Che il mondo d’oggi abbia bisogno di
poesia – oltre al pane e alla libertà – è risaputo. Noi ne siamo sempre più
convinti; anche per questo vogliamo augurare lunga vita al nuovo blog di
sperimentazione poetica-http://www.diaforia.org/floema/ - di cui riproponiamo
il manifesto:
“…l’arte e l’epos
greco […] continuano a suscitare in noi un godimento estetico e costituiscono,
sotto un certo aspetto, una norma e un modello inarrivabili.”
Karl Marx: “L’arte greca e la società
moderna” (Grundrisse, 1857-1858)
Nella società in cui viviamo, dove è più facile abbattere un albero per costruire un marciapiedi o un rondò, invece che girargli intorno, mantenendo l’erettile architettura, f l o e m a si propone di mostrare ciò che la sega, se meglio adoperata, poteva evitare: la sezione di un tronco.
Nessuna postura pseudofuturista o rivoluzionaria, sappiamo di essere piccoli e forse minoritari, ma ciò che ci spinge a ritagliarci uno spazio nel mare magnum della rete e della cultura nazionale e oltre è la necessità di mostrare che “si possono suonare le foglie”, e lo si può fare probabilmente anche grazie a ciò che sta dentro il tronco.
sezione
Il floema,
detto anche tessuto cribroso o libro, è il tessuto di conduzione della
linfa elaborata. La soluzione zuccherina viene traslocata da un’area di
produzione, ad esempio la foglia matura, a una regione di utilizzo che richiede
gli zuccheri per la propria crescita (gemme, fiori, frutti, semi) o ad una di
accumulo (radici, fusto, tuberi).
Il movimento è attivo: implica cioè un dispendio energetico. Le pareti cellulari non presentano lignificazione e sono dotate di aree porose rivestite di callosio per permettere la connessione citoplasmatica tra una cellula e l’altra.
Questo fascio conduttore corre parallelamente a quello dello xilema (detto anche legno), il tessuto deputato al trasporto dell’acqua e dei sali minerali.
Il movimento è attivo: implica cioè un dispendio energetico. Le pareti cellulari non presentano lignificazione e sono dotate di aree porose rivestite di callosio per permettere la connessione citoplasmatica tra una cellula e l’altra.
Questo fascio conduttore corre parallelamente a quello dello xilema (detto anche legno), il tessuto deputato al trasporto dell’acqua e dei sali minerali.
2013,
nasce f l o e m a - esplorazioni della parola.
È curioso,
ma casuale, come ci si trovi a 50 anni dalla costituzione del gruppo ’63 e a 20
dallo scioglimento del gruppo 93. Ma non c’è da sperare, o meglio da temere,
che f l o e m a voglia costituirsi come un nuovo gruppo di
alternativa poetico-letteraria, o come una fucina teorico-pratica per il
rinnovamento della scrittura: quantomeno non lo sarà programmaticamente. Ci
troviamo, del resto, in un momento storico in cui le definizioni non reggono: i
«post-», i «neo-» hanno assunto un tono sinistro, per non parlare di
«avanguardia» e «sperimentalismo». Etichette queste che proiettano un’ombra di
nostalgica lontananza, o -anche se non ancora del tutto digerite e sviluppate-
si riducono a una centrifuga vertiginosa che produce stereotipi pronti per
essere usati e consumati: l’inconsapevole debito dell’odierno.
L’anomia caratterizza il nostro presente poetico; l’afasia recettiva e cognitiva il «pubblico della poesia». A fronte di un certo tipo di espressività della parola, è necessario uno sforzo attivo da parte di chi vi entra in contatto, un movimento capace di creare una continua osmosi percettiva e cognitiva. Non è una regola, ma un rapporto tra curiosità e stimoli. E la sua necessità non può giustificare giudizi di incomprensibilità, ermetismo, od oscurità. Perché se da un lato la sperimentazione, soprattutto linguistica, è diventata accademica (come fa notare Biagio Cepollaro qui: http://poesiadafare.wordpress.com/la-ricerca-in-poesia/), dall’altro anche il pubblico e la critica sono andati nei secoli creando la propria ben riconoscibile «accademia» di aggettivi, perifrasi, e reticenze nei giudizi, che tradiscono un pregiudizio anti-intellettualistico in guisa di intellettuale. Questo pregiudizio non è altro che il frutto, in realtà, della paura di abbandonare le proprie certezze di fronte a forme e strutture linguistiche non più mimetiche, che rifiutano di essere soltanto il «rumore di fondo dell’arte», gestibile, acriticamente indolore, ma vogliono essere, invece, un richiamo stentoreo sulla realtà. Rifuggendo la complessità in nome di una docilità mansueta, ci si rifiuta così ogni tentativo di comprendere la contemporaneità, e il godimento estetico che ne deriverebbe.
