Ho appreso da poco la triste notizia: Giovanni Lo Dico, l’autore del libro straordinario che abbiamo presentato a Marineo lo scorso mese, è morto.
Se ne è andato a 85 anni, stroncato da un male incurabile. Fino all’ultimo Giovanni ha tenuto alta la testa, da autentico combattente. Un comunista vero che non ha mai rinnegato gli ideali della sua gioventù.
Stasera vogliamo ricordarlo riproponendo alcune pagine della sua autobiografia :
LA MARCHESA (anni ‘70)
Iniziammo l’occupazione delle terre nei vari comuni. In
tutti i feudi si vedevano centinaia di muli con gli aratri, tutti in
fila, che lavoravano le terre e quanti scontri diretti ci furono
tra i contadini, i proprietari e i mafiosi: scene indimenticabili!
Era una situazione drammatica, ma dovevamo affrontarla per
liberarci dalla schiavitù. Quelle condizioni di vita avevano costretto
molti siciliani ad emigrare, a scappare dalle campagne
e dalla miseria. Nel 1971 la federazione di Palermo
mi diede l’incarico di aprire a Misilmeri una sezione di un sindacato
che difendeva i mezzadri, affittuari e piccoli coltivatori
diretti, cioè l’Alleanza Contadini, oggi Confcoltivatori, la sede
fu in via Roma, io ne fui il presidente. Quante lotte ho fatto
insieme ai contadini! In Parlamento nel 1971 venne approvata
una legge che abolì la mezzadria, rimaneva solo l’affitto. Il canone
di affitto fu regolato da una legge, chiamata “legge sui
fondi rustici. Non mi affidai alla volontà di Dio
per fare applicare quella legge, sapevo con chi avevo a che
fare, con persone che per secoli e secoli avevano dominato
il mondo. Me la studiai bene e un bel giorno di domenica, finita
la mia mezza giornata di lavoro, anziché di andarmene a
casa dalla mia famiglia, partii per il feudo di Bongiordano,
detto L’acqua o Chiuppu. Era il tempo della mietitura, il mese
di luglio, c’era un caldo afoso, mi girai tutto il feudo, invitai
tutti i contadini a partecipare ad una assemblea che dovevo
fare sotto l’albero di pioppo, sotto il quale c’era una sorgente.
In quella assemblea spiegai, con la legge in mano, che non dovevano
pagare più il canone di affitto stabilito dalla marchesa, ma
quello stabilito dalla legge che era 28 volte il reddito dominicale.
Non fu facile convincerli perché poverini venivano da
una secolare sottomissione, non era facile rompere quella
gabbia di acciaio. In quell’assemblea usai una dialettica persuasiva,
incoraggiante, entusiasmante, ma la paura era tanta
e tale che si rifiutarono di chiederne alla marchesa l’applicazione.
Ne convinsi solo due, due compagni comunisti, cioè
Giuseppe Rizzolo e Salvatore Bonanno. Il giorno della trebbiatura
eravamo tutti là presenti, quando i due contadini che
ero riuscito a convincere chiesero alla signora marchesa l’applicazione
della legge per quanto riguardava il canone di affitto,
la nobile ingoiò il rospo e non parlò: conosceva bene
quella normativa! I due contadini coraggiosi non solo si portarono
a casa tutto il grano, ma essendo la legge in vigore da
due anni, chiedendone l’applicazione e quindi rifacendo il
conteggio anche per il canone dell’anno precedente, la marchesa
rimase debitrice nei loro confronti. I contadini di tutto
il feudo, sia di Misilmeri che di Marineo, che avevano avuto
paura ad affrontarla portarono a casa, come sempre, poco
grano, ma guardarono straniti tutto quello che era successo.
L’anno successivo, durante la mietitura tornai nel feudo a
rifare un’altra assemblea, questa volta non sotto l’albero di
pioppo, ma alle case che ci sono nel feudo Bongiordano,
nella strada che porta a Risalaimi. Parlai di nuovo della legge,
ma questa volta fui compreso facilmente, dopo l’esperienza
dell’anno precedente. Mentre stavo per finire l’assemblea,
ero riuscito a convincere tutti, ecco arrivare una macchina
lussuosa con due persone a bordo: la signora marchesa e il
suo autista. Si fermò proprio davanti ai nostri piedi, scese dalla
macchina e chiuse lo sportello con rabbia. Si avvicinò verso
di me spruzzando vapore come un toro infuriato e mi disse:
“Lei mi scandalizza i miei contadini fedeli!”. Io le risposi: “Fedeli
ci sono i cani! Questi sono uomini e devono difendere la
loro dignità!”.
