Il carro funebre per Vittorio Casamonica detto "lo Zio" ( Roma, 2015) |
Giuseppe Genco Russo ai funerali di Calogero Vizzini detto don Calò (Villalba 1954)
Sul
finire del 2015, “narcomafie”, la rivista del “Gruppo Abele” pubblicò un
articolo di Saul Caia, che – partendo dall'allora recente e chiacchieratissimo
funerale del boss Casamonica – mise in file alcune notizie già note al pubblico
più attento alla materia su esequie e nozze “d'onore” in Italia e in America.
Sebbene ridotto (contiene solo alcune esemplificazioni) e non aggiornato agli
ultimi 3 anni, mi pare ancor oggi un utile promemoria. (S.L.L.)
Esequie e nozze d'onore
Saul Caia
Funerali e matrimoni
sono da sempre, per la malavita, un'occasione per costituire alleanze
o per esternare il proprio potere. Bare di bronzo o placcate in oro,
carrozze borboniche trainate da cavalli, sfarzose corone di fuori e
bande musicali. Per l'ultimo saluto ai boss della criminalità
organizzata non si bada a spese. E per i matrimoni, tanti scelgono
per testimone un amico politico.
Carrozza nera con
decorazioni dorate trainata da sei cavalli neri e accompagnata da una
banda che suona la colonna sonora de Il Padrino. All'entrata
della chiesa la gigantografia del defunto e uno slogan: “Hai
conquistato Roma, ora conquisterai il paradiso”. Un elicottero
sorvola la zona, cospargendola di petali di rosa.
Potrebbe sembrare solo
una cerimonia funebre troppo fastosa, in un pomeriggio afoso di
agosto nella periferia di Roma. Se non fosse che il defunto si
chiamava Vittorio, di cognome Casamonica, per tutti “lo Zio”,
considerato il capo indiscusso dell'omonimo clan. Tanto clamore, ma
quello del clan d'origine sinti non è il primo caso in cui la Chiesa
è direttamente o indirettamente coinvolta con uomini d'onore e
criminali, sia in Italia sia all'estero.
Le organizzazioni
criminali manifestano una forte devozione e fanno un largo uso di
rituali con santi e Madonne. Molti riti di iniziazione prevedono
l'utilizzodi santini: la ’ndrangheta usa quello di San Michele
Arcangelo, la camorra quello della Madonna di Pompei. Gli uomini
d’onore sfoggiano vistosi crocifissi e rosari, si tatuano immagini
sacre, s’incontrano in luoghi di culto. Il Santuario della Madonna
di Polsi, del comune di San Luca, in provincia di Reggio Calabria, è
stato meta di pellegrinaggio dei boss della ’ndrangheta in
occasione della festa. La famiglia Santapaola e numerosi suoi
affiliati facevano parte della candelora del circolo Sant’Agata,
protettrice della città di Catania. E la cronaca degli ultimi anni
ha posto l’accento sulle processioni e gli inchini delle statue di
fronte alle case dei boss. Come nelle dinastie reali, da sempre le
mafie stringono accordi attraverso matrimoni e omaggiano i propri
defunti con fastosi funerali.
Riposa
in pace.
Le esequie di Vittorio
Casamonica hanno fatto riemergere vecchi ricordi. Come quelli che
portano la data del 1962, anno in cui a Napoli fu celebrato il
funerale di Lucky Luciano. Il padrino, originario di Lercara Friddi,
piccolo comune palermitano, era emigrato giovanissimo negli States
per poi esserne espulso nel ‘46 per le sue attività criminali. Il
giorno dell’estremo saluto, lo sfarzoso carro funebre con
decorazioni borboniche in oro, rigorosamente nero e trainato da otto
cavalli dello stesso colore, attraversò il quartiere partenopeo per
giungere prima alla chiesa della Trinità e poi al cimitero inglese.
Il carro funebre aveva trasportato in passato anche un altro uomo
d’onore, il camorrista Giuseppe Navarra, meglio conosciuto come ‘il
Re di Poggioreale’.
Più recentemente, nel
luglio del 2010 ha destato scalpore la messa dedicata in Sicilia ad
Agostino Cuntrera, boss e noto trafficante di droga, originario di
Siculiana ed emigrato in Canada dove era entrato in stretti rapporti
con la famiglia dei Rizzuto. Quando il ‘Signore di Saint Léonard’
(come lo avevano ribattezzato i quotidiani canadesi) fu ucciso a
Montreal, padre Leopoldo Argento celebrò una funzione riservata ai
parenti del mafioso. “Mai girare le spalle alla fede - disse padre
Leopoldo nel corso dell’omelia - che rappresenta l’unica ancora
di salvezza per l’umanità”.