L’anomia caratterizza il nostro presente poetico; l’afasia recettiva e cognitiva il «pubblico della poesia». A fronte di un certo tipo di espressività della parola, è necessario uno sforzo attivo da parte di chi vi entra in contatto, un movimento capace di creare una continua osmosi percettiva e cognitiva. Non è una regola, ma un rapporto tra curiosità e stimoli. E la sua necessità non può giustificare giudizi di incomprensibilità, ermetismo, od oscurità. Perché se da un lato la sperimentazione, soprattutto linguistica, è diventata accademica (come fa notare Biagio Cepollaro qui: http://poesiadafare.wordpress.com/la-ricerca-in-poesia/), dall’altro anche il pubblico e la critica sono andati nei secoli creando la propria ben riconoscibile «accademia» di aggettivi, perifrasi, e reticenze nei giudizi, che tradiscono un pregiudizio anti-intellettualistico in guisa di intellettuale. Questo pregiudizio non è altro che il frutto, in realtà, della paura di abbandonare le proprie certezze di fronte a forme e strutture linguistiche non più mimetiche, che rifiutano di essere soltanto il «rumore di fondo dell’arte», gestibile, acriticamente indolore, ma vogliono essere, invece, un richiamo stentoreo sulla realtà. Rifuggendo la complessità in nome di una docilità mansueta, ci si rifiuta così ogni tentativo di comprendere la contemporaneità, e il godimento estetico che ne deriverebbe.
Certo, il
linguaggio non può essere tutto. Come scrive Biagio Cepollaro, “oggi lo
possiamo sapere, dopo che le avanguardie, le sperimentazioni linguistiche, le
sperimentazioni che si sono concentrate sul linguaggio, sono diventate
accademiche” (op.cit.). Complessità e sperimentalità non equivalgono
necessariamente alla complicazione e alla sperimentazione – sintattica o
semantica – del linguaggio. Allo stesso modo, però, come è necessario
discostarsi dalla sperimentazione linguistica come accademia, è altrettanto
auspicabile evitare quello che parrebbe, apparentemente, il suo opposto: la
sempre più diffusa tendenza a semplificare la scrittura, tornando a forme di
intimismo e lirismo che sembrano ignorare completamente il dato odierno della
complessità. In questo caso, il problema è che semplice non sempre (quasi mai?)
è sinonimo di comunicativo. Stiamo parlando di scrittura poetica:
tra le sue funzioni non vi è solo il «dire» inteso come trasmissione di un
pensiero personale sulla realtà. La poesia è eccedente rispetto al linguaggio
ordinario: e nella sua eccedenza c’è, soprattutto, il compito di evocare,
suggerire un percorso, tradurre il reale affinché la
meraviglia non si esaurisca, non solo alla prima lettura di un testo, ma
potenzialmente, mai. La poesia, nelle parole di Edoardo Cacciatore,
“è intensificazione della realtà, introduce in essa una vibrazione
intellettuale, è come un frammento di realtà di cui vuole rendere l’esperienza
e il calore, che il poeta assorbe ed emana attraverso il testo”.
Abbiamo
scelto il nome f l o e m a perché ci piaceva!
Foneticamente ricorda la fluidità, lo scorrere e il poema.
Concettualmente: “Il movimento è attivo: implica cioè un dispendio energetico.”, “Le pareti cellulari non presentano lignificazione e sono dotate di aree porose…”
Foneticamente ricorda la fluidità, lo scorrere e il poema.
Concettualmente: “Il movimento è attivo: implica cioè un dispendio energetico.”, “Le pareti cellulari non presentano lignificazione e sono dotate di aree porose…”
Come
anticipato in apertura f l o e m a non si propone
di istituire un gruppo antagonista a qualcosa o qualcuno, ma ospiterà (per
gusto e per orientamento editoriale), un certo tipo di poesia e di scrittura,
che possa mostrare come l’esplorazione della parola e del processo sulla parola
siano elementi decisivi, anche se non unanimemente riconosciuti, della ricerca
e dello sviluppo in letteratura.
