Ecco perché le caste hanno paura del popolo e parlano a vanvera di "populismo":
BARBARA
SPINELLI - LA PAURA DEL POPOLO
Del popolo che partecipa alla vita
politica , che licenzia i governi inadempienti e ne sceglie di nuovi, che fa
sentire la propria voce. È la paura che le classi alte, colte, ebbero già nella
Grecia classica. Aristotele paventava la degenerazione democratica, se sovrano
fosse diventato il popolo e non la legge. Ancora più perentorio un libello
anonimo (La Costituzione degli Ateniesi, attribuito a Senofonte) uscito
nel V secolo aC: «In ogni parte del mondo gli elementi migliori sono avversari
della democrazia (...). Nel popolo troviamo grandissima ignoranza e
smoderatezza e malvagità. È la povertà soprattutto, che lo spinge ad azioni
vergognose ». Il dèmos respinge le persone per bene: «vuole essere libero e
comandare, e del malgoverno gliene importa ben poco ». Sotto il suo dominio
tutte le procedure si rallentano, ed è il caos che oggi chiamiamo
ingovernabilità.
L’orrore del
populismo o dei democratici demagoghi ha queste radici, che Marco D’Eramo
illustra con maestria in un saggio uscito il 16 maggio su Micromega. Ma
è dopo la Rivoluzione francese, e in special modo quando comincia a estendersi
gradualmente il diritto di voto, nella seconda parte dell’800, che fa
apparizione un’offensiva ampia, e concitata, contro il suffragio universale.
Inorridiscono i democratici stessi.
Nei primi
anni del ’900, il giurista Gaetano Mosca vede già le plebi e le mafie del Sud
distruggere istituzioni e buon governo. È diffusa l’idea che i migliori, e le
migliori politiche, saranno travolti e annientati dal popolo elettore. Si
formano chiuse oligarchie, con la scusa di tutelare il popolo dai suoi demoni.
È una paura che va a ondate, e non sempre l’oggetto che spaventa è
esplicitamente indicato.
Quella che
oggi torna a dilagare pretende addirittura di salvare la democrazia,
imbrigliandola e tagliando le ali estremiste (gli «opposti estremismi», spiega
d’Eramo, diventano sinonimi di populismo). Ma gli elementi dell’annosa
offensiva contro il suffragio universale sono tutti presenti, sotto traccia. Il
popolo smoderato e incolto va vigilato, spiato: o perché chiede troppo, o
perché rischia di avere troppi grilli per la testa. Sono aggirate anche le
Costituzioni, fatte per proteggere i cittadini dai soprusi delle cerchie
dominanti. Ovunque le democrazie sono alle prese con i danni collaterali di
questa ferrea legge oligarchica.
Accade proprio in questi giorni in America, dove prosegue una guerra antiterrorista sempre più opaca, condotta senza che il popolo (e neppure gli alleati per la verità) possa dire la sua. Il culmine l’ha raggiunto Obama, che pure aveva criticato la torbida sconfinatezza delle guerre di Bush. Il 6 giugno, viene svelata un’immensa operazione di sorveglianza dei cittadini americani da parte dell’Agenzia di sicurezza nazionale: milioni di numeri telefonici e indirizzi mail, raccolti non in zone belliche ma in patria col consenso segreto di vari provider. Indignato, il New York Times commenta: «Il Presidente ha perso ogni credibilità» (poi per prudenza rettifica: «Ha perso ogni credibilità su tale questione »). Analogo orrore dei popoli è ravvivato dalla crisi economica, governata com’è da trojke e tecnici separati dai cittadini: anch’essa, come la guerra, va affidata a pochi che sanno (poche persone per bene, pochi migliori, direbbe lo Pseudo-Senofonte). Gli ottimati sapienti stanno come su una zattera, e non a caso il loro nome è «traghettatori ». Sotto la scialuppa ribolle il popolo: forza infernale, miasma imprevedibile e contaminante. Infiltrato da meticci, demagoghi, gente colpevole due volte: sia quand’è sprecona, sia quando non consuma abbastanza. Sono invisi anche gli sradicati, o meglio chi pensa all’interesse generale oltre che locale: se vuoi lusingare un partito, oggi, digli che non è un meteco ma «ha un forte radicamento territoriale». Nei cervelli dei traghettatori s’aggira il fantasma, temuto come la peste dagli anni ’70, dell’esplosione sociale e dell’ingovernabilità.
