente, appena accennati e mai definiti; quello di Brigitte Bardot è
troppo intenzionale per essere reale; e Saint-Tropez non è che puro sfondo,
estraneo alla vita degli eroi della storia, estraneo allo spettatore. In
«Sommerlak» il mondo esiste, riflette ed anima a sua volta la commozione, il
desiderio angoscioso, la gioia di giovani amanti: una semplice passeggiata in
barca ha in sé una carica erotica talmente dichiarata da eguagliare come
portata l’appassionata notte che l’ha preceduta, che ne sarà l’immediato
futuro. Nell’opera di Vadim, il mondo è assente: egli dà forma, su uno sfondo
dai colori irreali, a un certo numero di «scene madri» in cui si riassume tutta
la sessualità del film: strip-tease, carezze eccitate, mambo. Questa
discontinuità accentua il carattere aggressivo della femminilità di Brigitte Bardot;
il pubblico non è trasportato, quasi eternamente, in un regno immaginario; esso
assiste senza grande convinzione a una vicenda che non lo appassiona e che si
serve in vario modo di «numeri» il cui intento è interessato direttamente e in
modo totale: esso si protegge divenendo sarcastico. Un critico ha scritto che
la sessualità di Brigitte Bardot è troppo «cerebrale» per avere successo con i
latini; questo è render responsabile Brigitte Bardot dello stile di Vadim: uno
stile analitico e per conseguenza astratto che, come sopra ho detto, mette il
pubblico nello stato d’animo di chi assiste passivamente ad uno spettacolo
osceno. Coloro che amano tale tipo di spettacolo e sono i frequentatori
abituali di «blue-movie» o di «peep-show», cercano altre soddisfazioni che
quelle puramente visive. Lo spettatore normale invece reagisce con malanimo:
non è infatti piacevole assistere a freddo a uno spettacolo di fuoco. Quando
Brigitte Bardot balla il suo famoso mambo, nessuno pensa a Juliette: è Brigitte
Bardot che si esibisce, sola sullo schermo come una ballerina di strip-tease
sul palco, ella si offre direttamente a ogni spettatore. Offerta illusoria,
poiché guardandola essi non dimenticano che questa bella ragazza è celebre,
ricca, corteggiata, assolutamente inaccessibile: non ci si deve stupire se la
considerano una sgualdrina e si vendicano denigrandola.
Queste accuse non sono certo da riferirsi al film «En
cas de malheur». La regia di Autant-Lara, la sceneggiatura e i dialoghi di
Pierre Bost e di Aurenche, la recitazione di Jean Gabin, tutto contribuisce a
impegnare lo spettatore; con questo complesso Brigitte Bardot ha portato a
termine la sua più convincente fatica. Ma la sua reputazione morale non è
migliorata: il film ha suscitato delle proteste rabbiose proprio perché attacca
la società ancora più aspramente dei precedenti girati dalla Bardot;
«l’amoralismo» di Yvette, l’eroina, è radicale: si prostituisce con
indifferenza, organizza un colpo di mano e non ha esitazioni a percuotere un
vecchio; propone a un avvocato uno scambio di prestazioni che per poco non gli
toglie ogni dignità professionale, gli si dà senza amore; poi lo ama, lo
inganna e ingenuamente gli confida le sue infedeltà; gli confessa di aver
abortito più volte. Sebbene la trama faccia intravedere per un momento la
possibilità di una conversione, pure Yvette non si presenta a noi come
un’incosciente che può essere riportata al Bene, così come lo immaginano gli
onesti; la verità è dalla sua parte; mai ella nasconde o deforma i propri
sentimenti, non tergiversa davanti alla realtà della vita, la sua autenticità è
così contagiosa da farle conquistare il suo amante, il vecchio avvocato senza
scrupoli; Yvette risuscita tutto ciò che in lui rimane di vivo e sincero.
Autant-Lara ha ripreso il personaggio creato da Vadim, ma l’ha caricato di un
significato molto più sovversivo: nella nostra malata società, non c’è
possibilità di salvezza per i figli reietti o ribelli.
Ma ecco che questo personaggio comincia ad evolversi.
Senza dubbio qualcuno ha convinto Brigitte Bardot che oggi, in Francia,
l’anticonformismo non ha più significato. Si accusa Vadim di averne deformata
la reale immagine, e non è del tutto falso. Tutti quelli che conoscono Brigitte
Bardot dicono grandi cose della sua gentilezza, della sua bontà, della sua
freschezza; non è né stolta, né sventata e la sua vera natura è sconosciuta al
pubblico. Ugualmente sorprendente è il fatto che ultimamente gli articoli che
le sono dedicati nella pretesa di presentarci «la vera Brigitte Bardot» non
mettono in luce che i pregi del suo carattere. Brigitte, ci dicono, è una
giovinetta semplicissima, adora gli animali e la madre, ha il culto
dell’amicizia, soffre delle antipatie che suscita, si pente di ogni bizzarria,
è decisa a correggersi; le sue passate stravaganze hanno delle scusanti: la
gloria, la fortuna l’hanno messa alla prova troppo duramente, l’hanno esaltata;
ma sta ritrovando il suo equilibrio. Insomma, si sta assistendo a una vera e
propria riabilitazione.
