21 febbraio 2013

CONTRO OGNI FORMA DI PREPOTENZA





Raccolgo con piacere la segnalazione di Grazia Messina di una interessante analisi della "retecrazia", realtà con la quale stiamo già facendo i conti e non sempre con bilanci positivi.
La democrazia deve essere ridefinita, almeno nelle modalità della sua piena ed effettiva attuazione, altrimenti si cade nel populismo gridato a folle eccitate ed esacerbate dall'indifferenza o leggerezza dei nostri governanti. Pensiamoci su davvero e seriamente:




Il tempo della retecrazia
BARBARA SPINELLI
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Ha detto Berlusconi che «a noi Grillo ci fa un baffo». È strano, perché la mobilitazione delle folle, l’appello a passioni selvagge come l’ira o la vendetta, le rivoluzioni che fanno tabula rasa del passato, il paese reale brandito contro il paese legale sono stati gli ingredienti della sua presa del potere nel ’94. Lo slogan che esalta il paese reale non è originale: lo coniò nel primo ’900 la destra di Charles Maurras, contro i mostri della democrazia, e il comunismo lo adottò per decenni. Meglio a questo punto se Berlusconi dicesse il vero: la sua operazione è riuscita, gran parte dell’Italia entra antropologicamente mutata in un’era effettivamente nuova – Grillo ha ragione – ma vi entra sprovvista di strumenti che le permettano di governarla, razionalizzarla.
Vi sono tuttavia differenze non trascurabili, fra l’irresistibile ascesa dei due leader. Il primo, quando entrò in politica, disponeva di ricchezze inaudite (accumulate con aiuti pubblici, va ricordato) che il Movimento 5 Stelle neanche si sogna. Soprattutto, possedeva un potere cruciale: tutte le Tv private, cui s’aggiungeva, da premier, il servizio pubblico Rai. Non solo: Grillo vede la crisi; Berlusconi s’ostina a negarla, garantendo che con lui al governo sarà spazzata via.
Siamo stati indotti a considerare il suo conflitto di interessi un impedimento. Fu invece il dispositivo che gli consentì di piegare i politici: in ogni accenno al suo dominio mediatico egli vedeva un’espropriazione. Non stupisce che il conflitto sopravviva tale e quale da anni. Stupisce che non sia stato visto come un problema gravissimo prima che il giocatore entrasse in politica con quell’asso. Che non si sia capito subito l’essenziale: un controllo così pervasivo della comunicazione, in un paese dove l’80 per cento dei cittadini s’informa alla Tv, storce le usanze democratiche, e infine chiama vendetta. Spegne il pluralismo, corrompe e uniforma le menti, trasforma i vocabolari di tutti: governanti, oppositori, classi dirigenti, cittadini comuni.
Da questo punto di vista Grillo innova e dice cose non incongrue, quando denuncia i politici, le istituzioni, i giornali. Tende a fare di ogni erba un fascio – è giusto dirlo – ma è vero che tante erbe si son fatte volontariamente fasciare per anni. Al tempo stesso è figlio di quel dispositivo, al cui centro c’è un’idea di democrazia diretta che usa l’informazione non per seminare conoscenze ma per forgiare un pensiero unico sull’Italia, l’Europa, il mondo. Il suo mezzo non è più la televisione: questa scatola più che mai tonta, come la chiamano gli spagnoli. Né la stampa cartacea, che ha una memoria meno immediata di quella digitale. È il mondo non più inscatolato ma aperto, informe, straordinariamente libero di Internet.
Un mondo già scoperto da Obama, quando diventò Presidente nel 2009. Grazie al web, egli ha ottenuto due volte un mandato popolare che lo emancipa, se vuole, da lobby e partiti. Capace di disseminazione virale, la rete scavalca la senile televisione. Ma essendo informe è anche in grado di farsi bellicosa: nel libro di Grillo e Casaleggio, la parola guerra è ricorrente, incalzante (Siamo in Guerra, Chiarelettere 2011). Guerra «feroce e sempre più rapida», finita la quale «il vecchio mondo sparirà» e con esso i partiti di ieri, in Italia e ovunque. Guerra totale, addirittura: un termine per nulla anodino, visto che nel 1935 lo usò in un opuscolo omonimo il generale tedesco Ludendorff. Nelle guerre totali non si concedono interviste a giornalisti che ti interrompono con dubbi e domande, anziché applausi. Quel che conta, per Ludendorff, è «abbattere il morale delle retroguardie» (le rappresentanze delle popolazioni non combattenti) più che l’avanguardia al fronte.