È in questa cornice che le parole si storcono, sino a dire il contrario di quel che professano. La riforma significava miglioramento delle condizioni dei cittadini, del loro potere di influire sulla politica. Furono grandi riforme il suffragio universale, e subito dopo l’introduzione del Welfare: ambedue malandate. Adesso il riformista escogita strategie per tenere al guinzaglio gli eccessi esigenti dei governati. Il proliferare in Italia di comitati di saggi (per cambiare la Costituzione, per il Presidenzialismo) è sintomo di un crescente scollamento di chi comanda dal popolo, e al tempo stesso dai suoi rappresentanti.
Accade proprio in questi giorni in America, dove prosegue una guerra antiterrorista sempre più opaca, condotta senza che il popolo (e neppure gli alleati per la verità) possa dire la sua. Il culmine l’ha raggiunto Obama, che pure aveva criticato la torbida sconfinatezza delle guerre di Bush. Il 6 giugno, viene svelata un’immensa operazione di sorveglianza dei cittadini americani da parte dell’Agenzia di sicurezza nazionale: milioni di numeri telefonici e indirizzi mail, raccolti non in zone belliche ma in patria col consenso segreto di vari provider. Indignato, il New York Times commenta: «Il Presidente ha perso ogni credibilità» (poi per prudenza rettifica: «Ha perso ogni credibilità su tale questione »). Analogo orrore dei popoli è ravvivato dalla crisi economica, governata com’è da trojke e tecnici separati dai cittadini: anch’essa, come la guerra, va affidata a pochi che sanno (poche persone per bene, pochi migliori, direbbe lo Pseudo-Senofonte). Gli ottimati sapienti stanno come su una zattera, e non a caso il loro nome è «traghettatori ». Sotto la scialuppa ribolle il popolo: forza infernale, miasma imprevedibile e contaminante. Infiltrato da meticci, demagoghi, gente colpevole due volte: sia quand’è sprecona, sia quando non consuma abbastanza. Sono invisi anche gli sradicati, o meglio chi pensa all’interesse generale oltre che locale: se vuoi lusingare un partito, oggi, digli che non è un meteco ma «ha un forte radicamento territoriale». Nei cervelli dei traghettatori s’aggira il fantasma, temuto come la peste dagli anni ’70, dell’esplosione sociale e dell’ingovernabilità.
È in questa cornice che le parole si storcono, sino a dire il contrario di quel che professano. La riforma significava miglioramento delle condizioni dei cittadini, del loro potere di influire sulla politica. Furono grandi riforme il suffragio universale, e subito dopo l’introduzione del Welfare: ambedue malandate. Adesso il riformista escogita strategie per tenere al guinzaglio gli eccessi esigenti dei governati. Il proliferare in Italia di comitati di saggi (per cambiare la Costituzione, per il Presidenzialismo) è sintomo di un crescente scollamento di chi comanda dal popolo, e al tempo stesso dai suoi rappresentanti.
Ci si
adombra, quando il Parlamento è definito una tomba. Per fortuna non lo è. Ma un
Parlamento fatto di nominati più che di veri eletti somiglia parecchio a un
sepolcro imbiancato: e così resterà, finché non avremo diritto a una legge
elettorale decente. Tale è la paura del popolo-elettore, che per forza
quest’ultimo si ritrae e fugge. Si esprime in vari modi (nei referendum, sul
web, attraverso la stampa indipendente) ma ogni volta sbatte la testa contro un
muro. Lo Stato ne diffida, al punto di spiare milioni di cittadini come in America.