Sarà dato spazio ad autori viventi che con i loro testi riescano a restituire le diverse gradazioni di ciò che si intende per scrittura di ricerca o sperimentale. Non ci saranno esclusioni di colpi, l’esplorazione della parola sarà abbracciata nelle sue forme più complesse, fino alle declinazioni iperveriste dell’impersonalità. Vi saranno anche approfondimenti critici sull’argomento o sui singoli autori.
La scelta sarà, per quanto possibile, a maglie larghe nell’ambito della complessità; e per complessità intendiamo multiformità nel dispiegamento e nella ricezione del testo, dove l’uso della visione narcisistica di un “io” logoro e autologorato è da considerarsi quanto meno sorpassato. Edoardo Cacciatore parla del principio di indeterminazione di Heisenberg per la poesia, ed è un principio che nell’ambito della musica colta (contemporanea) è risultato irreversibile dopo Schönberg: non è più possibile tornare al tonalismo, se non per ovvi motivi di citazione o interpolazione espressiva; allo stesso modo, per la poesia, non è più possibile tornare al lirismo di matrice ottocentesca, allo spazio euclideo del racconto, né alle parole in libertà, ma, soprattutto, ci risulta anacronistica la poesia della domestica interiore, col suo ammiccamento alla condivisione di stato e con l’attuazione di forme di scrittura piatte, che vorrebbero essere espressione dell’afasia contemporanea.
Sarà dato spazio ad autori viventi che con i loro testi riescano a restituire le diverse gradazioni di ciò che si intende per scrittura di ricerca o sperimentale. Non ci saranno esclusioni di colpi, l’esplorazione della parola sarà abbracciata nelle sue forme più complesse, fino alle declinazioni iperveriste dell’impersonalità. Vi saranno anche approfondimenti critici sull’argomento o sui singoli autori.
La scelta sarà, per quanto possibile, a maglie larghe nell’ambito della complessità; e per complessità intendiamo multiformità nel dispiegamento e nella ricezione del testo, dove l’uso della visione narcisistica di un “io” logoro e autologorato è da considerarsi quanto meno sorpassato. Edoardo Cacciatore parla del principio di indeterminazione di Heisenberg per la poesia, ed è un principio che nell’ambito della musica colta (contemporanea) è risultato irreversibile dopo Schönberg: non è più possibile tornare al tonalismo, se non per ovvi motivi di citazione o interpolazione espressiva; allo stesso modo, per la poesia, non è più possibile tornare al lirismo di matrice ottocentesca, allo spazio euclideo del racconto, né alle parole in libertà, ma, soprattutto, ci risulta anacronistica la poesia della domestica interiore, col suo ammiccamento alla condivisione di stato e con l’attuazione di forme di scrittura piatte, che vorrebbero essere espressione dell’afasia contemporanea.
In
conclusione, citiamo volentieri Marco Giovenale, per considerare una sfumatura
più interessante di domus-domestico: “L’incontro con
il testo, sostengo, avviene o dovrebbe avvenire semmai in modo non diverso
dall’incontro con un luogo, un ambiente non noto (…) Banalizzo: non sono le
stesse [domande] che si poneva, a inizio Novecento, chi non “capiva” l’arte
astratta? Invece di ambientarsi nel testo grafico, voleva “capirlo”. Non
si tratta di classificare case, si tratta di entrarci.” (http://slowforward.wordpress.com/2012/09/29/riambientarsi-ma-anche-difendersi/)
All’interno di f
l o e m a troveremo anche xilema, che
non sarà una vera e propria sezione, ma una parola chiave abbinata ad articoli
dedicati a quegli autori dei quali si sono perse le tracce (viventi e non,
anche molto distanti nel tempo), che a torto sono stati dimenticati dai più, o
a quella parte di produzione di un autore che è stata più vicina alla
sperimentazione. Una sorta di spazio retrospettivo.
Con questa
immagine vogliamo chiudere la riflessione su scrittura e ricezione. Con molta
probabilità gran parte di noi percepirà questo disegno come l’immagine di un
triangolo e con altrettanta probabilità un soggetto autistico la descriverà
come tre porzioni di cerchio o tre pac-man. Bene, paradossalmente,
colui che scrive può essere considerato il soggetto autistico, con tutte le sue
monomanie percettive, stereotipie e rituali, veicolate nel codice
scrittura/opera, mentre chi legge/fruisce dovrebbe ricostruire (con ampia
libertà e con più o meno sforzo), tutti i lati del triangolo. Che la poesia sia
dunque una forma figurata di autismo?
Daniele Poletti, Pierfrancesco Biasetti
Pubblicato
in floema,poesia,sperimentazione,xilema
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VIVA LA POESIA!
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