Da qualche tempo, Brigitte dichiara spesso con
entusiasmo che adora la campagna e sogna di poter possedere e dirigere una
fattoria: l’amore per le mucche è considerato in Francia garanzia di alta
moralità. Gabin è sicuro di avere con sé tutta la simpatia del pubblico quando
dichiara: «Una vacca è più solida della gloria»; si fotografano il più
possibile le attrici mentre danno il mangime ai loro polli o vangano il loro
giardino. Questo gusto campestre conviene alla figura di ragionevole borghese
che Brigitte, ci assicurano, sta cercando sempre più di assumere. Brigitte
Bardot ha sempre conosciuto i prezzi della roba e tenuto scrupolosamente i
conti di casa; in questi tempi segue attentamente i movimenti in Borsa e dà
illuminati consigli al suo agente di cambio; durante un pranzo ufficiale
avrebbe stupito con la sua competenza il direttore della Banca di Francia:
saper collocare il proprio denaro è per la borghesia francese una virtù
suprema. Un giornalista di più elevata fantasia è arrivato a dare per probabile
una evoluzione mistica di Brigitte, tanto fervore c’è in lei di assoluto. Fra
tutte le strade esemplari che la nuova edizione della sua leggenda le apre,
ella ha scelto la più definitiva e determinante per la redenzione di una
«star»: il matrimonio, la maternità. E anche sullo schermo è rientrata
nell’ordine: in «Babette s’en va-t-en guerre» Brigitte è un’eroina della
Resistenza; una uniforme, e delle «toilettes» particolarmente studiate, ci
nascondono il suo incantevole corpo. «Voglio che tutti i minori di 16 anni
possano venire a vedermi» ha detto. Il film si chiude con una sfilata militare
che permette a Babette di acclamare il generale de Gaulle.
La metamorfosi è definitiva? Ci sarebbe un certo
numero di persone deluse, comunque. Chi nel giusto? Molti giovani potrebbero
facilmente essere classificati della vecchia guardia mentre vi sono persone
mature che preferiscono la verità alla convenzione; sarebbe semplicistico
credere che Brigitte Bardot rappresenta il punto d’attrito di due generazioni:
la contesa mette di fronte i tradizionalisti e gli spiriti moderni, coloro che
vorrebbero fermi e decisi una volta per tutte i modi di vivere e quelli che
reclamano un’evoluzione. Dire che Brigitte Bardot incarna l’immoralità di
un’epoca è come ammettere che il suo personaggio pone in discussione alcuni dei
tabú propri dell’epoca precedente: in particolare quelli che negano alla donna
l’autonomia sessuale. In Francia, almeno ufficialmente si dà ancora molta
importanza alla dipendenza della femmina rispetto al maschio. Gli americani,
che in effetti sono lontani dall’avere raggiunto completamente l’uguaglianza
dei sessi, ma che teoricamente la ammettono, non hanno visto niente di
scandaloso in questa emancipazione che ha il suo simbolo in Brigitte Bardot. È
soprattutto la sua franchezza che turba tutti e conquista pochi. «L’amore,
voglio che sia senza ipocrisia, senza storia» ha dichiarato Brigitte Bardot.
Amore, erotismo, senza più mistificazioni, l’impresa
va più lontana del previsto: se un mito s’incrina, tutti i miti sono in
pericolo. Uno sguardo sincero, per limitata che sia la sua azione, è un fuoco
che rischia di propagarsi e di ridurre in cenere tutti i volgari travestimenti
che soffocano l’immagine della realtà. Perché? Perché no? domandano i bambini.
Gli s’impone il silenzio. Gli occhi di Brigitte, il suo sorriso, la sua
presenza reclamano una risposta urgente agli interrogativi. Perché? Perché no?
Si stanno mettendo a tacere queste domande non sillabate ma egualmente poste?
Accetterà ella di ripetere delle risposte menzognere? Forse gli astî suscitati
si placheranno, ma Brigitte non significherà più niente per nessuno. Spero che
per divenire popolare non accetti di diventare insignificante. Le auguro di
morire ma di non cambiare.
Traduzione italiana di Piero Del Giudice,
Milano, Lerici, 1960 (Oggi nel mondo, 4), pp. 7-41.
Una notte di Natale, Brigitte Bardot è apparsa sullo
schermo televisivo. Nella tenuta abituale: blue-jeans, maglione, capelli in
disordine, pizzicava una chitarra, accoccolata su un divano. «Niente di
speciale, lo farei altrettanto bene, non è neanche bella, ha un viso da
servetta» dicevano le donne, gli uomini non potevano far a meno di divorarla
con gli occhi, ma come controvoglia, e sogghignavano. Su trenta spettatori,
eravamo solo in due o tre a trovarla incantevole; poi si è esibita in un
eccellente numero di danza classica. «Sa danzare» ammisero a denti stretti.
Ancora una volta mi resi conto che Brigitte Bardot nel suo paese non è amata.
Quando ai Champs Elysées fu proiettato il film «Et Dieu créa la femme» che era
costato 140 milioni di franchi, gli incassi ne fruttarono meno di 60. Lo stesso
spettacolo ha raggiunto negli U.S.A. i 4 milioni, in dollari, d’incassi: grosso
modo il costo di 2.500 Dauphine. B.B., oggi, merita di essere considerata un
prodotto da esportazione importante come le automobili Renault. Giunta ad
essere il nuovo idolo della gioventù americana, stella internazionale di prima
grandezza, i suoi connazionali continuano ad osteggiarla. Non passa settimana
senza che la stampa non ci dia ragguagli sui suoi ultimi umori, amori, o non ci
proponga un’interpretazione inedita della sua personalità; ma il cinquanta per
cento di queste notizie lascia trapelare del malanimo.
