Courbet, L'origine del mondo
Qualche
giorno fa Maurizio Ferraris trattando su Repubblica dei rapporti fra Chiesa e
arte confondeva sacro e religione. Questo intervento (provocatorio quanto
basta) fa un po' di chiarezza in materia.
Mario Perniola - Perché l’arte deve rimanere
senza dio
Da qualche tempo la Chiesa cattolica mostra un nuovo e lodevole interesse nei confronti dell’arte contemporanea, nella speranza di ripristinare quel rapporto di collaborazione con gli artisti che portò nel Medioevo e nel Barocco ad esiti eccelsi. Una preoccupazione sottolineata su questo giornale con l’articolo Dio senza arte (20 gennaio) in cui Maurizio Ferraris poneva la questione in questi termini: se scompare l’arte sacra, che fine fa il canone occidentale basato in gran parte su di essa? Che l’argomento sia attuale è dimostrato anche da interventi apparsi subito dopo su Avvenire in cui si ribadiva l’intenzione della Chiesa di aprirsi all’arte contemporanea. Tuttavia questa buona intenzione trova ostacoli, genera fraintendimenti e crea equivoci. Da un lato si ha l’impressione che l’atteggiamento degli artisti nei confronti della Chiesa sia meramente opportunistico e dettato soltanto dalla supposizione di trovare un committente meno rapace del mercato e più affidabile delle amministrazioni pubbliche; dall’altro ci si chiede se non sia più vantaggioso dal punto di vista della visibilità mediatica e dell’attendibilità nel campo artistico internazionale stare dalla parte della trasgressione, della blasfemia e dell’irriverenza che non dalla parte della fede, del rispetto e della deferenza nei confronti della religione.
La ragione
fondamentale di questo malinteso sta nel fatto che lo statuto dell’arte dal
Romanticismo in poi è radicalmente cambiato rispetto al passato. L’artista non
è più l’artigiano del Medioevo, né il portatore di un sapere professionale, ma
l’adepto di una nuova religione, che ha i suoi canoni, la sua gerarchia, le sue
reliquie, i suoi martiri, i suoi santi, le sue istituzioni e così via. Perciò
sembra opportuno che la Chiesa prenda atto che il mondo dell’arte è una
religione per definizione autonoma con la quale si deve misurare alla pari. Ciò
mi sembra impossibile senza l’esistenza di autorevoli mediatori laici, che
appartengano a pieno titolo a un mondo che sta agli antipodi della mentalità
clericale. In fondo l’idea che l’arte stia dalla parte del male si basa ancora
sul presupposto che esista una differenza tra il bene e il male.
L’atteggiamento ostile all’arte visuale non è quindi nichilistico: già Platone sosteneva che l’arte era lontana di due gradi dal vero e in molte culture (come quella ebraica e quella islamica) esiste una profonda diffidenza nei confronti delle immagini. Al polo opposto il cristianesimo ortodosso considera l’icona non come una semplice rappresentazione della divinità, ma come il punto di unione tra il mondo visibile e quello invisibile.
Bisogna aggiungere che la religione dell’arte è diventata nel corso del Novecento qualcosa di molto strano, perché il dubbio e addirittura l’irrisione nei confronti di se stessa è ormai parte essenziale della sua essenza. Oggi un’opera d’arte che non contenga elementi di auto-critica e di auto-contestazione appartiene al kitsch, al dilettantismo o alla comunicazione mass-mediatica. In altre parole, l’arte è tale solo se è nello stesso tempo anche meta-arte e anti-arte. L’enigma, la simulazione, il plagio, l’equivoco, il paradosso, la contraddizione, l’antinomia, il dilemma, la mise en abîme sono pratiche correnti del fare artistico contemporaneo. Perfino la smaterializzazione e addirittura l’autodistruzione dell’artefatto sono state considerate come operazioni artistiche.
Non è nemmeno necessario produrre opere: si può essere artisti a pieno titolo solo producendo idee e progetti irrealizzabili, praticando stili di vita alternativi e rivoluzionari, compiendo atti iconoclastici, vandalici e perfino terroristici. A tutto ciò bisogna aggiungere che l’arte è sempre stata per eccellenza il luogo in cui ogni sorta di psicopatologie e di perversioni vengono legittimate e convalidate. Fintanto che tutte le devianze restano contenute nel vaso di Pandora dell’arte, la società e la Chiesa sono relativamente protette da queste. Non è prudente scoperchiarlo.
(Da: La
Repubblica 1 febbraio 2013)
"Faccio sempre la stessa robaccia" diceva Warhol delle sue opere e fa bene il nichilista Perniola a parlare di arte con la "a " minuscola e di vago "fare artistico" di certa contemporaneità.La deprimente realtà e che ci si è adattati a una imperversante bruttezza ed a scambiare le perversioni per creazioni artistiche mentre non sono che i fantasmi di verità che non si vogliono conoscere. Borges diceva:<< In ultima analisi, noi crediamo religiosamente e creiamo artisticamente per scoprire il senso supremo dell'essere e dell'esistere e non semplicemente per arredare la nostra anima >>.
RispondiEliminaun abbraccio
Carlo Greco