22 febbraio 2013

DA FREUD AI CAVALIERI D'ITALIA





Che questa campagna elettorale fosse degna di essere psicoanalizzata l’ ho pensato dalle sue prime battute . Oggi ne ho avuto conferma leggendo il pezzo che segue:

Massimo Recalcati - Da Freud al Cavaliere


Sigmund Freud scrisse Psicologia delle masse e analisi dell’Io nel 1921, quando l’Europa si stava avviando verso il baratro dei regimi totalitari. Il carattere straordinariamente preveggente di questo testo metteva in risalto la difficoltà dell’essere umano di sopportare il peso della propria libertà e della quota di incertezza e di instabilità che essa necessariamente implica.

Freud vedeva nella pulsione gregaria la tendenza degli uomini a ricercare rifugio, protezione riparo dalla solitudine della libertà e dalla responsabilità individuale che essa comporta. Nel grande corpo omogeneo della massa i soggetti regrediscono ad una relazione infantile di servitù che spegne ogni facoltà critica e consegna la libertà in cambio del conforto ipnotico del sentimento di confondersi in una identificazione cementificata ad un solo popolo. Con l’aggiunta decisiva che questa identificazione si struttura sotto il cono luminoso e inebriante dello sguardo invasato del Padre- Duce, del Padre-Führer, del Padre-padrone che promettendo “magnifiche sorti e progressive” in realtà divora spietatamente i suoi figli impauriti nel nome della Storia, della Razza o dell’Impero.

Freud ci fornisce il ritratto del fantasma inconscio che ha animato tutti i populismi totalitari del Novecento: l’Ideale della Causa, incarnato nel corpo sacro del leader e del suo carisma sulfureo, dà senso alla vita della massa altrimenti in balìa di una precarietà economica, sociale ed esistenziale fonte di angoscia insopportabile. Il populismo novecentesco rivela l’incidenza del carattere gregario della pulsione; amare chi ci toglie la libertà, idolatrare chi cancella tutti i nostri diritti, baciare la mano di chi ci colpisce a morte.

Se ora proviamo a volgere lo sguardo sulle forme più attuali del populismo, per esempio quelle che si manifestano in questa campagna elettorale, ci troviamo di fronte ad un deciso cambio di segno. Il fantasma inconscio che le anima non è più quello che invoca il bastone del padrone; non è più un fantasma masochistico che esige il sadismo feroce del padre primigenio. I populismi contemporanei appartengono ad un’epoca che è stata definita post-ideologica. Essi fanno piazza pulita della funzione Ideale della Causa che ha invece nutrito i vecchi populismi. Quella funzione ha lasciato il posto ad un cinismo disincantato e radicalmente anti-politico che vede con sospetto risentito tutto ciò che viene proposto in nome del bene comune. Il populismo ipermoderno non si nutre di Ideali –non è più, come diagnosticava la Arendt, una malattia dell’ideologia – , ma di pubblicità (berlusconismo) e di tecnologia (grillismo). 



"Non è giusto che si arricchiscano in pochi... Io prometto che garantirò corruzione per tutti!"



 Prendiamo, per esempio, un tema cruciale come quello della libertà. Si tratta di uno dei grandi cavalli di Troia dei populismi post-ideologici, in particolare di quello berlusconiano, ma non solo. La sua invocazione risponde ad una finalità semplicemente demagogica. Liberi dalle istituzioni, liberi dalla politica, liberi dall’Europa ... La libertà è ridotta ad un fantasma che riveste l’esigenza pulsionale di poter fare quello che si vuole senza dover tenere conto dell’Altro, dunque di qualunque limite istituzionale, procedura, Legge, condizione storica. Piuttosto è l’idea stessa della Legge che viene vista con sospetto, come se fosse un intralcio alla piena libertà del manovratore (Berlusconi), oppure viene invocata – ed è una variante rischiosa del populismo ipermoderno – come un principio assoluto in grado di garantire il Bene comune (Ingroia, Di Pietro). Se il populismo novecentesco nutriva un fantasma masochistico fondato sul sacrificio fanatico di sé, quello ipermoderno nutre un fantasma perverso e narcisistico, centrato sull’affermazione della Legge ad personam, su di una mentalità profondamente anti-istituzionale e anti-politica, che rigetta come un peso inutile la fatica del confronto e della mediazione, il calcolo e la strategia necessari alla politica. Il suo miraggio non è più sostenuto dall’appello infatuato agli Ideali collettivi, ma dalla difesa strenua e rancorosa dei propri interessi particolari. Questo modifica sensibilmente la rappresentazione immaginaria del Leader e modifica la stessa psicologia delle masse.