Quotidianamente Brigitte riceve trecento lettere di
ammiratori di ambo i sessi; ogni giorno madri indignate scrivono ai direttori
dei più diffusi giornali, alle autorità religiose e laiche, protestando contro
la sua esistenza. Quando ad Angers, tre giovani di buona famiglia per gioco
ozioso uccisero sul treno un vecchio nel sonno, le famiglie degli scolari
unite, denunciarono B.B. al signor V. Chatenay, sindaco della città: era lei la
vera responsabile del delitto; si era permessa la proiezione ad Angers di «Et
Dieu créa la femme»: il pervertimento dei giovani era stato immediato. Non mi
meraviglia il fatto che il Vaticano, nel padiglione allestito a Bruxelles,
abbia scelto B.B. come simbolo del male, né che ovunque, negli stessi U.S.A., i
ben noti specialisti della morale abbiano brigato per vietare l’importazione
dei suoi films. Non è cosa nuova che i moralisti identifichino la carne e il
peccato, con nell’animo la segreta speranza di poter ridurre in cenere le opere
d’arte, i libri, i films che la rappresentano con compiacenza o franchezza. Ma
questo pudore ufficiale non spiega la particolare animosità del pubblico
francese verso Brigitte Bardot. Nei suoi films di successo anche Martine Carol
era avara di vesti e generosa verso natura e nessuno gliene voleva; quasi tutti
invece concordano nel considerare Brigitte Bardot un monumento d’immoralità:
perché il personaggio fabbricato da Marc Allegret e soprattutto da Vadim
scatena tanta ostilità?
Poco importa che Dio abbia originato Eva da una
costola piuttosto che da una vertebra, se si vuol capire ciò che Brigitte
Bardot rappresenta, poco importa conoscere l’intima fisionomia della giovane
donna chiamata Brigitte Bardot. Il suo pubblico ammira e critica la creatura
immaginaria dello schermo che un vasto apparato pubblicitario ha già reso
familiare. Nella misura in cui è esposta, la sua vita privata è un contributo
valido almeno quanto le interpretazioni cinematografiche alla sua leggenda, la
quale, pure, è postilla recente a un antichissimo mito che Vadim si è proposto
con risolutezza di ringiovanire; egli ha creato una versione del tutto moderna
de «l’eterno femminino», originando così un tipo inedito d’erotismo: è questa
novità che attira gli uni e confonde altri.
L’amore può resistere alla familiarità, l’erotismo no.
La sua presenza nel cinema è andata sempre più diminuendo quando si sono
attenuate le differenze sociali tra i due sessi. Dal 1930 al 1940 la vicenda
erotica ha ceduto il posto a quella di carattere romantico-sentimentale; la
vamp fu sostituita dalla donna-compagna di cui Joan Arthur rappresentò il tipo
perfetto. Però, quando nel 1947 una grave crisi colpì l’industria cinematografica,
per richiamare il pubblico nelle sale cinematografiche si ritornò all’erotismo.
Non sarebbe cosa molto logica in un’epoca in cui la donna guida l’automobile,
amministra e dirige larghi interessi, ostenta con naturalezza sulle spiagge la sua
nudità, rinverdire e risuscitare il tipo della vamp e il suo mistero; si
ricorse, in modo più spregiudicato, alla malìa che le forme femminili
esercitano sul maschio; le attrici furono valorizzate, più che per l’ardore o
il languore del loro sguardo, secondo l’evidenza delle loro doti intrinseche
d’attrazione. Marylin Monroe, Sophia Loren, la Lollobrigida provano e
convincono che la donna dalle fiorite grazie non ha perduto il suo potere
sull’uomo. Contemporaneamente i mercanti di sogni si sono così orientati in
un’altra direzione. Con Audrey Hepburn, Françoise Arnoul, Marina Vlady, Leslie
Caron, Brigitte Bardot essi hanno inventato la monella erotica. Per il suo
ultimo film, «Les liaisons dangereuses», Vadim ha scritturato una ragazzina di
14 anni. La donna-bambina non trionfa soltanto nel cinema. Nel dramma di Arthur
Miller «Uno sguardo dal ponte» che tanto e strepitoso successo ha ottenuto
negli Stati Uniti e in Francia, l’eroina è appunto adolescente. Per alcuni
mesi, «Lolita» di Nabokov è stata negli Stati Uniti alla testa dei
best-sellers: il romanzo narra gli amori di un quarantenne e di una «ninfetta»
di dodici anni. La donna adulta ha oggi una sfera di vita pressoché uguale a
quella dell’uomo; l’adolescente-donna si muove in un’atmosfera che è a lui
impenetrabile; la differenza d’età ristabilisce quella distanza che si
considerava presupposto necessario del desiderio. È almeno questo il colore su
cui hanno puntato nel creare una nuova Eva sintesi dei tipi «frutto acerbo» e
«donna fatale». Si vedrà per quali ragioni la loro riuscita sia tanto minore in
Francia che in America.
Brigitte Bardot è l’esemplare più completo di queste
ambigue ninfe. Visto di spalle, il suo corpo di ballerina, minuto, muscoloso, è
pressoché androgino; la femminilità balza esuberante dal suo busto incantevole;
sulle sue spalle scende la lunga e voluttuosa chioma di Melisenda, acconciata
però con una negligenza da selvaggia; le sue labbra accennano un broncio
puerile e nello stesso tempo invitano a baciare; cammina a piedi nudi, se ne
infischia di come è vestita, non porta gioielli, non ricorre a busti, non si
profuma, non fa uso di nessun artificio, purtuttavia le sue movenze sono
lascive, e un santo si dannerebbe soltanto a vederla danzare.
