Szabina Ughy
Lenzuola al vento in uno dei quartieri popolari di Palermo
Mi piace
riproporrere un articolo sulla Sicilia della giovane scrittrice ungherese Szabina Ughy, autrice del volume di
poesie Külső protézis della Casa Editrice Orpheusz di Budapest,
pubblicato lo scorso mese dal blog http://casarrubea.wordpress.com
del mio amico Giuseppe.
Minchia! gridano
per le strade i sedicenti parcheggiatori. Spiegano alle studentesse della
Facoltà di Giurisprudenza come girare il volante, quanto manca per non toccare
il marciapiede o un’altra macchina e brontolano se la mancia non gli pare
abbastanza. Sono le otto del mattino. Mi chiedo: – che minchia ci faccio qui?
Il mio è un
quartiere di discreta reputazione. Finalmente ho un balcone, la corda per il
bucato stesa sopra la strada, così che il mio intimo praticamente dà del tu ai
professori che tengono le lezioni nell’Aula magna di fronte. Poi ho tre
coinquiline polacche, una connessione internet rubata e un bagno con cucina
americana dove se , oddio, devo preparare il caffè per quattro persone, le
tazze le posso posare solo sul davanzale della finestra. Non capisco per quale
motivo dovrei lasciar perdere a casa le due tesi di laurea da scrivere, il mio
libro in fase di stampa, lo status di studentessa, l’assicurazione sociale,
oppure il mutuo in agguato per la casa.
Durante una
passeggiata di domenica pomeriggio, mi è venuta in mente una frase del libro Fondamenta
degli incurabili. Questa nebbiolina di Venezia “carica di
rintocchi e composta in parte di ossigeno umido, in parte di caffè e di
preghiere” invade anche qui la città. ”L’uomo è una silhouette piuttosto
che un essere con le sue caratteristiche uniche, e una silhouette può essere
migliorata.” Sì, Catania, perché voglio avere qualche possibilità di
miglioramento. Quello che ho lasciato a casa non può continuare, quello che
faccio qua invece non ha radici. Non ne avrà mai. Ora però meglio essere una
straniera che una ventenne nella sua patria con la crisi dell’età adulta
addosso. O, per meglio dire, una principiante.
Preparo il caffè,
accendo la radio. Musica pop italiana. Superfluo entrare nei dettagli,
meriterebbe un post a parte. Le ragazze si stanno svegliando: tre allodole cinguettano
al di là della parete in cartongesso della mia stanza. Sono cortesi, sorridenti
e un po’ forzate come tutti quelli che non parlano la lingua dell’altro. Le
voglio bene soprattutto per il loro sano e sonnolente senso di colpa che quelli
dell’ est europeo hanno per qualsiasi cosa. “Le monetine cadono sempre dal
nostro portafoglio” scrive Krisztina Tóth. E’ questo che gli
italiani, gli spagnoli o i francesi secondo me non capiranno mai. Questo essere
inibiti che manca a chiunque non ha provato l’eventualità di giungere alla
fine, anche se solo attraverso l’inconscio collettivo. Gli italiani
evidentemente sono italiani. Camminano da italiani, fissano gli stranieri,
mangiano il gelato e guidano da italiani.
Relativamente al
sesso la Sicilia, senza dubbi, è femmina. Anche perché, secondo la leggenda,
c’era una volta una principessa di nome Sicilia che visse sulla costa orientale
del Mar Mediterraneo, forse in Libano. Sul suo futuro incombeva l’ombra di una
profezia, secondo la quale all’età di quindici anni avrebbe dovuto lasciare la
sua terra natia altrimenti sarebbe finita nelle fauci del Greco – Levante (il
simbolo forse dell’Impero Bizantino). Passò tre mesi in una barca in balia
delle onde, finché approdò su una spiaggia della Sicilia di oggi. L’isola era
completamente deserta perché gli abitanti erano morti tutti di peste. L’aveva
saputo da un bel giovanotto, l’unico superstite, che le aveva fatto vedere
l’isola verdeggiante di fichi e olive. Non piansero molto ma popolarono l’isola
che chiamarono Sicilia. Il nome deriva dalle parole sic ed elia
indicanti il fico e l’ulivo, anche se ora il paesaggio tipico siciliano è
caratterizzato dagli agrumeti: un quadro color verde con macchie gialle
spezzate qua e là da case abbandonate e fatiscenti, da cascine in rovina
che una scrittrice americana divorziata sarebbe lieta di prediligere.
La Sicilia non è la
Toscana. Il turismo è in forte espansione, ma la prima cosa che viene in mente
è la mafia. Anche se la Sicilia non è solo la terra della criminalità organizzata.
Anche quella. Tacitamente soprattutto quella. Macchine bruciate, negozi
sbarrati, fuochi d’artificio (forse un modo di comunicare) sono
ricorrenti. Ma i turisti che scattano foto per un paio di settimane non notano
niente di tutto questo. Dopo tutto, la mafia vive di loro, di turismo, di
estorsioni e, naturalmente, di droga. Ma sono gli immigrati quelli per cui uno
la notte non può camminare tranquillo per le strade. Non si può attraversare
una strada o sedersi in un bar senza che non ti mettano sotto il naso rose,
giocattoli appiccicosi, braccialetti intrecciati. Se gli dici qualcosa, è
un problema, se non gli dici niente, lo è altrettanto. L’ultima volta un
ragazzo angolano non smetteva di dirci razzisti finché ognuno di noi si è comprato
un braccialetto. In ogni caso, gli italiani sono tolleranti. Dichiarano
l’emergenza umanitaria, danno diecimila visti ai tunisini, non fanno caso alla
disapprovazione dell’Ue.
Esco di casa con un
coltello militare pieghevole nella mia borsa. E’ stato mio padre a regalarmelo
quando ha saputo che avevo vinto una borsa di studio in Sicilia. Finora l’ho
usato solo per sbucciare le arance, ma per la prima volta in vita mia, mi sento
in qualche modo rassicurata sapendo che ho con me uno strumento di autodifesa.
Catania è la
seconda città più grande della Sicilia dopo Palermo. Fu sette volte distrutta
dalle eruzioni dell’Etna, pertanto le strade e le case sono fatte di pietra
lavica e di basalto. Il suo nome deriverebbe dal termine katane che
significa scorticatoio, secondo altri terreno aspro, non levigato. I colori di
base di Catania sono il nero e il grigio. L’estate sarà un inferno. La città
potrebbe essere un gioiello barocco, in parte lo è, ma la sporcizia e
l’immondizia dominano dappertutto. Anche se tutto questo è davvero una
questione di dettaglio essendo ai piedi di un vulcano attivo.
Oltre i miei studi
ho un sacco di tempo libero, anzi ho solo quello, quindi ho un senso di colpa
continuo. Tutto sopportabile però stando seduta alla finestra con il caffè pomeridiano.
Nelle strade aumenta il traffico, i negozi stanno per chiudere e tutti si
stanno preparando per il pranzo. Dopo la siesta, verso le quattro, i negozi
riaprono con comodo, i vecchietti si siedono sotto i portici per giocare a
carte e le ragazze si preparano per la passeggiata serale nel corso. Nelle
rosticcerie, i piatti di pasta prendono il posto dei dolci di colazione . Ogni
cosa ha il suo tempo, non c’è fretta come in ogni paese dove il sole sorge due
volte.
traduzione di Regina
Kerékgyártó
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