IL MARESCIALLO (anni 70)
A quel punto, vista la fermezza dei contadini,
tentò altre vie, la via delle amicizie. L’indomani il maresciallo
dei carabinieri mandò una pattuglia nel feudo Bongiordano a
intimidire i contadini, dicendo che richiedendo l’applicazione
di quella legge sarebbero andati incontro a dei rischi e quindi
consigliavano loro di continuare con il vecchio sistema. I contadini
la sera vennero all’Alleanza Contadini e mi raccontarono
tutto, erano impauriti. Feci capire loro che era solo un
atto intimidatorio, avevano cercato di spaventarli, non potendo
fare nient’altro. Con i miei discorsi rassicuranti, superarono
quella paura e se ne andarono a casa. L’indomani
sera, tornando dal lavoro, mia moglie mi disse che erano venuti
a cercarmi due carabinieri, c’era il maresciallo che mi
voleva parlare. La cosa mi piacque perché era proprio quello
che volevo, parlare con il maresciallo. Andai subito in caserma,
mi presentai e il piantone mi portò in una stanza dove
c’era il maresciallo. La prima domanda che mi fece: “Signor
Lo Dico, lei in questi giorni è andato a fare qualche riunione
in qualche azienda agricola…”. Lo guardai in faccia e dissi fra
di me: “Ma guarda che maresciallo simpatico! Lui sicuramente
si aspetta che gli dico: “Ma, maresciallo io non sono
andato da nessuna parte…” . Il maresciallo voleva completare
la sua strategia intimidatoria, prima con i contadini in campagna,
poi con me che ero il loro rappresentante. Invece io a
quella domanda risposi con fermezza: “Maresciallo, ma di
quale azienda mi sta parlando lei, perché io di assemblee ne
faccio tante nelle varie aziende!”. “E in quale veste ci va a
fare queste assemblee?” — mi disse. “In qualità di presidente
dell’Alleanza Contadini” — gli risposi. “Ma lei lo sa che prima
di entrare nella proprietà che non è sua, bisogna chiedere il
permesso?” — continuò il maresciallo. Ed io: “Maresciallo,
posso andare in qualsiasi proprietà tutte le volte che i contadini
affittuari me lo chiedono, semmai se c’è una persona che
deve chiedere permesso per entrare in quelle aziende quella
è proprio la signora marchesa perché i contadini le pagano
l’affitto. Se lei paga l’affitto della sua casa, non è che il proprietario
arriva ed entra senza chiedere permesso. Questo
vale anche per la signora marchesa”. Mi disse: “Non mi stia
a fare il comizio!”. Gli risposi: “E’ lei che mi ha chiamato per
farle il comizio!”. Non potendo far niente in questa direzione
tentò un’altra via e mi disse: “Lei signor Lo Dico ha una pena
in sospeso…”. Subito capii di che cosa si trattava. Fino al
1961 le medicine gratuite spettavano solo al capofamiglia. Ci
furono scioperi in tutta Italia che durarono quindici giorni affinché
l’assistenza farmaceutica fosse estesa anche alla moglie
e ai figli. Durante uno dei tanti scioperi fummo denunziati
sette lavorator. Nel processo di appello, nel 1963, fummo
condannati a tre mesi con la condizionale, prescrivibili in anni
cinque. Il termine della pena era scaduto nel 1968. Quindi
dissi al maresciallo che cercava di spaventarmi: “Maresciallo,
i termini di quella pena sono scaduti!”. E il maresciallo: “E
allora non le posso fare niente!”. Ed io gli risposi: “Ma le cose
non durano in eterno! Maresciallo, mi aspettavo questo tipo
di comportamento da un altro tipo di persone, non da chi dovrebbe
essere un esecutore materiale della legge!”. Lui mi
disse: “Prima dovrebbero incominciare da Roma!”. Io gli riposi:
“Per intanto io inizio da Misilmeri!”.
Ecco un esempio di quelle battaglie combattute da uomini che avevano i piedi ben saldi nella terra e la testa nel cielo degli ideali eterni della giustizia sociale; sono queste le lotte a cui ci riferiamo quando pensiamo ai nostri diritti conquistati con i sacrifici e con il sangue dei nostri padri. Uno come Lo Dico era uno di essi, un esempio, un padre.
RispondiEliminaGrazie, Fab carissimo, per questo tuo commento
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