Spesso hanno rimproverato al suo volto l’incapacità di
cambiare espressione e la fissità della sua maschera; il mondo esteriore
infatti non vi si riflette e da esso non traspaiono emozioni intime; ma questa
indifferenza le si addice; l’esperienza non ha segnato Brigitte Bardot; anche
se è donna di vita come in «En cas de malheur» la lezione è stata troppo
confusa per essere efficace; senza memoria, senza passato, ella ritrova, grazie
alla sua non-coscienza, quella perfetta innocenza che si attribuisce
miticamente all’infanzia.
L’apparato pubblicitario tenuto vivo attorno a
Brigitte Bardot l’ha a lungo presentata nelle sembianze di questo ingenuo e
conturbante personaggio. Vadim nel presentarla parlò di «fenomeno naturale»;
ella non recita, diceva, vive. Sì, ribadiva Brigitte Bardot: La Juliette di «Et
Dieu créa la femme» sono proprio io; davanti alla macchina da presa mi limito
ad essere ciò che sono. Si disse che Brigitte non usava il pettine, lo odiava,
si aggiustava i capelli con le dita, che detestava le manifestazioni a
carattere mondano. Nelle interviste appariva naturale, semplice. Vadim rincarò
la dose, la descrisse candida sino all’assurdo: secondo lui, a 18 anni, la sua
protetta credeva che i topi facessero le uova. Era ombrosa, capricciosa; il suo
produttore l’attese invano alla prima di gala del film «Effeuillons la
marguerite»; all’ultimo minuto Brigitte Bardot fece sapere che non sarebbe
venuta. La si descrisse come un essere istintivo, totalmente soggetto ai suoi
impulsi: di punto in bianco l’arredamento della sua camera non le andò più a
genio; si mise all’opera strappando la tappezzeria e ridipingendo da sola i
mobili.
Stravagante, di umore instabile, bizzarra, se Brigitte
Bardot conserva l’ingenuità dell’infanzia ne ha anche il mistero: è uno strano
piccolo essere, inquietante come la classica donna fatale.
Nonostante tutto, questa figura non è estranea al mito
tradizionale della femminilità. Nei ruoli interpretati da Brigitte Bardot c’è
anche un aspetto convenzionale. Ella vi appare come una forza naturale,
pericolosa allo stato libero, e che proprio per questo, l’uomo deve
addomesticare. È buona, generosa: in tutti i suoi films ama gli animali; se le
accade di far soffrire qualcuno è sempre senza volerlo. Le sue bizzarrie, i
guai che combina trovano sempre delle attenuanti nella sua estrema giovinezza e
nelle circostanze; Juliette ha avuto un’infanzia infelice; Yvette, in «En cas
de malheur» è una vittima della società; se si traviano è perché nessuno le ha
indirizzate sulla giusta strada: ma un uomo, un vero uomo, saprebbe redimerle.
Quando il suo giovane marito decide di comportarsi con virilità e la
schiaffeggia, ecco la metamorfosi: Juliette diviene una sposa felice, contrita,
sottomessa. Yvette accetta con gioia l’imposizione di fedeltà al suo amante e
lo stato di quasi sequestro in cui è da lui costretta: con un po’ di fortuna,
quest’uomo maturo ed esperto l’avrebbe potuta redimere. Brigitte Bardot è una
adolescente sperduta e patetica, bisognosa di protezione, d’una guida; questo
tipo è già stato sperimentato, lusinga la vanità maschile, tranquillizza le
donne mature e già in declino; gli si può rimproverare infatti la mancanza di
attualità, e non pecca di troppa audacia.
Soltanto – ed è per questo che i films di Vadim e di
Autant-Lara non cadono nella banalità – questa vittoria dell’uomo e dell’ordine
costituito che il copione prudentemente suggerisce, non fa presa sugli
spettatori. Si può supporre che «questa irriducibile monella» metta giudizio ma
Juliette certamente non diventerà una sposa e madre modello. All’incoscienza,
all’inesperienza si può rimediare; ma Brigitte Bardot non è soltanto ingenua: è
pericolosamente sincera. È compito della psichiatria porre un freno alla
perversità di una «Baby doll»; una ribelle si può convincere e redimere; ne «La
Contessa scalza», Ava Gardner nonostante le sue perversioni non attacca le
istituzioni morali: condanna i propri istinti confessando che ama «immergersi
nel fango». Brigitte Bardot non è né perversa, né ribelle, né immorale, la
morale, dunque, con lei non può farcela.
Il bene, il male, fanno parte di quelle convinzioni,
assoggettarsi alle quali è un pensiero che non la sfiora nemmeno. Niente mette
a fuoco il suo personaggio come la scena del pranzo nuziale di «Et Dieu créa la
femme»; Juliette si è subito messa a letto con il suo giovane sposo; nel bel
mezzo del banchetto, si alza in vestaglia e, senza degnare di uno sguardo o di
un gesto i commensali esterrefatti, sottrae sotto il loro naso mangusta, pollo,
frutta, bottiglie di vino: porta via con noncuranza e tranquillità il vassoio
colmo di vivande. Dell’opinione altrui non si interessa. Brigitte Bardot non
cerca lo scandalo, non rivendica nulla; non sa di doveri e di diritti: segue il
suo istinto. Mangia quando ha fame, in fatto d’amore si comporta con la stessa
semplicità; il desiderio, il piacere, la convincono più delle consuetudini e
delle norme. Non critica gli altri: agisce a suo modo ed è proprio ciò che
smonta, non pone interrogativi, ma la franchezza delle sue risposte è tale che
rischia d’essere contagiosa. Si può rimediare all’errore, alla stonatura; ma
chi guarirebbe Brigitte Bardot da questa virtù assoluta: l’autenticità? È la
sua stessa natura; né le rudi né le buone maniere, neppure l’amore saprebbero
sopprimerla. Brigitte non rifiuta soltanto l’ipocrisia e l’inibizione, ma anche
il calcolo, la premeditazione ed ogni sua variante: l’avvenire è ancora una di
quelle invenzioni degli adulti alle quali ben si guarda di dare confidenza.
