26 giugno 2013

LA FINE DEL CAVALIERE



Anche se in tanti ancora pensano che il cavaliere non sia affatto finito - circolano in queste ore tante battute sull'uomo di sana e robusta pro-stituzione ! - noi consideriamo davvero finita l'epoca dell' uomo dei miracoli e del venditore di fumo. 

Una fine miserabile adatta ad un Paese  (ridotto a un cumulo di rovine) che dopo vent'anni di malgoverno ancora vede milioni di persone identificarsi in questa sceneggiata volgare e nel suo protagonista.

E' questa la vera anomalia italiana.  Vedremo ora, di fronte ai rigurgiti eversivi dei sostenitori del boss, quanto valgono davvero i rappresentanti delle Istituzioni, a partire da Napolitano e da Letta. 

Non nutriamo molte illusioni in merito. Prepariamoci a giorni tristi.


Di seguito riproponiamo l'editoriale pubblicato ieri da LA STAMPA:


Marcello Sorgi - Il sipario sull’era del Cavaliere

La sentenza con cui il tribunale di Milano ha condannato Berlusconi a sette anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici segna insieme la fine dell’avventura politica del Cavaliere, e più in generale quella della Seconda Repubblica, di cui per altro l’ex-Presidente del consiglio è stato l’uomo simbolo, come Andreotti lo era della Prima. In passato, anche in tempi recenti (si pensi alle elezioni politiche del 24 febbraio), Berlusconi ci ha abituato ad improvvise cadute e a subitanee resurrezioni. Ma stavolta è peggio di tutte le altre, come lui stesso sa o incomincia a capire, anche se ieri ha preferito negarlo nella prima reazione ufficiale.

Vent’anni fa, quando Craxi fu colpito dal primo avviso di garanzia, non tutti scommettevano sul suo declino.Lo capirono dopo qualche mese, quando il leader socialista era ormai sommerso da una sequela di comunicazioni giudiziarie, e prima degli ordini di cattura scelse la strada dell’esilio. Lo stesso accadde quando Andreotti fu accusato di rapporti con la mafia e c’era chi sorrideva sulla scena inverosimile del bacio con Totò Riina. Al di là dei caratteri, e delle scelte opposte dei due illustri predecessori, sul modo di gestire i propri guai giudiziari, è fin troppo evidente che la magistratura ha riservato a Berlusconi lo stesso destino. La lezione di vent’anni fa ci dice che è inutile far finta di no, o evitare di prendere atto: tanto è così.

Si potrà discutere - anzi si dovrà - sul comportamento dei giudici di Milano che hanno fatto calare la ghigliottina sul collo del Cavaliere. La condanna a una pena superiore a quella chiesta dalla pubblica accusa, la scelta di riconoscere la fattispecie più grave del reato di concussione appena riformato dall’ex ministro Severino (con l’introduzione, va ricordato, anche di una contestata versione più lieve che aveva consentito di recente all’exPresidente della Provincia di Milano, il Pd Penati, di salvarsi), la pena aggiuntiva dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, cioè dalla vita pubblica e parlamentare, oltre alla decisione sorprendente di chiedere alla Procura di incriminare per falsa testimonianza i testi della difesa, sono tutti segnali inequivocabili.

Presto, molto presto, come hanno dimostrato i giudici di appello che in soli tre mesi hanno confermato l’altra condanna a quattro anni per i fondi neri Fininvest, anche questo verdetto subirà la stessa sorte. A Berlusconi a quel punto resterà solo la carta della fuga, come qualcuno già ieri sera si spingeva a prevedere, o quella, estrema ancorché più regolare, della Cassazione: ma sarebbe ingenuo illudersi che sentenze così pesanti, ribadite in secondo grado, non influenzino i membri della Suprema Corte, caricando l’imputato di pesanti precedenti che non potranno non condizionare il giudizio definitivo che lo aspetta.

La fine, meglio sarebbe dire l’abbattimento per via giudiziaria, della Seconda Repubblica (già in corso da tempo, va detto, non solo a causa di Berlusconi, ma anche all’ondata generalizzata di corruzione che ha investito le amministrazioni locali) apre un vuoto anche peggiore di quello lasciato dal crollo della Prima. Allora, infatti, l’onda d’urto di Tangentopoli era stata affiancata, per non dire sovrastata, dalla reazione di indignazione, accompagnata anche dal desiderio di rinnovamento, espressi dai referendum elettorali del 1991 e ’93. E dall’introduzione del maggioritario e dei collegi uninominali, che offrivano ai cittadini, non va dimenticato, l’occasione - svanita purtroppo assai presto di poter scegliere direttamente i governi e rinnovare radicalmente i rappresentanti da mandare in Parlamento.

La transizione cominciata in quegli anni doveva purtroppo arenarsi in breve tempo, approdando alla confusione e allo scontro continuo in cui l’Italia si trascina da quasi un ventennio. Così, giorno dopo giorno, siamo arrivati a oggi. Un sistema politico ormai indebolito e incapace di autoriformarsi non ha potuto che soccombere a una magistratura forte; anzi resa più forte, in pratica l’unico potere sopravvissuto alla crisi delle istituzioni, dalla mancanza di riforme.

La caduta di Berlusconi, per quel pezzo del Paese - una metà ridottasi via via a un terzo - che lo aveva seguito come un idolo, affidandogli tutti i propri sogni e i propri timori, cancella di colpo ogni illusione. Il centrosinistra non è più in grado, al momento, di rappresentare l’alternativa, con o senza l’ausilio della dissidenza grillina e di qualche maggioranza raccogliticcia. Il governo delle larghe intese, che doveva favorire la pacificazione, dopo l’inutile e infinita epoca della guerra civile, sopravviverà, in una sorta di sospensione, magari ancora per un po’. Ma senza alcuna agibilità politica e senza la forza necessaria per affrontare la gravità del momento. Saranno in tanti, malgrado tutto, ad aggrapparcisi. Come a una zattera in mezzo alla tempesta.

(Da: La Stampa del 25 giugno 2013)

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