E i nemici peggiori diventano i reporter e le loro fonti, che gettano luce
sulle malefatte dei governi. Nel 2010 fu il caso di Wikileaks. Oggi è il turno
del Guardiane del Washington Post, che hanno scoperchiato il piano di
sorveglianzaspionaggio (nome in codice: Prism) del popolo americano. Non
restano che loro, fra lo Stato-Panoptikon che ti tiene d’occhio e i cittadini
mal informati. In inglese le gole profonde che narrano i misfatti si chiamano
whistleblower: soffiano il fischietto, in presenza di violazioni gravi della
legalità, e antepongono il dovere civico alla fedeltà aziendale. Ben più
spregiativamente, politici e giornali benpensanti li definiscono spie, se non
traditori. «Non chiamateli talpe!», chiede molto opportunamente Stefania Maurizi
su Repubblica online di lunedì. Il soldato Bradley Manning, che
smascherò tramite Wikileaks i crimini Usa nella guerra in Iraq, è da 3 anni in
prigione. Ora è processato, rischia l’ergastolo.
Il whistleblowerche ha rivelato il piano di sorveglianza voluto da Obama è Edward Snowden, 29 anni, ex assistente della Cia e della Nsa: è rifugiato a Hong Kong, e da lì fa sapere: «L’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) ha costruito un’infrastruttura che intercetta praticamente tutto. Con la sua capacità, la vasta maggioranza delle comunicazioni umane è digerita automaticamente, senza definire bersagli chiari. Se volessi vedere le tue email o il telefono di tua moglie, devo solo usare le intercettazioni. Posso ottenere le tue email, password, tabulati telefonici, carte di credito. Non voglio vivere in una società che fa questo genere di cose. Non voglio vivere in un mondo in cui ogni cosa che faccio e dico è registrata. Non è una cosa che intendo appoggiare o tollerare». Il popolo reagisce ai soprusi e all’indifferenza del potere in vari modi: impegnandosi in associazioni (ricordiamo i referendum italiani sul finanziamento dei partiti e sull’acqua, o il voto contro il Porcellum); oppure ritirandosi quando si accorge di non contare nulla. Altre volte smette di credere e diserta le urne, come alle amministrative di questi giorni. Ma sempre potrà sperare di avere, come alleati, i whistleblower che toglieranno il sigillo alle illegalità, alle cose nascoste o sporche della politica.
Il whistleblowerche ha rivelato il piano di sorveglianza voluto da Obama è Edward Snowden, 29 anni, ex assistente della Cia e della Nsa: è rifugiato a Hong Kong, e da lì fa sapere: «L’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) ha costruito un’infrastruttura che intercetta praticamente tutto. Con la sua capacità, la vasta maggioranza delle comunicazioni umane è digerita automaticamente, senza definire bersagli chiari. Se volessi vedere le tue email o il telefono di tua moglie, devo solo usare le intercettazioni. Posso ottenere le tue email, password, tabulati telefonici, carte di credito. Non voglio vivere in una società che fa questo genere di cose. Non voglio vivere in un mondo in cui ogni cosa che faccio e dico è registrata. Non è una cosa che intendo appoggiare o tollerare». Il popolo reagisce ai soprusi e all’indifferenza del potere in vari modi: impegnandosi in associazioni (ricordiamo i referendum italiani sul finanziamento dei partiti e sull’acqua, o il voto contro il Porcellum); oppure ritirandosi quando si accorge di non contare nulla. Altre volte smette di credere e diserta le urne, come alle amministrative di questi giorni. Ma sempre potrà sperare di avere, come alleati, i whistleblower che toglieranno il sigillo alle illegalità, alle cose nascoste o sporche della politica.
Ecco cosa
produce lo sgomento causato dal dèmos. Il popolo stesso s’impaura, entra in
secessione. La paura del suffragio universale non è mai finita, sempre
ricomincia. Nacque nell’800, ma come nella ballata di Coleridge: «Dopo di
allora, ad ora incerta – Quell’agonia ritorna».
La Repubblica, 12 giugno 2013
Ricordo per i nuovi lettori ed amici di questo blog che siamo già intervenuti su questo tema con diversi articoli. Per tutti ne indichiamo uno http://cesim-marineo.blogspot.it/2012/09/lo-spettro-del-populismo.
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