«Vivo come se dovessi morire da un momento all’altro», dice Jiuliette. Brigitte
confida: «ogni volta che amo, penso che sia un amore eterno». Farsi partecipi
di una misura eterna del tempo, è sempre un modo di negarlo. Si dice grande
ammiratrice di James Dean, e in lei si ritrovano, in minor misura e portata,
alcune delle caratteristiche che il giovane attore americano spinse al loro
parossismo: la frenesia del vivere, l’amore dell’assoluto, il sentimento della
fine incombente. Con meno violenza ed esaltazione, ma chiaramente, anche lei
simbolizza il credo che una parte della gioventù moderna oppone ai falsi
valori, alle vuote speranze, all’impaccio, alla noia delle costrizioni.
Ecco perché i tenaci membri di certa reazione
tradizionalista dichiarano: «Brigitte Bardot è il frutto dell’immoralità di
un’epoca e come tale si esprime». Le donne dabbene e sdegnose si sentono a loro
agio davanti al fascino delle classiche Circi, il cui potere aveva origini
oscure e misteriose; cortigiane, calcolatrici, viziose, reprobe, una forza
malvagia le possedeva; dall’alto della loro virtù, la fidanzata, la sposa, la
padrona dal cuore grande così, la madre dispotica, condannavano con trasporto
queste figlie del male. Ma se il male prende le sembianze dell’innocenza, esse
si struggono dalla rabbia impotente.
Brigitte Bardot non ha nulla della «donna malvagia»;
il suo viso spira franchezza e bontà: è più giusto rassomigliarla a un
pechinese che a un gatto, non è viziosa, non è venale. In una scena di «En cas
de malheur», alzando le sottane sulla coscia, propone crudamente uno scambio a
Gabin; ma nel suo cinismo è una non so quale disarmante candidezza. Fresca,
serena, tranquillamente sensuale, impossibile vedere in lei il segno di Satana:
e tuttavia non può che sembrare diabolica alle donne umiliate e minacciate
dalla sua bellezza. Ogni uomo è vittima della forza seduttrice di Brigitte
Bardot: ciò non significa che essi siano ben disposti verso lei. La maggioranza
dei francesi sostiene che la donna perde il suo fascino se rinuncia agli
accessori della bellezza; secondo loro, una donna in pantaloni spegne ogni desiderio.
Brigitte dimostra loro il contrario ed essi non le sono grati. Il fatto è che
non vogliono rinunciare al ruolo di signori e padroni. La vamp non lo metteva
in pericolo; il fascino che esercitava su di loro era ancora sostanzialmente
quello di un oggetto passivo; cadevano di propria volontà nella trappola
magica, in essa si obliavano volontariamente, come ci si annega: la libertà, la
padronanza della situazione, accompagnavano quest’atto di dedizione.
Quando Marlène ostentava le cosce inguainate nella
seta nera, cantando con voce roca e volgendo all’intorno lo sguardo carico e
intenso, iniziava sulla scena un rito d’ammaliamento. Brigitte Bardot non
strega: agisce. La sua carne non ha l’esuberanza che diviene in altri simbolo
di passività; i suoi costumi non sono strumenti magici, e quando si spoglia non
svela un mistero; mostra il suo corpo, né più né meno. Raramente plasticizzato
nell’immobilità, esso cammina, danza, si muove.
Il suo erotismo non è magico, ma aggressivo; nel gioco
dell’amore, ella è ugualmente cacciatrice e preda; il maschio è oggetto come a
sua volta lei per lui. È questo che ferisce l’orgoglio maschile: nei paesi
latini gli uomini non sanno liberarsi dal mito della «donna-oggetto»; la
naturalezza di Brigitte Bardot sembra loro più perversa di tutte le
sofisticazioni. Disprezzare i gioielli, i belletti, i tacchi alti, rinunciare
alla linea, è il rifiuto a costituirsi irraggiungibile idolo: è confermarsi a
somiglianza dell’uomo, suo pari, è ammettere tra i due sessi una reciprocità di
desiderio, di piacere. Perciò, pur negandosi affine a loro – senza dubbio
perché le sembrano troppo cerebrali – Brigitte ha una certa parentela con le
eroine di Françoise Sagan.
Ma l’uomo si sente a disagio se invece di una bambola
di carne, stringe tra le braccia un essere cosciente che lo osserva e lo
vaglia; una donna libera è l’assoluto contrario di una donna facile. Nelle sue
parti di giovinetta smarrita, di puttanella senza casa né tetto, Brigitte
Bardot sembra facile preda di ogni desiderio: ma paradossalmente, ecco, rende
timidi.
