Si è aperta il 27 novembre scorso presso l’Institut
du Monde Arabe di Parigi, e durerà fino al 28 aprile 2013, l’esposizione
dal titolo “Les Mille et Une Nuits”. Preceduta da un’ironica campagna
pubblicitaria (si veda il sito de IMA: http://www.imarabe.org/exposition-ima-6415#prest)
e inserita nel più ampio progetto Les Mille et une Nuits: Sources et
Fonction dans l’Islam Médiéval Arabe (Projet ANR-MSFIMA), coordinato dal
prof. Aboubakr Chraïbi dell’INALCO di Parigi, si tratta probabilmente della più
ricca e completa mostra mai tentata a Parigi, e forse anche in tutta Europa,
sull’argomento. Ma procediamo per ordine, cominciando dall’Affiche. Si
tratta di un acquarello del 1913 (esattamente un secolo fa!) di George Barbier
esponente illustre dell’Art déco francese. Un’immagine particolarmente
evocativa, sensuale, che rappresenta Ida Rubinstein e Vaslav Nijinsky nella
pièce Shehrazad scritta da Rimski-Korsakov, un chiaro esempio della
rappresentazione tutta occidentale delle Notti, in cui erotismo ed
esotismo si confondevano e spesso si combinavano al meraviglioso e al
soprannaturale, a volte benefico altre tragicamente o romanticamente crudele.
Tuttavia, il visitatore potrebbe essere fatalmente tratto in inganno e indotto
a pensare che si tratti di una rassegna di opere sul più “classico”
Orientalismo fin de siècle. Invece, il principale obiettivo del
comitato scientifico, che conta tra i più importanti esperti delle Mille e
una Notte, come Aboubakr Chraïbi, e i più insigni specialisti della
cultura arabo-islamica e non solo (André Miquel, Malek Chabel, Ysabel Boudis,
Nacer Khemir, Nja Mahdaoui, Margaret Sironval, Edgar Weber), è stato di mettere
in luce tutta la complessità di un testo che, forse unico nel panorama mondiale,
ha influenzato in maniera duratura tutte le arti, superando le barriere
geografiche, culturali, temporali e generazionali. Ma sarebbe riduttivo
limitare la discussione al “fenomeno” Mille e una Notte. Sebbene
quest’ultimo sia presente e largamente esibito nell’ambito della mostra, senza
mai però cedere a una banale e grossolana rievocazione acritica, prevale,
invece, un orientamento più estensivo, al pari del moderno approccio al corpus
testuale. Come la raccolta delle Mille e una Notte è il risultato di
un complesso processo d’accumulazione e trasmissione di racconti orali e
scritti, traduzione di testi indiani e persiani, adattamenti e rielaborazioni
di storie fantastiche, d’origine dotta e popolare lungo un arco temporale
difficilmente tracciabile, ad opera di “autori” di ancora più incerta
identificazione, allo stesso modo la mostra accosta oggetti ed opere d’arte di
diversa provenienza e di autori talora conosciuti talaltra ignoti, nel
tentativo di riprodurre la medesima visione d’insieme che è il paradigma
interpretativo del testo stesso. Eppure, mai un’opera tanto fluida, instabile e
plurale, è stata oggetto nel corso degli ultimi decenni di una simile intensa
indagine filologica che, nel tentativo di ricercarne il nucleo fondatore –
operazione non del tutto immune da una certa tendenza alla riappropriazione
identitaria ad opera di alcuni critici arabi installatisi in Occidente -, ha
perso di vista il potenziale narrativo “periferico” aggiuntosi nel corso dei
secoli e che ne ha costruito il successo planetario. Basti pensare che storie
come Aladino, Alì Babà o Sindbad, oggetti quali i tappeti volanti o le lampade
magiche, non farebbero parte delle Mille e una Notte, o almeno della
“vulgata”, ma sarebbero aggiunte successive, spesso frutto dell’intervento
massiccio e dell’inventiva di un traduttore, un copista o un adattatore.
Tuttavia questi elementi hanno forgiato il nostro immaginario intorno a The
Arabian Nights Entertainement.
