01 giugno 2013

SINDACI IN PROCESSIONE...




Oggi il mio pezzo polemico “Festa, farina e furca” è stato letto da tanti. Pochi, però, hanno avuto il coraggio di replicare.
 Tra i pochi, a parte l’amico Ezio Spataro, va segnalato il teologo Rosario Giuè, autore di un recente saggio su Ernesto Balducci che tanti riconoscimenti ha ricevuto dalla critica e dal pubblico.
Rosario mi ha gentilmente inviato un suo articolo, pubblicato nell’edizione palermitana di Repubblica il 20 agosto 2008. Lo ripropongo di seguito notando che, da quel lontano agosto ad oggi, nulla è cambiato. Anzi la situazione sembra peggiorata!

Rosario Giuè - Sindaci in processione Chiesa più debole 

Tempo d' estate, tempo di feste patronali. Tempo di sindaci e di amministrazioni comunali in prima fila alle processioni del santo patrono. San Giusto, Vito, Ciro, Calogero, Antonino: tutti i santi e sante del cielo vedono al loro seguito il sindaco con la fascia tricolore. A Palermo, che è capitale di regione, ai vespri in onore di Santa Rosalia non solo c' era il sindaco, ma anche il presidente del Senato, della Regione, della Provincia. Erano sistemati nel coro (per motivi di sicurezza?) un tempo riservato ai canonici, con tanti agenti in divisa o in borghese che quasi superavano il numero dei fedeli. Nei paesi della provincia spesso la processione è l' occasione perché il sindaco e la nuova amministrazione si presentino per la prima volta sfilando davanti alla cittadinanza. Ma perché un sindaco va "in fasce" alla processione? Secondo l' antropologo Antonino Buttitta ("Dei segni e dei miti") le processioni, «pur apparentemente prefiggendosi lo scopo di testimoniare la devozione di tutti i ceti e le classi di età, di fatto ne confermano e ne giustificano la stratificazione (~). Le varie categorie professionali tendono nelle processioni a esibire, attraverso l' ostentazione dell' impegno devozionale, la loro forza». Domanda: ma le processioni, se servono a questo, dal punto di vista ecclesiale hanno ancora un senso? Secondo altri un sindaco "deve" andare in prima fila alla processione patronale per rappresentare la comunità. Per rappresentarla? Prima molte persone forse andavano in chiesa per guardare la ragazza, per fare vedere il vestito nuovo. Ma ormai non è più così. Chi va in chiesa ci va in genere perché ci crede.
i va per una scelta di coscienza, spesso maturando una decisione controcorrente, specialmente tra i giovani. E poi, in una società moderna, democratica e pluralista, che c' entra la rappresentanza religiosa? Forse le istituzioni civili, quando sono elette, ricevono anche questo mandato? Comunque, se un primo cittadino vuole andare alla processione in quanto credente, potrebbe andarci mischiandosi con il popolo di Dio, senza altri simboli, standosene in fondo come il "pubblicano" del Vangelo. Ma ciò non accade. Egli, se davvero si vuole rappresentare la propria comunità, lo può fare servendola con le opere, rendendola più vivibile. Si può rappresentare la comunità leggendone i bisogni e organizzandone le soluzioni possibili, specialmente con un occhio particolare per le periferie umane e territoriali. Si rappresenta la comunità suscitandone i sentimenti e le ragioni migliori, senza assecondarne gli istinti di chiusura, il rancore o la ricerca di privilegi. Questo è rappresentare. E la Chiesa? Dovrebbe sottrarsi dall' abbraccio "devoto" delle autorità civili. Dovrebbe svincolarsi da questo ingenuo "camminare insieme", da questo concordato municipale: un "vogliamoci bene" che rischia di presentare la Chiesa una funzione, come potere tra poteri e di essere usata per la visibilità altrui. è questa la rappresentazione che la Chiesa cattolica vuole dare di sé? Questo accompagnarsi e sostenersi della Chiesa con il potere civile, non soltanto a livello locale, forse le può dare uno splendore immediato. Ma è uno splendore fulmineo, come le stelle cadenti di agosto. Perché questo "camminare insieme" con il potere politico prima o poi si paga. Con la sola conseguenza della modifica genetica della propria ragione d' esistere: quella di una testimonianza di fede e di libertà che pure si dice si vorrebbe esercitare. Non ci si dimentichi che la fede aumenta «nel momento stesso in cui si fa forte solo di sé» (Ernesto Balducci, "Il mandorlo e il fuoco"). Se la Chiesa, invece, si fa forte appoggiandosi ad altri, è la fine. Il declino religioso contemporaneo non è frutto dei tempi cattivi, spesso è frutto della propria incapacità di riformarsi.

ROSARIO GIUE’  20 agosto 2008  LA REPUBBLICA sez. PALERMO

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