Non è difesa da ricche acconciature, né da alcuna
prestigiosa posizione sociale, ma c’è qualcosa di restio nel suo viso
imbronciato, nel suo corpo vivace. «Lei capisce» mi diceva un francese del ceto
medio «quando una donna piace a un uomo, bisogna che egli possa pizzicarle il
sedere». Il gesto tra il licenzioso e il familiare riduce la donna ad un
oggetto disponibile a piacere senza che ci si debba preoccupare di ciò che
accade nella sua testa, nel suo cuore, nel suo corpo. Ma Brigitte Bardot non ha
la componente «buona ragazza» che permetterebbe di trattarla con tale
licenziosa disinvoltura; nulla in lei è triviale: possiede una specie di
spontanea dignità, e la serietà dell’infanzia. La differenza dell’accoglienza
fatta a Brigitte negli U.S.A. e in Francia deriva in parte dal fatto che l’uomo
americano non ha, come il francese, il gusto della licenziosità, è abituato a
un certo rispetto della donna; la parità sessuale che il contegno generale di
Brigitte Bardot asserisce senza enunciare, egli l’ammette ormai da anni; nello
stesso tempo, per una quantità di ragioni spesso analizzate in America, egli
prova avversione verso la donna-donna; in lei scorge un’antagonista, una
mantide sacra, una tiranna. Si abbandonerà invece con entusiasmo alle grazie
della «ninfa» nella quale ancora non si annunciano visibilmente le temute
figure della moglie e della «madre». In Francia, gran parte delle donne si
fanno complici servili di questo sentimento di superiorità connaturato negli
uomini, che preferiscono la loro passività all’altezzosa impudenza di Brigitte
Bardot.
Ella li imbarazza sempre più: scoraggia la loro voglia
di pizzicotti e non si presta d’altra parte alle sublimazioni idealistiche. La
Garbo era detta «la Divina»; la Bardot, al contrario, è del tutto terrestre;
nel volto della Garbo c’era una sorta di potenziale, imminente evasione che
permetteva di trasferirvi qualsiasi progetto; su quello della Bardot non si può
programmare nulla: è fine a se stesso, ha in sé l’irrecusabile presenza della
realtà. I fantasmi che animano e alimentano il vizio, e i sogni eterei vi si
frantumano contro in egual modo; la maggior parte dei francesi ama purificarsi
della tendenza alla licenziosità attraverso itinerari mistici e viceversa: con
Brigitte Bardot i conti non tornano. Li riduce alla franchezza; sono costretti
ad ammettere la crudezza del loro desiderio; esso ha per oggetto precisamente
questo corpo, queste cosce, questi seni. La maggior parte delle persone non ha
il coraggio di limitare la sessualità a se stessa e riconoscerne la forza; essi
accusano di cinismo chiunque metta in pericolo la loro ipocrisia. Brigitte
Bardot dunque, in una società con pretese spiritualiste, appare deplorevolmente
materialista e volgare. Si è talmente mascherato l’amore d’orpelli falsamente
poetici che questa prosa mi sembra sana e riposante. Approvo Vadim che ha
voluto riportare l’erotismo sulla terra. Gli faccio però un rimprovero: averlo
spinto a una esagerazione disumana.
In molti campi, oggi, il «fattore umano» ha perso la
sua importanza: il progresso tecnico gli assegna un posto secondario e a volte
insignificante. Si mira alla razionalizzazione e funzionalità massima degli
elementi di cui l’uomo si serve per vivere: abitazioni, vestiti, etc… L’uomo
stesso è considerato dai politicanti, dagli arrivisti, dagli agenti
pubblicitari, dai militari ed anche dagli educatori, in tutto il cosiddetto
«mondo dell’organizzazione», un oggetto da manipolare. Si è formato in Francia
un gruppo letterario che si fa interprete di questa tendenza, il «nuovo
romanzo» – così si è autobattezzato – tende a creare un universo il più
possibile privo di significati umani, ridotto a spostamenti di volume e
superficie, a gioco d’ombre e di luci, di spazio e di tempo; i personaggi, le
loro relazioni, si muovono a vuoto o come dirette da un prestigiatore.
L’interesse di questa esperienza è relativo a pochi iniziati. Essa non ha
certamente influenzato Vadim; ma anche lui riduce il mondo, le cose, i corpi al
loro aspetto immediato. Nella vita e generalmente nei libri, nei films di
valore, gli individui non arrivano a definirsi soltanto attraverso la propria
sessualità; ciascuno ha una propria storia e il suo erotismo fa parte di una
determinata situazione: è possibile che sia la situazione stessa a causarlo.