Il leader dei nuovi populismi non agisce più in nome della Causa anche quando la sbandiera. Piuttosto si autocelebra come un reuccio senza storia, come un capo popolo solo televisivo, senza più proporsi come strumento al servizio della Storia, come l’incarnazione folle di una volontà impersonale. Piuttosto esso accentua, nell’autocelebrazione della sua persona, quel trionfo dell’Io che sembra aver preso il posto della Causa. Come dire che la sola Causa che conta è quella del proprio Io o quella del proprio territorio come accade per il populismo regressivo di tipo leghista. Non è più l’Io che si immola masochisticamente nel nome dell’Ideale, ma è l’Io che, dopo aver tolto la maschera ad ogni Ideale, si propone come il solo Ideale che vale la pena servire. In questo il populismo ipermoderno è schiavo del discorso del capitalista e della sua esaltazione dell’individualismo più cinico. Il nuovo leader aggrega le masse promettendo un accesso senza mediazioni – della politica – all’esercizio del potere. Non chiede il sacrificio per la patria, ma mostra piuttosto l’inutilità di ogni sacrificio.

 Anche il ricorso eventuale a tematiche ideologiche – siano esse legate ad antichi contrasti tra visioni del mondo contrapposte o a rivendicazioni etniche come accade per il populismo pseudo-mitologico della Lega – appare strumentalmente finalizzato a difendere il proprio orto. Nondimeno il nuovo leader resta un padrone che divora i suoi figli, che non può pensare al suo tramonto, alla propria successione, che non può lasciare eredi credibili perché assolutamente insostituibile, che, dunque, pur proclamando la democrazia diretta del popolo si ritiene esserne, paradossalmente, il garante assoluto non cogliendo il fatto elementare che la sua stessa esistenza di leader contraddice la possibilità di una autentica democrazia interna. È il caso del grillismo che invoca grazie al potere della Rete una forma di partecipazione diretta del cittadino che rifiuta ogni genere di mediazione e che, di conseguenza giudica, come un ferro vecchio della democrazia, la funzione sociale dei partiti. Ma i segni di discordie che attraversano questo movimento non annunciano niente di buono. È un film che abbiamo già visto. È una legge storica e psichica insieme: chi si pone al di fuori del sistema del confronto politico e della mediazione simbolica che la democrazia impone, finisce sempre per generare il mostro che giustamente combatte.

Come tutti i leader, che hanno animato forme populistiche di consenso, il leader dei nuovi populismi non può sottomettersi a nessuna Legge se non quella che egli pretende di incarnare. Di conseguenza non può accettare la logica democratica della permutazione, il ricambio generazionale, la trasmissione dell’eredità. Il suo Io è lo specchio che riflette un corpo frammentato perché privo del cemento armato dell’ideologia. Basti pensare alla seduzione sfacciata con la quale Berlusconi interpreta la sua rincorsa elettorale comportandosi come quel tiranno demagogo, descritto da Platone, che di fronte a dei bambini gravemente malati non veste i panni scomodi del medico, ma preferisce indossare quelli di un pasticcere che anziché proporre l’amaro sapore delle medicine seduce il suo giovane popolo con l’offerta di carrellate di dolci prelibati.

(Da: La Repubblica del 22 febbraio 2013)

1 commento:

  1. Ogni tanto L'UNITA' si ricorda di GRAMSCI. Oggi riporta, come manchette, questo suo pensiero: "IL DEMAGOGO PONE SE STESSO COME INSOSTITUIBILE, CREA IL DESERTO INTORNO A SE', VUOLE ENTRARE IN RAPPORTO CON LE MASSE DIRETTAMENTE: PLEBISCITO, COLPI DI SCENA, APPARATO COREOGRAFICO FANTASMAGORICO".Il giornale che oggi usa queste parole contro Grillo e Berlusca, dimentica che Gramsci le ha usate sia contro Mussolini che contro Stalin.

    FRANCO VIRGA

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