Con più riservatezza,
invece, è stato celebrato a Catania il funerale di Giuseppe
Ercolano, conosciuto come ‘u Zu Pippo’ o ‘il boss degli
ortofrutticoli’ per le sue attività nel settore. Ercolano era
cognato di Nitto Santapaola, nonché padre di Aldo Ercolano,
esecutore materiale dell’omicidio di Giuseppe Fava, e di Enzo
Erco-lano, imprenditore specializzato nel settore degli autotrasporti
e arrestato recentemente nell’inchiesta Caronte. Nell’afoso
agosto del 2012, alla chiesa di Ognina della città etnea erano
presenti solo i familiari più stretti arrivati con berline e
macchine di lusso. Il feretro era stato trasportato dalla ditta
D’Emanuele, di proprietà di Sebastiano e Natale, cugini di Nitto
Santapaola e coinvolti in diverse inchieste giudiziarie di mafia,
accompagnato da quattro furgoni contenenti corone di fiori, omaggi di
diverse famiglie e amici vicini al clan. “È morto Pippo Ercolano,
grande esempio per la famiglia”, si legge nel necrologio apparso su
La Sicilia, il più diffuso quotidiano nell’isola di proprietà
dell’imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo, che in passato aveva
però negato la pubblicazione del necrologio del commissario di
polizia Beppe Montana ucciso dalla mafia nel 1985.
Onorevoli testimoni.
“È noto ormai a tutti
che sono stato testimone di nozze del Di Cristina, molto prima che in
Sicilia e in Italia si cominciasse a parlare di lotta alla mafia e di
antimafia”. A parlare, correvano gli anni Settanta, è l’onorevole
Graziano Verzotto. Il deputato andreottiano della Dc ammette di
essere stato testimone di nozze di Giuseppe Di Cristina, la ‘tigre
di Riesi’, boss dell’omonima famiglia del comune in provincia di
Calta-nissetta e figlio di don Cicco Di Cristina, uno dei patriarchi
della mafia campieristica al pari di Calogero Vizzini e Genco Russo.
L’altro testimone dello sposo era Giuseppe Pippo Calderone, detto
‘cannarozze d’argento’ per via di una protesi alle corde
vocali, fondatore della prima famiglia di mafia a Catania.
Nell’ottobre del 1977,
nella chiesa del Santissimo Crocifisso di Siculiana, in provincia di
Agrigento, si celebrano le nozze tra Gerlando Caruana, figlio del
capomafia Leonardo, e la giovane Maria Silvana Parisi. Nel
certificato di matrimonio, spicca come testimone dello sposo il nome
di Calogero Mannino, da poco eletto deputato nazionale con la Dc. Lo
stesso Mannino che, nell’agosto 1988, insieme con il suo collega di
partito nonché ex sottosegretario Giuseppe Sinesio, farà da
testimone alle nozze tra Giuseppe Calandrino e Anna Maria Di Maida,
figlia di Vito (il quale aveva Mannino come testimone di nozze) e
nipote di Angelo Ciraulo, ritenuto capomafia di Ravanusa.
E nei registri non
mancano i nomi di politici che sarebbero poi diventati presidenti.
Nel 2000, Totò Cuffaro fa da testimone a Francesco Campanella, già
presidente del consiglio comunale di Villabate e condannato per reati
di mafia. Secondo testimone dello sposo è Clemente Mastella,
politico pluri-partitico e ministro dei governi Berlusconi e Prodi. E
a proposito di presidenti, nel 1983 Raffaele Lombardo è a Niscemi
perché invitato da Salvatore Paternò, figlio del capomafia del
paese, che convoglia a nozze con Renata Rizzo, sorella dell’ex
sindaco democristiano e cognato di Salvatore Giungo, boss della mafia
locale. Il futuro inquilino di Palazzo d’Orléans farà compagnia
sull’altare al boss Giuseppe ‘Piddu’ Madonia, capomafia di
Vallelunga e componente della commissione regionale di Cosa nostra,
oggi all’ergastolo. Il certificato di nozze è presentato nel corso
del processo Iblis, tenutosi a Catania, che ha in seguito portato
alla condanna in primo grado a 6 anni e 8 mesi per concorso esterno
in associazione mafio-sa proprio Lombardo. Anche l’ultimo
presidente della Regione, Rosario Crocetta, è stato testimone di
nozze di un uomo d’onore. “Siamo stati amici d’infanzia,
abitava vicino casa mia, era orfano di madre”, racconta Crocetta
quando parla dell’amico Alessandro Barbieri, conosciuto nel
quartiere Bronx di Gela in cui era cresciuto. Entrambi lavoravano
come dipendenti del polo petrolchimico gelese, e nel 1973 accetta la
richiesta dell’amico di fargli da testimone. “Per circa 15 anni
non l’ho visto, poi è stato arrestato, ha preso una via sbagliata.
Sapere che un amico d'infanzia è diventato un capomafia mi ha
provocato un grande dolore, ma io con lui non ho mai avuto a che
fare”.
Mentre Crocetta da
sindaco di Gela diventa eurodeputato e presidente della Regione,
l'amico Barbieri scala i vertici della mafia gelese, diventando
capomandamento e consuocero di Piddu Madonia.
La partecipazione a un
matrimonio importante val bene la fatica di un viaggio all'estero.