Come si vede in «African Queen», né Bogart né Katherine Hepburn, vecchi,
distrutti, suscitano a priori il desiderio; tuttavia, quando Bogart posa per la
prima volta una mano sulla spalla di Katherine, una intensa emozione erotica si
sprigiona dal suo gesto: lo spettatore si identifica con l’uomo o con la donna
e i due interpreti sono trasfigurati dal sentimento che ciascuno ispira
all’altro. Perfino quando i protagonisti sono giovani e belli, il pubblico
sente più profondamente la loro forza di seduzione se diviene maggiormente
partecipe della loro storia: bisogna, dunque, ch’egli si interessi a questa
storia. Non è a caso, ad esempio, che Ingmar Bergman in «Sommerlak» ambienta
nel passato l’idillio che ci narra; grazie a ciò noi non assistiamo alla storia
d’amore di due adolescenti qualsiasi; una giovane donna, che ci ha commossi e
conquistati, ricorda la sua giovanile avventura: ci appariva, appena sedicenne,
sotto il peso enorme di tutto il suo avvenire. Il paesaggio in cui si muove al
contrario dall’essere semplice motivo ornamentale è mezzo di comunicazione tra
lei e noi: lo vediamo con i suoi occhi; attraverso la lenta risacca delle acque
e il candore del cielo notturno, spontaneamente ci neghiamo identificandoci in
lei. Tutte le sue emozioni divengono nostre: l’emozione cancella lo scandalo. I
«giuochi d’estate», le carezze, gli abbracci, le parole che Bergman ci presenta
sono molto più amorali delle avventure di Juliette in «Et Dieu créa la femme»;
i due amanti hanno appena superato l’infanzia; l’idea del matrimonio, quella
del peccato, non li sfiora nemmeno, essi si stringono con ardore esitante e
impudica ingenuità; la loro audacia, la loro gioia, sfidano trionfalmente ciò
che si chiama virtù. Lo spettatore non pensa neppure a turbarsi, poiché egli
stesso vive la loro struggente avventura. Quando ho visto «Et Dieu créa la
femme» durante la scena più ardita, alcuni, nella sala, ridevano. Ciò dipende
dal fatto che Vadim non vuole la nostra complicità. Egli «isola» la sessualità,
e il pubblico, non potendo trasferirsi sullo schermo, diventa osservatore
passivo: cosa che giustifica in parte la sua noia. La stupenda ragazza che
all’inizio del film offre ai raggi del sole il suo corpo nudo non è nessuno: un
corpo anonimo; nel corso dello spettacolo non riesce a diventar qualcuno.
Vadim, mescolando con negligenza il convenzionale e il provocatorio, evita di
avvincere il pubblico con una storia convincente. I personaggi sono trattati
allusivamente, appena accennati e mai definiti; quello di Brigitte Bardot è
troppo intenzionale per essere reale; e Saint-Tropez non è che puro sfondo,
estraneo alla vita degli eroi della storia, estraneo allo spettatore. In
«Sommerlak» il mondo esiste, riflette ed anima a sua volta la commozione, il
desiderio angoscioso, la gioia di giovani amanti: una semplice passeggiata in
barca ha in sé una carica erotica talmente dichiarata da eguagliare come
portata l’appassionata notte che l’ha preceduta, che ne sarà l’immediato
futuro. Nell’opera di Vadim, il mondo è assente: egli dà forma, su uno sfondo
dai colori irreali, a un certo numero di «scene madri» in cui si riassume tutta
la sessualità del film: strip-tease, carezze eccitate, mambo. Questa
discontinuità accentua il carattere aggressivo della femminilità di Brigitte Bardot;
il pubblico non è trasportato, quasi eternamente, in un regno immaginario; esso
assiste senza grande convinzione a una vicenda che non lo appassiona e che si
serve in vario modo di «numeri» il cui intento è interessato direttamente e in
modo totale: esso si protegge divenendo sarcastico. Un critico ha scritto che
la sessualità di Brigitte Bardot è troppo «cerebrale» per avere successo con i
latini; questo è render responsabile Brigitte Bardot dello stile di Vadim: uno
stile analitico e per conseguenza astratto che, come sopra ho detto, mette il
pubblico nello stato d’animo di chi assiste passivamente ad uno spettacolo
osceno. Coloro che amano tale tipo di spettacolo e sono i frequentatori
abituali di «blue-movie» o di «peep-show», cercano altre soddisfazioni che
quelle puramente visive. Lo spettatore normale invece reagisce con malanimo:
non è infatti piacevole assistere a freddo a uno spettacolo di fuoco. Quando
Brigitte Bardot balla il suo famoso mambo, nessuno pensa a Juliette: è Brigitte
Bardot che si esibisce, sola sullo schermo come una ballerina di strip-tease
sul palco, ella si offre direttamente a ogni spettatore. Offerta illusoria,
poiché guardandola essi non dimenticano che questa bella ragazza è celebre,
ricca, corteggiata, assolutamente inaccessibile: non ci si deve stupire se la
considerano una sgualdrina e si vendicano denigrandola.
Queste accuse non sono certo da riferirsi al film «En
cas de malheur». La regia di Autant-Lara, la sceneggiatura e i dialoghi di
Pierre Bost e di Aurenche, la recitazione di Jean Gabin, tutto contribuisce a
impegnare lo spettatore; con questo complesso Brigitte Bardot ha portato a
termine la sua più convincente fatica. Ma la sua reputazione morale non è
migliorata: il film ha suscitato delle proteste rabbiose proprio perché attacca
la società ancora più aspramente dei precedenti girati dalla Bardot;
«l’amoralismo» di Yvette, l’eroina, è radicale: si prostituisce con
indifferenza, organizza un colpo di mano e non ha esitazioni a percuotere un
vecchio; propone a un avvocato uno scambio di prestazioni che per poco non gli
toglie ogni dignità professionale, gli si dà senza amore; poi lo ama, lo
inganna e ingenuamente gli confida le sue infedeltà; gli confessa di aver
abortito più volte. Sebbene la trama faccia intravedere per un momento la
possibilità di una conversione, pure Yvette non si presenta a noi come
un’incosciente che può essere riportata al Bene, così come lo immaginano gli
onesti; la verità è dalla sua parte; mai ella nasconde o deforma i propri
sentimenti, non tergiversa davanti alla realtà della vita, la sua autenticità è
così contagiosa da farle conquistare il suo amante, il vecchio avvocato senza
scrupoli; Yvette risuscita tutto ciò che in lui rimane di vivo e sincero.
Autant-Lara ha ripreso il personaggio creato da Vadim, ma l’ha caricato di un
significato molto più sovversivo: nella nostra malata società, non c’è
possibilità di salvezza per i figli reietti o ribelli.
