11 febbraio 2013

GIULIO ANGIONI: FARE, DIRE, SENTIRE





Giulio Angioni è un antropologo sardo che ha avuto tra i suoi maestri il grande  Alberto Maria Cirese. Oggi ci soffermiamo a parlare di un suo recente libro recensito da Pier Giorgio Serra sul sito http://unaltrasestu.com/

Fare, dire, sentire. L’identico e il diverso nelle culture di Giulio Angioni è un libro plurale, sia nel titolo che per ricchezza di argomenti trattati. I tre verbi del titolo vengono coniugati  al presente e più precisamente vengono coniugati nel mondo presente o, meglio ancora, nei mondi  del presente. Il primo lavoro che fa Angioni  è quello di fornirci strumenti per  riprendere il bandolo di una realtà sempre più ingarbugliata e confusa dalla babele di linguaggi che tentano di descriverla. Perché, a ben guardare e meglio osservare,  se ci diamo strumenti seri di lettura e guardiamo la realtà con gli occhi della modernità, questa ci appare si interconnessa negli spazi geopolitici, ma sconnessa e sfilacciata nei paesaggi umani.
Da buon antropologo, che a lungo ha frequentato il sapere delle èlites  e il sapere dei subalterni, Angioni sa bene  che il “Fare“, primo verbo del titolo, è un’esigenza  che appartiene all’umanità, la quale la esplica nei più svariati modi,  che per comodità facciamo rientrare nella categoria del lavoro, del lavoro umano.  Ecco quindi che nella prima parte del libro viene vivisezionato il concetto stesso di lavoro che ha bisogno del sapere  e del gesto tecnico, della materia e dello spirito; ha a che fare con la natura e la cultura, che non sono in antitesi bensì rappresentano, nella nostra società dominata dalla tecnica, le vie maestre per un futuro armonico dell’umanità. Scrive l’antropologo Angioni, a pag. 90 del libro “Nulla di umano è estraneo al lavoro” , concetto che possiamo usare per capire a fondo anche la sua opera letteraria. In fondo, cosa ci sta raccontando con i suoi romanzi se non un mondo abitato da massai, minatori,  giornalisti, biologhe, operatori turistici, tagliatori di intimo femminile ecc.
La seconda parte del libro, quella dedicata al “Dire“, ha un incipit biblico e si chiede “In principio era la parola?” e dopo aver analizzato il potere della parola, continua con un altro interrogativo: “Di chi è il potere?” per chiudere l’assioma verrebbe voglia di dire che il potere è di chi ha la parola e tramite questa comunica se stesso dominando.  Attenzione  suggerisce Angioni, questo era pur vero nelle società pre moderne oggi le cose sono un po cambiate e ce lo ha spiegato Antonio Gramsci e lo ha ribadito Michel Foucault. Il primo quando introduce nella lotta politica il concetto di egemonia e nella storia culturale del nostro paese fa irrompere la cultura subalterna, il secondo coniando il termine biopotere: potere più blando ma più pervasivo, più capace di modellare il corpo, la prassi, i pensieri, i desideri, le paure e le speranze che animano la vita dei singoli e della società.  Insomma alla concezione del mondo delle classi dominanti, che riuscivano a plasmare la società con le loro teorie culturali, giuridiche e politiche, Gramsci ha suggerito che bisogna contrapporre una nuova cultura egemonica che attraverso un nuovo senso comune faccia sentire la voce dei subordinati, subalterni e strumentali e della loro sete di giustizia per sperimentare e praticare una diuturna microfisica del dissenso verso una omnipervasiva microfisica del potere. Se osserviamo la realtà odierna con le lenti di Gramsci, suggerisce Angioni, ci accorgiamo che oggi abbiamo a che fare con nuove forma di subalternità , quindi con nuovi aspetti del senso comune, con nuove filosofie spontanee e con nuove estetiche popolari effimere nel tempo più soggette a mode passeggere e all’egemonia mediatica dei ceti dirigenti.
La terza parte quella dedicata al “Sentire” ci porta subito dentro la modernità. Nella parte centrale si parla di “mondi meticci” che per essere capiti devono essere pensati da una “Logica meticcia”. L’antropologia e oggi anche gli studi culturali, postcoloniali e subalterni e non solo, ci informano che tutti i modi di vita ci appaiono risultato non solo di un’evoluzione bio-culturale più o meno rapida, ma anche di una commistione per contatti culturali di vario genere.  Ecco un filone interessante da seguire, se è vero come è vero che oggi il mondo globalizzato, interdipendente e interconnesso, permette di accedere al sapere in modi nuovi, meno passivi del passato,  che spesso sono forieri di una produzione culturale nuova e meno legata al potere e agli schematismi del passato.
Pier Giorgio Serra   

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