In questa lotta fra scatola tonta e web è il secondo, sicuramente, il Nuovo che ci aspetta. In un discorso tenuto nel febbraio 2012 per l’inaugurazione dell’anno accademico della Bocconi, il giurista Piergaetano Marchetti indica i motivi per cui il futuro è nel web, con le sue immense promesse e i suoi rischi. «La comunicazione e l’informazione di massa (attraverso la rete) è un potente canale e amplificatore di domande, di richieste di rendiconto, un assordante coro di «perché». Un fiato continuo sul collo di chi governa. Una pressione che genera risposte, trasparenza, informazione. E tutto ciò, a sua volta, in un circolo virtuoso, genera altre domande di accountability». L’accountability – la cultura del render conto – latita in Italia. È strano che se ne parli così poco in campagna elettorale, visto il prezzo che paghiamo per la sua assenza.
Ma se la «scossa partecipativa» è formidabilmente liberatoria, osserva Marchetti, non mancano i possibili effetti perversi. Ogni grande liberazione distrugge altri diritti, ogni proclamazione di supremi valori declassa valori non meno importanti. Nella visione di chi guida il Movimento 5 Stelle non c’è coscienza dei limiti, perché i capi interagiscono con la blogosfera rifiutando ogni corpo intermedio, in un tu-per-tu fatale, mai complicabile da persone terze. Non tutti i perché, non tutti i bisogni e i valori che sorgono in rete sono sacrosanti: vanno confrontati con altri princìpi, bisogni. Un’idea prova la sua forza se incoraggia forti idee opposte. Altrimenti si ossifica, e anche se modernissima muore.
In questo Berlusconi e Grillo si somigliano: non sanno contare fino a tre, e in fondo neppure fino a due perché il tu-per-tu col popolo è fusione nell’Uno. Ogni avversario è da abbattere: a cominciare da chi su Internet non naviga, e in un’Italia che invecchia il divario digitale è vasto. Parole come guerra e rivoluzione sono incendi. Ricordano la peste di Atene narrata da Tucidide, che «spezza i freni morali degli uomini» e «travolge gli argini della legalità fino allora vigente nella vita cittadina». La paura è la stoffa delle guerre e dei despoti, e Grillo lo sa quando dice, e spera: «Il mio movimento regola la paura» (The Economist 16-2).
Grillo farà eleggere molti parlamentari, ed è un bene perché il Parlamento è la sede dove gli interessi imbrigliano le passioni. Non gli interessi economici, ma l’interesse come lo si intendeva nel ’500: la passione razionale che controbilancia quelle irrazionali, e secerne l’interesse generale e la separazione dei poteri. Grillo e Casaleggio scrivono che sarà la rete a scrivere leggi e costituzioni. Ma la rete cos’è? Come delibera precisamente? Se la rete vuole la pena di morte la reintroduciamo? In Islanda (un modello, per Grillo) la Costituzione è stata ridiscussa in rete, ma riscritta da più piccoli comitati. In ogni mutazione c’è qualcosa da preservare, da non uccidere. Altrimenti entriamo nella logica del potere indiscutibile, legibus solutus, anelato da Berlusconi.
A questa mutazione, i partiti più o meno vecchi reagiscono spesso con lo smarrimento, se non l’afonia. Non gridano, è vero. Il centro-sinistra in particolare ripudia il modernismo della personalizzazione: ci sono anacronismi che durano ben più del Nuovo. Ma sul mondo che cambia è terribilmente indietro, senza vocabolari né inventività. Tanti cittadini sono delusi dal ceto politico. Reagiscono moltiplicando le richieste di rendiconto, con rotolanti cori di «perché». Chiedere «un po’più di lavoro», come fa Bersani, è un soffio quasi inudito.
Tutto sarà diverso dopo il voto, anche se Berlusconi dovesse vincere. Sarà arduo discernere, in Parlamento, le passioni selvagge dagli interessi cittadini. La democrazia toccherà reinventarla, l’antico dibattito ottocentesco sul suffragio universale andrà ripreso, perché la scatola tonta e il web l’hanno sfinita. Ambedue puntano all’ingovernabilità, perché di essa si nutrono passioni difficilmente regolabili. È uno dei rischi del Glorioso Mondo Nuovo promesso dal web.