Ma ecco che questo personaggio comincia ad evolversi.
Senza dubbio qualcuno ha convinto Brigitte Bardot che oggi, in Francia,
l’anticonformismo non ha più significato. Si accusa Vadim di averne deformata
la reale immagine, e non è del tutto falso. Tutti quelli che conoscono Brigitte
Bardot dicono grandi cose della sua gentilezza, della sua bontà, della sua
freschezza; non è né stolta, né sventata e la sua vera natura è sconosciuta al
pubblico. Ugualmente sorprendente è il fatto che ultimamente gli articoli che
le sono dedicati nella pretesa di presentarci «la vera Brigitte Bardot» non
mettono in luce che i pregi del suo carattere. Brigitte, ci dicono, è una
giovinetta semplicissima, adora gli animali e la madre, ha il culto
dell’amicizia, soffre delle antipatie che suscita, si pente di ogni bizzarria,
è decisa a correggersi; le sue passate stravaganze hanno delle scusanti: la
gloria, la fortuna l’hanno messa alla prova troppo duramente, l’hanno esaltata;
ma sta ritrovando il suo equilibrio. Insomma, si sta assistendo a una vera e
propria riabilitazione.
Da qualche tempo, Brigitte dichiara spesso con
entusiasmo che adora la campagna e sogna di poter possedere e dirigere una
fattoria: l’amore per le mucche è considerato in Francia garanzia di alta
moralità. Gabin è sicuro di avere con sé tutta la simpatia del pubblico quando
dichiara: «Una vacca è più solida della gloria»; si fotografano il più
possibile le attrici mentre danno il mangime ai loro polli o vangano il loro
giardino. Questo gusto campestre conviene alla figura di ragionevole borghese
che Brigitte, ci assicurano, sta cercando sempre più di assumere. Brigitte
Bardot ha sempre conosciuto i prezzi della roba e tenuto scrupolosamente i
conti di casa; in questi tempi segue attentamente i movimenti in Borsa e dà
illuminati consigli al suo agente di cambio; durante un pranzo ufficiale
avrebbe stupito con la sua competenza il direttore della Banca di Francia:
saper collocare il proprio denaro è per la borghesia francese una virtù
suprema. Un giornalista di più elevata fantasia è arrivato a dare per probabile
una evoluzione mistica di Brigitte, tanto fervore c’è in lei di assoluto. Fra
tutte le strade esemplari che la nuova edizione della sua leggenda le apre,
ella ha scelto la più definitiva e determinante per la redenzione di una
«star»: il matrimonio, la maternità. E anche sullo schermo è rientrata
nell’ordine: in «Babette s’en va-t-en guerre» Brigitte è un’eroina della
Resistenza; una uniforme, e delle «toilettes» particolarmente studiate, ci
nascondono il suo incantevole corpo. «Voglio che tutti i minori di 16 anni
possano venire a vedermi» ha detto. Il film si chiude con una sfilata militare
che permette a Babette di acclamare il generale de Gaulle.
La metamorfosi è definitiva? Ci sarebbe un certo
numero di persone deluse, comunque. Chi nel giusto? Molti giovani potrebbero
facilmente essere classificati della vecchia guardia mentre vi sono persone
mature che preferiscono la verità alla convenzione; sarebbe semplicistico
credere che Brigitte Bardot rappresenta il punto d’attrito di due generazioni:
la contesa mette di fronte i tradizionalisti e gli spiriti moderni, coloro che
vorrebbero fermi e decisi una volta per tutte i modi di vivere e quelli che
reclamano un’evoluzione. Dire che Brigitte Bardot incarna l’immoralità di
un’epoca è come ammettere che il suo personaggio pone in discussione alcuni dei
tabú propri dell’epoca precedente: in particolare quelli che negano alla donna
l’autonomia sessuale. In Francia, almeno ufficialmente si dà ancora molta
importanza alla dipendenza della femmina rispetto al maschio. Gli americani,
che in effetti sono lontani dall’avere raggiunto completamente l’uguaglianza
dei sessi, ma che teoricamente la ammettono, non hanno visto niente di
scandaloso in questa emancipazione che ha il suo simbolo in Brigitte Bardot. È
soprattutto la sua franchezza che turba tutti e conquista pochi. «L’amore,
voglio che sia senza ipocrisia, senza storia» ha dichiarato Brigitte Bardot.
Amore, erotismo, senza più mistificazioni, l’impresa
va più lontana del previsto: se un mito s’incrina, tutti i miti sono in
pericolo. Uno sguardo sincero, per limitata che sia la sua azione, è un fuoco
che rischia di propagarsi e di ridurre in cenere tutti i volgari travestimenti
che soffocano l’immagine della realtà. Perché? Perché no? domandano i bambini.
Gli s’impone il silenzio. Gli occhi di Brigitte, il suo sorriso, la sua
presenza reclamano una risposta urgente agli interrogativi. Perché? Perché no?
Si stanno mettendo a tacere queste domande non sillabate ma egualmente poste?
Accetterà ella di ripetere delle risposte menzognere? Forse gli astî suscitati
si placheranno, ma Brigitte non significherà più niente per nessuno. Spero che
per divenire popolare non accetti di diventare insignificante. Le auguro di
morire ma di non cambiare.
Traduzione italiana di Piero Del Giudice,
Milano, Lerici, 1960 (Oggi nel mondo, 4), pp. 7-41.
FONTE: http://www.kainos.it/numero8/disvelamenti/debeauvoir.html
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