L’esposizione si apre, ovviamente, sui testi. Per
la prima volta si possono ammirare i più importanti manoscritti delle Mille
e una Notte provenienti dalle collezioni di Biblioteche, Università e
Musei di tutto il mondo. E se l’esperto di codicologia arabo-islamica vi
troverà dei veri e propri tesori d’inestimabile valore (in particolare due
frammenti delle Mille e una Notte datati intorno alla fine dell’VIII e
l’inizio del IX secolo, scoperta che ha retrodatato ulteriormente la cronologia
del testo), il visitatore meno competente sarà certamente colpito da varie
eccellenti miniature inserite in manoscritti risalenti a un periodo che va dal
XV al XVIII secolo, alcune delle quali di un tale valore artistico da
confondere chi pensava che la rappresentazione di figure umane fosse bandita in
Islam! Se l’elemento che accomuna tutti questi testi arabi è la persistenza di
un nodo centrale, récit-cadre, nella tassonomia degli specialisti (noi
forse parleremmo piuttosto di cornice, che coincide grossomodo con la storia di
Shehrazad e del principe Shahriyar), seguito dai primi cinque racconti o cicli
(a loro volta cornice di altri aneddoti, per un totale di circa una trentina di
storie), che costituiscono quello che viene definito “il libro”, nondimeno il
gioco delle varianti o “compilazioni” che sono state via via accostate al
nucleo centrale appare di notevole importanza, la cui classificazione, però, è
roba da specialisti. Sempre in questa sezione è dato particolare rilievo al
ruolo di trasmettitore di Antoine Galland (1646-1715). Ambasciatore del Re Sole
presso la Sublime Porta all’epoca di Muhammad IV, questo modesto orientalista
francese tradusse e pubblicò Les Mille et une Nuits: contes arabes (1704),
non senza un preciso intervento di francesizzazione e di adattamento di alcuni
passi al gusto dell’epoca, censurandone altri considerati particolarmente
scabrosi. La traduzione di Galland ebbe un immediato successo e inaugurò
un’intensa stagione di ricerca di manoscritti orientali che potessero
soddisfare la domanda di storie meravigliose, testimoniata dal Diario e dalla
Corrispondenza dell’orientalista francese, esposti accanto ai manoscritti
originali su cui Galland approntò la sua traduzione. Seguono i primi testi
arabi in stampa, come le due edizioni pubblicate a Calcutta (1814-1818 e
1839-1842) e quella detta di Būlāq dal nome del quartiere del Cairo dove fu
stampata la versione “egiziana” nel 1883. La sezione denominata Bibliothèque,
raggruppa le principali traduzioni e edizioni apparse tra il XIX e soprattutto
il XX secolo in Occidente e le prime illustrazioni, incisioni, acqueforti ad
opera di eminenti artisti come Gavarni e Wattier, Albert Lechford (che ha
illustrato la traduzione inglese del 1897), Kay Nielsen, o gli splendidi
acquarelli di Kees Van Dongen ed i disegni di François-Louis Schmied, ma anche
esperimenti di “continuazione” delle Mille e una Notte, come un
manoscritto del libretto di un’operetta che porta la firma di Jules Verne (si
tratta della Mille et Deuxième Nuit datata 1850 circa), fino alle saghe
dei fumetti ed alle trasposizioni Disney.
La sezione più ricca di testimonianze è senza
dubbio quella denominata L’élan amoureux. La passione amorosa sembra
essere il tema dominante delle Mille e una Notte. Se il mondo
arabo-islamico era abituato a questi sentimenti travolgenti, come testimoniano
diverse raccolte di testi in prosa e in poesia in arabo ma soprattutto in
persiano di cui la mostra ospita uno straordinario campionario con preziose
tavole miniate tratte dallo Shāh-Nāme di Abu’l-Qasim Mansur Firdawsī della metà
del XV secolo o dal Khamseh di Nizāmi della fine del XV secolo, lo
stesso non può dirsi per l’Occidente che, al contrario, scoprì la sensualità e
l’erotismo delle Mille e una Notte solo in un secondo momento. Joseph
Charles Mardrus (1868-1949), un medico d’origine circassa educato dai gesuiti
in Libano, spinto da Stéphane Mallarmé pubblicò tra il 1899 e il 1904 nelle
pagine della Revue Blanche una nuova traduzione francese in cui non
soltanto riabilitò diversi aneddoti espunti dalla versione di Galland ma
accentuò volutamente o aggiunse deliberatamente alcuni dettagli scandalosi
assenti nell’opera originale. Il testo, che risultò perfettamente consonante
all’esprit fin-de-siècle, trovò un’accoglienza senza precedenti presso
gli intellettuali che ruotavano attorno alla rivista avanguardista (André Gide,
Anatole France, José-Maria de Herredia, Maurice Maeterlinck, Henri de