fonte: La Repubblica del 20 febbraio 2012







 

6 commenti:

  1. Le parole su Grillo, pronunciate ieri a Palermo da Bersani, sono state tra le più convicenti ascoltate finora: “La protesta alla fine non risolve. […] Noi chiediamo che ci venga data la forza per governare stabilmente, e promettiamo il cambiamento. E con questo noi ci rivolgiamo anche alle piazze di Grillo. Io non ho niente contro quelli che vanno in piazza a sentire Grillo, perché capisco il disagio, la rabbia, capisco le motivazioni. Io ce l’ho con Grillo, perché quando tu porti fuori strada questa protesta, quando tu dici non c’è più destra né sinistra, quando ti rifiuti di rispondere a una sola domanda e vuoi parlare soltanto tu, quando vuoi comandare dal tabernacolo della rete, tu porti fuori il Paese dalla democrazia. E quando tu dici usciamo dall’Euro, non paghiamo i debiti, diamo mille euro a tutti, tu ci porti non in Grecia, di più: ci porti oltre la Grecia. E allora ho il sospetto che tu voglia vincere sulle macerie, ma le macerie se le può permettere solo un miliardario; la gente comune non può immaginarsi le macerie, deve immaginarsi di venirne fuori.”

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  2. Tutta questa propaganda al voto utile, ora anche la paura che il M5S di Grillo prenderà tanti voti, con la sua campagna di uscire dall'euro, scelta più scellerata in questo momento non si potrebbe fare, Berlusconi che restituisce l'IMU, l'avanzata della destra-nazionalista, come se gli italianii fossero tutti idioti, io mi auguro di no.
    Gli unici programmi, che faranno crescere in termini di posti di lavoro, reddito pro capite, benessere collettivo e dell'Italia stessa, sono quelli di SEL e Rivoluzione Civile.
    Mi auguro, solo che i compagni e il mio appello lo rivolgo a quelli che pensano di non votare, all'ultimo scelgano di farlo.
    BARBARA CROCE

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  3. Caro Franco,
    questa volta ti devo contraddire. Quello di identificare il M5S con Grillo è un errore. Il movimento è fatto da cittadini e lavoratori che non hanno mai avuto a che fare con la politica, saranno loro che occuperanno i seggi in parlamento, non Grillo. Grillo è solo uno che sta dietro al megafono e che spesso le spara grosse ed è criticabile sotto molti punti di vista. Ma il movimento è fatto da milioni di persone che nemmeno conosciamo: lavoratori, impiegati, giovani, normali cittadini, non professionisti della politica. E se la politica deve servire ai cittadini non è corretto che la facciano direttamente i cittadini? Chi meglio di loro conosce i propri problemi e le proprie istanze? In ultimo voglio aggiungere che solo il tempo potrà darci delle risposte. Non riduciamo il movimento al fenomeno Grillo, è un fenomeno sociale molto complesso.

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  4. Infatti bisogna votare, non c'è alcun dubbio. L'esercizio della democrazia è un dovere a cui non possiamo sottrarci, oggi più che mai. Riflettiamo, valutiamo e votiamo, nella maggiore serenità possibile. Sarà impresa difficile ma sarà altrettanto necessaria. Quanto a Grillo e ai grillini le loro denunce non sono tutte infondate e nascono anche dagli errori di tanta politica italiana, volta più al potere e alla poltrona che al buon governo. Finita la festa di piazza con adunate oceaniche e liturgie laiche da deriva populistica sudamericana,in Parlamento potranno sottrarsi al confronto e al dibattito politico? Potranno continuare a nascondersi dietro lo scudo della rete e del web? La dialettica politica li costringerà a programmare interventi credibili, reali e fattibili. Alcuni sono impensabili, come scrive Barbara. Ma altri sono necessari, se vogliamo che la politica torni ad essere "bene della polis". Voglio precisare: io non voto 5 stelle.

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  5. Tu dici "La dialettica politica li costringerà a programmare interventi credibili, reali e fattibili".
    Io penso che questa dialettica politica attuale è malata, il M5S intende cambiare questa dialettica politica, almeno queste sono le premesse. Se poi il movimento si ammalerà di corruzione e poltronismo, come è avvenuto per la LEGA tanti anni fa, questo è un altro discorso. Solo il tempo può dare delle risposte a questi quesiti.
    Molte sono le critiche che arrivano al M5S a causa dei toni e delle parole di Grillo, ma è anche vero che centinaia di migliaia di cittadini si stanno impegnando in questo movimento, e questo è un fatto epocale. Va dato rispetto e fiducia a queste persone, perchè con il loro impegno stanno dando concretezza alla loro voglia di cambiare le cose, non sono dei qualunquisti, ne dei populisti, sono delle persone impegnate che vogliono cambiare la loro vita.
    Grillo non è il candidato premier, in questo movimento il premier sarà un normale cittadino. E anche se non hanno esperienza nella gestione della cosa pubblica, queste persone meritano rispetto e fiducia.
    Cosa c'è di male nell'usare la rete per creare e unire il movimento? Non ci vedo nulla di male, se non ci fosse stata la rete come avrebbero fatto? Non ce l'avrebbero mai fatta, perchè non hanno televisioni, non hanno stampa, non hanno i media dalla loro parte, li stanno attaccando tutti, hanno tutti contro. Eppure vanno avanti. Non si nascondono, fanno bene a non farsi fagocitare dalle televisioni, infatti non sono loro che vanno dalla televisione, ma è la televisione che va da loro. Persino la televisione, alla quale tutti si inchinano, compreso Ingroia, è costretta a inseguirli. Questa per me è una loro grande vittoria, a prescindere dal risultato dele urne. Chissà cosa penserebbe Pasolini, che profeticamente aveva parlato della dittatura dei media. Il movimento si è sottratto a questa dittatura, usa la rete che non è strumento di appariscenza e appartenenza come la televisione. la rete non è di nessuno.

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  6. EZIO, COME FAI A NON VEDERE LA MISTIFICAZIONE CHE C'E' DIETRO ALLE PAROLE DI GRILLO? TRA L'ALTRO NON C'E' ALCUN SPAZIO NEL SUO FINTO MOVIMENTO PER CHI PENSA CON LA PROPRIA TESTA!

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