Ci saremmo
volentieri risparmiati di tornare a parlare del falso problema sollevato negli
ultimi mesi da Franco Lo Piparo. Avevamo già espresso il nostro punto di vista,
sommariamente, nell’articolo A CIASCUNO IL SUO GRAMSCI che potete trovare
nell’archivio di questo blog.
Ma visto che
alcuni giornali – come il Corsera e IL GIORNALE – hanno fatto tanta pubblicità
all’ ultimo pamphlet dello studioso di Bagheria – dimenticando i suoi primi
lavori di ben altro spessore! – riproponiamo l’intervista di Simonetta Fiori al
Prof. Joseph Buttigieg, docente di letteratura comparata alla Columbia
University Press e Presidente dell’International Gramsci Society:
Joseph Buttigieg –
E’ solo voglia di scoop.
«Il taccuino segreto di
Gramsci? Tutta questa faccenda mi lascia sconcertato». Dal suo dipartimento
vicino a Chicago, dove insegna Letteratura comparata, Joseph Buttigieg
interviene nella polemica sul pensatore sardo. Curatore dell’edizione critica
dei Quaderni per la Columbia University Press, lo studioso americano è
presidente dell’International Gramsci Society, dove confluiscono gli
specialisti sparsi in tutto il mondo. «Ho appena letto L’enigma del Quaderno,
il nuovo libro del linguista Franco Lo Piparo. Ma se dovessimo assecondare
questa nuova ricostruzione, ci troveremmo dinanzi a un caso di schizofrenia».
Perché, professor Buttigieg?
«Secondo Lo Piparo, il taccuino
scomparso sarebbe un “quaderno delle cliniche”, scritto negli anni dei ricoveri
tra Formia e Roma. E conterrebbe esplosive critiche al comunismo. Lo studioso
trascura un dettaglio, che non è irrilevante: fu a Formia che Gramsci pose mano
alle note dei suoi Quaderni.
Così da una parte va
completando la sua opera più importante, senza peraltro correggere d’una
virgola una complessa costruzione concettuale che per quanto eterodossa è
sempre dentro l’orizzonte comunista; e nello stesso periodo — o immediatamente
dopo — comincia un nuovo quadernino, che rinnega radicalmente l’opera
precedente. Non sarebbe stato più logico intervenire sulle pagine già scritte,
apportandovi modifiche e aggiunte?».
E tutte quelle discrepanze
nella catalogazione dei Quaderni?
Salti nella numerazione, il
balletto sulla cifra dei taccuini...
«Ora, dal mio ufficio dell’University
of Notre Dame, mi è difficile intervenire sulle incongruenze filologiche. Posso
soltanto dirle che Valentino Gerratana, curatore nel 1975 dell’edizione
critica, diede una descrizione plausibile della numerazione. E in un secondo
momento Francioni e Cospito ne hanno fornito un’interpretazione convincente».
Ma ora Lo Piparo li contesta.
«Lo Piparo ha fatto un lavoro
ineccepibile sulle carte. Il problema nasce là dove comincia la sua
interpretazione, che appare del tutto romanzesca. Un salto di numerazione non
significa necessariamente l’esistenza di un quaderno mancante. E l’esistenza di
un quaderno mancante non significa necessariamente che Gramsci ripudiò il
comunismo ».
Ma quel che si legge sotto
traccia — non solo nei libri di Lo Piparo, ma anche in quelli di Luciano
Canfora e di Carmine Donzelli — è che l’Istituto Gramsci avrebbe avuto
interesse a non fare luce sul taccuino segreto perché materiale scomodo per il
Pci.
«In tanti anni di
frequentazione dell’Istituto non ho mai avuto sentore che mi si nascondesse
qualcosa. La cosa assurda è che Lo Piparo abbia pubblicato il suo saggio senza
aspettare l’esito dell’inchiesta promossa dalla Fondazione Gramsci. Mi sarebbe
apparso più serio attendere i risultati. Peccato che Giuseppe Vacca, presidente
del Gramsci, non abbia richiesto un impegno preciso in questo senso».
Secondo Lo Piparo, sarebbe
stato Piero Sraffa a sottrarre tre quaderni a Tania Schucht. E Tania si sarebbe
vendicata appiccicando su altri tre quaderni le etichette dei fogli rubati.
«Sì, ho letto di questo
astutissimo stratagemma.
Ma sarebbe stato molto più
semplice denunciare l’accaduto una volta tornata a Mosca. Possibile che non ve
ne sia traccia né nelle carte né nella memoria della famiglia Schucht? Anche
qui mi sembra che Lo Piparo proceda sulla base di congetture prive di
riscontro. Due parole, poi, su Sraffa: fu Gramsci a chiedere il suo aiuto, non
Sraffa ad offrirsi. E senza il suo nutrimento intellettuale, Gramsci
probabilmente non avrebbe scritto i Quaderni.
E questo sarebbe “l’agente
coperto” del Comintern, il “ladro” dei taccuini? ».
Ma lei che idea si è fatto di
tutta questa polemica?
«Si vuole separare l’autore dei
Quaderni dal marxismo e dalla tradizione comunista. Anche in un precedente
saggio, Lo Piparo riconduceva il concetto di egemonia agli studi di Gramsci
sulla lingua: un contributo anche serio, ma che finiva per liquidare la sua
formazione marxista. E ora siamo alla fine di questo circolo ermeneutico».
Però anche tra i sostenitori di
Lo Piparo c’è chi non condivide questa lettura “liberale”. A parte questo, mi
sembra di cogliere un giudizio severo sul rapporto tra la cultura italiana e
Gramsci.
«Negli ultimi decenni sono
usciti anche libri importanti, ma nel dibattito culturale Gramsci è rimasto
sullo sfondo, se non per qualche improbabile rivelazione (Gramsci suicida,
Gramsci convertito...). Fino all’improvvisa effervescenza dell’ultimo periodo,
fondato per lo più sul sensazionalismo. Altrove l’autore dei Quaderni continua
a essere un pensatore vivo, capace di parlare al presente: l’altro giorno
l’inglese Michael Gove, ministro conservatore dell’Istruzione, ha indicato
Gramsci tra i suoi modelli ispiratori».
Che cosa la irrita di più della
nuova polemica?
«L’impressione è che si usi un
cadavere per fare degli scoop. Il successo di questo genere di pubblicazioni —
mi riferisco a Lo Piparo ma anche agli altri che procedono per supposizioni non
suffragate da riscontri — è dovuto a una circostanza precisa: non possono
essere confermate né smentite. Io non posso dire con certezza: Gramsci non ha
mai scritto il trentesimo quaderno. E dunque questi autori avranno sempre
ragione. Se ci pensa, noi stiamo parlando da mezz’ora di una cosa che non
esiste. Hanno vinto loro».
Fonte: La Repubblica
9 febbraio 2013, pag. 48.
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