Mantesquiou, Pierre Louÿs), e influenzò il costume e le mode dell’epoca. Fu
proprio la traduzione-riscrittura di Mardrus a essere la base per i diversi
adattamenti per teatro, balletto e cinema di cui si espongono progetti di
allestimento, schizzi e abiti di scena, gioielli, elementi scenografici, ma
anche articoli di giornale, manifesti e fotografie d’epoca. In questa prospettiva
di passaggio di codice bisogna ricordare gli adattamenti cinematografici di
Pasolini, ovviamente, le produzioni hollywoodiane e bollywoodiane, ma anche
quelle di registi arabi a cui la mostra dedica uno spazio, seppur limitato, ma
comunque rappresentativo. Materia assai complicata quella del rapporto tra
mondo arabo moderno e contemporaneo e Mille e una Notte. A lungo
bistrattata e ignorata in quanto risultato instabile di un’elaborazione
popolare e, dunque, per definizione umile ma soprattutto anonima – la critica
letteraria araba ha sempre avuto orrore dell’anonimia –, la raccolta venne
riscoperta all’inizio del XX secolo e tra le due guerre da intellettuali arabi
influenzati dagli orientalisti occidentali, entrando nel canone letterario
arabo. Oggi, pur non mancando le condanne esplicite dei religiosi più
intransigenti, prevale un sentimento di fierezza ritrovata. Non è un caso se,
qualche tempo fa, trovandomi in una modesta libreria del Cairo scorgo un libro
in arabo dal titolo Le Mille e una Notte italiane, una traduzione
dozzinale del Decameron di Boccaccio! Una rassegna
dell’abbondante presenza delle Mille e una Notte nelle arti arabe è
offerta nel Catalogo dell’esposizione. Da segnalare l’articolo di
Monica Ruocco dell’Università degli studi di Palermo, sul teatro arabo moderno
e contemporaneo, unico intervento di un’insigne orientalista italiana! E poi,
Shehrazad: personaggio complesso, metafora e musa moderna della letteratura e
della poesia, ma anche grande seduttrice per Picasso, immenso enigma per
Magritte, eterna incantatrice per Mohamad Kacimi.
Le altre sezioni dell’esposizione (Damas,
Bagddad, Le Caire, Guerre et Cruauté, Le Monde Intérmediaire e
Les Contes de la Mer et les Voyages) sono altrettanto suggestive e
ricche di testimonianze di grande valore storico-artistico: manifatture
pregiate ed oggetti riccamente decorati quali tessuti, tappeti, ceramiche,
recipienti in vetro e metallo, candelabri, incensiere, armi e corazze, portali
e pannelli in legno istoriato, mobilio intarsiato, strumenti musicali,
risalenti ad un periodo che va dal XIII al XIX secolo e provenienti dal Maghreb
arabo, dal Medioriente e dall’Asia (Iran, Pakistan, Afghanistan, India, Cina).
Queste opere d’arte “orientali” affiancano senza soluzione di continuità le
diverse testimonianze artistiche “orientaleggianti” di matrice occidentale. Un
accostamento che non ci pare stridente in virtù della dichiarata prospettiva
sincretista che soggiace all’esposizione. Risolvere quel rebus filologico che
sono le Mille e una Notte non ha più senso oramai, ne traviserebbe la
natura fluida. Meglio confermare l’ambiguità della variazione e
dell’accumulazione, non rifiutando ma integrando le Mille e un’immagine
sia occidentale che orientale del testo dilatato dai tanti adattamenti.
Infine, il Catalogo (Les Mille et
une Nuits, Institut du Monde Arabe, Éditions Hazan, Paris 2012, ISBN: 978
2 7541 0654 2). Oltre alla riproduzione delle opere esposte, si segnala l’ampio
apparato critico che riunisce articoli dei più importanti esperti delle Mille
e una Notte, ma anche, in una prospettiva transnazionale, l’influenza che
ha avuto in diversi contesti letterari (dalla letteratura francese e più in
generale francofona, inglese, tedesca, danese a quella russa, cinese,
giapponese) e nei diversi generi (letteratura, arti figurative e applicate,
teatro, cinema). La ricca bibliografia, lungi dall’essere esaustiva,
rappresenta comunque un punto di partenza essenziale per chi intenda
approfondire l’argomento. In particolare si segnalano gli ultimi tre saggi che
rappresentano altrettanti percorsi di riflessione e letture del testo riguardo
temi quali Pouvoir et religion dans les Mille et une Nuits, «Personne,
voici mon nom». D’Ulysse à Sindbad: une question d’identité e, infine,
Shahrazad aujourd’hui: figure de l’émancipation ou de l’antiféminisme?
rispettivamente di Aboubakr Chraïbi (Institut National de Langues et
Civilisations Orientales, INALCO, Paris), Abdelfattah Kilito (Université de
Rabat, Muhammad V) e Ferial Ghazul (American University in Cairo, AUC).
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