Marcello Dell'Utri, fondatore di Forza Italia con Silvio Berlusconi,
nel 1987 volò a Londra per partecipare alla celebrazione nuziale di
Girolamo Maria Fauci, detto ‘Jimmi', narcotrafficante
internazionale. Tra i commensali ci sono molti amici e parenti dello
sposo, tra cui Francesco Di Carlo, coinvolto nel processo per
l'omicidio del banchiere Roberto Calvi. Capelli corti e ricci,
occhiali da vista tondi, Angelino Alfano ha ventisei anni e da poco è
stato eletto deputato e capogruppo all'assemblea regionale di
Sicilia. Si reca a Palma di Montechiaro per prendere parte al
matrimonio di Gabriella Napoli e Francesco Provenzani. Nel corso dei
festeggiamenti saluta il padre della sposa, Croce Napoli. Il
frammento di quell'immagine è immortalato nel filmino matrimoniale e
pubblicato alcuni anni dopo dal quotidiano “la Repubblica” che
per l'occasione sottolinea che Croce Napoli era anche considerato il
boss di Palma di Montechiaro. Inizialmente Alfano nega di essere
stato al matrimonio, poi davanti l'evidenza corregge il tiro: “Sono
stato invitato dallo sposo, mio conoscente. Non conoscevo la sposa,
men che meno suo padre”.
Riti d'onore
d'Oltreoceano.
Nel novembre 1924, a
Chicago, diecimila persone (tra cui il sindaco, il procuratore di
Stato, il capo della polizia e quello della contea) diedero l'ultimo
saluto a “don Michele”, all'anagrafe Michele Merlo, originario di
Sambusa di Sicilia ed emigrato negli States in cerca di fortuna. E di
fortuna, oltreoceano, Mike ne aveva fatta tanta, arrivando a
controllare il mercato nero degli alcolici durante il periodo
proibizionista. Un'attività che ne fece il potentissimo e rispettato
capo della criminalità della città che presto avrebbe visto la
scalata di Al Capone. Per celebrare don Michele, l'Unione Siciliana,
associazione d'alleanza tra i residenti in Sicilia e quelli emigrati
negli States, donò 30 mila dollari per i fiori e una statua di cera
a grandezza naturale raffigurante il volto del boss. Nel maggio
dell'anno successivo, in centinaia presenziarono ai funerali del suo
successore, Angelo Gemma, alias ‘Bloody Angelo'. Una bara
interamente di bronzo, del peso di 1.200 chilogrammi e del costo di
tremila dollari, fu accompagnata da un corteo di una decina di auto,
con bandiere e striscioni. Stando alle cronache dell'epoca, furono
spesi 75 mila dollari in fiori e tutti i principali boss avevano
inviato un omaggio floreale: i gigli di Al Capone, le peonie di
Giuseppe ‘Diamond Joe' Esposito, i garofani di John Torrio.
Bisognerà attendere
molti anni per rivedere in America una cerimonia simile. Precisamente
l'ottobre del '76 quando morì il
capo dei capi della mafia statunitense, Carlo Gambino, fulminato da
un infarto mentre guardava la partita dei New York Yankees in tv. La
sua salma fu accompagnata da cento macchine e nella chiesa di Saint
John's Cemetery del quartiere del Queens, erano stipate un migliaio
di persone. A Montréal, considerata da molti la patria di Cosa
nostra, in tre anni si sono celebrati in sequenza gli estremi onori
per i Rizzuto, i padrini del Canada. Il primo in ordine cronologico -
il 28 dicembre 2009 - è stato quello di Nick Rizzuto junior, figlio
di Vito e nipote del patriarca Niccolò, sepolto in una bara placcata
in oro e accompagnata da centinaia di amici e parenti. Ma quando a
morire è Niccolò, l'uomo d'onore per eccellenza, emigrato da
Cattolica Eraclea e diventato una delle costole dell'organizzazione
mafiosa dei Bonanno di New York, le spoglie del padrino sono
accompagnate solo dal silenzio nella chiesa di Notre Dame de la
Défense nel quartiere della Little Italy di Montréal. Nel dicembre
2012 si spegne l'ultimo Vito. Settecento persone (scrive il “The
National Post”) vegliano la sua salma nella cappella di famiglia a
St. Léonard. Anche in questo caso, la bara è in oro, accompagnata
in corteo da decine di limousine, ciascuna con una corona. Le
televisioni riprendono l'arrivo dei familiari, mentre agenti in
borghese e uomini dei reparti speciali filmano tutto. Il funerale di
Vito Rizzuto dà la stura al dibattito. Lo scrittore e giornalista
del “The National Post” Adrian Humphreys intervista Monsignor
Incaltalupo che ha celebrato la messa e che rimarca come “la Chiesa
non rifiuta nessuno. Era cristiano e aveva il diritto di avere un
funerale nella Casa di Dio”. Anche il portavoce dell'Arcidiocesi di
Toronto, Neil Mac Carthy glissa: “Un funerale non è una
valutazione della vita di un individuo. È un'opportunità per noi di
pregare per il defunto e la famiglia che ne piange la scomparsa”.
“narcomafie” numero 5
novembre/dicembre 2015 edizioni Gruppo Abele
Pezzo ripreso dal blog di Salvatore Lo Leggio
Pezzo ripreso dal blog di Salvatore Lo Leggio
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