19 febbraio 2019

ESEQUIE E NOZZE D'ONORE


Il carro funebre per Vittorio Casamonica detto "lo Zio" ( Roma, 2015)


Giuseppe Genco Russo ai funerali di Calogero Vizzini detto don Calò (Villalba 1954)

 
Sul finire del 2015, “narcomafie”, la rivista del “Gruppo Abele” pubblicò un articolo di Saul Caia, che – partendo dall'allora recente e chiacchieratissimo funerale del boss Casamonica – mise in file alcune notizie già note al pubblico più attento alla materia su esequie e nozze “d'onore” in Italia e in America. Sebbene ridotto (contiene solo alcune esemplificazioni) e non aggiornato agli ultimi 3 anni, mi pare ancor oggi un utile promemoria. (S.L.L.)

Esequie e nozze d'onore
Saul Caia
Funerali e matrimoni sono da sempre, per la malavita, un'occasione per costituire alleanze o per esternare il proprio potere. Bare di bronzo o placcate in oro, carrozze borboniche trainate da cavalli, sfarzose corone di fuori e bande musicali. Per l'ultimo saluto ai boss della criminalità organizzata non si bada a spese. E per i matrimoni, tanti scelgono per testimone un amico politico.


Carrozza nera con decorazioni dorate trainata da sei cavalli neri e accompagnata da una banda che suona la colonna sonora de Il Padrino. All'entrata della chiesa la gigantografia del defunto e uno slogan: “Hai conquistato Roma, ora conquisterai il paradiso”. Un elicottero sorvola la zona, cospargendola di petali di rosa.
Potrebbe sembrare solo una cerimonia funebre troppo fastosa, in un pomeriggio afoso di agosto nella periferia di Roma. Se non fosse che il defunto si chiamava Vittorio, di cognome Casamonica, per tutti “lo Zio”, considerato il capo indiscusso dell'omonimo clan. Tanto clamore, ma quello del clan d'origine sinti non è il primo caso in cui la Chiesa è direttamente o indirettamente coinvolta con uomini d'onore e criminali, sia in Italia sia all'estero.
Le organizzazioni criminali manifestano una forte devozione e fanno un largo uso di rituali con santi e Madonne. Molti riti di iniziazione prevedono l'utilizzodi santini: la ’ndrangheta usa quello di San Michele Arcangelo, la camorra quello della Madonna di Pompei. Gli uomini d’onore sfoggiano vistosi crocifissi e rosari, si tatuano immagini sacre, s’incontrano in luoghi di culto. Il Santuario della Madonna di Polsi, del comune di San Luca, in provincia di Reggio Calabria, è stato meta di pellegrinaggio dei boss della ’ndrangheta in occasione della festa. La famiglia Santapaola e numerosi suoi affiliati facevano parte della candelora del circolo Sant’Agata, protettrice della città di Catania. E la cronaca degli ultimi anni ha posto l’accento sulle processioni e gli inchini delle statue di fronte alle case dei boss. Come nelle dinastie reali, da sempre le mafie stringono accordi attraverso matrimoni e omaggiano i propri defunti con fastosi funerali.

Riposa in pace.
Le esequie di Vittorio Casamonica hanno fatto riemergere vecchi ricordi. Come quelli che portano la data del 1962, anno in cui a Napoli fu celebrato il funerale di Lucky Luciano. Il padrino, originario di Lercara Friddi, piccolo comune palermitano, era emigrato giovanissimo negli States per poi esserne espulso nel ‘46 per le sue attività criminali. Il giorno dell’estremo saluto, lo sfarzoso carro funebre con decorazioni borboniche in oro, rigorosamente nero e trainato da otto cavalli dello stesso colore, attraversò il quartiere partenopeo per giungere prima alla chiesa della Trinità e poi al cimitero inglese. Il carro funebre aveva trasportato in passato anche un altro uomo d’onore, il camorrista Giuseppe Navarra, meglio conosciuto come ‘il Re di Poggioreale’.
Più recentemente, nel luglio del 2010 ha destato scalpore la messa dedicata in Sicilia ad Agostino Cuntrera, boss e noto trafficante di droga, originario di Siculiana ed emigrato in Canada dove era entrato in stretti rapporti con la famiglia dei Rizzuto. Quando il ‘Signore di Saint Léonard’ (come lo avevano ribattezzato i quotidiani canadesi) fu ucciso a Montreal, padre Leopoldo Argento celebrò una funzione riservata ai parenti del mafioso. “Mai girare le spalle alla fede - disse padre Leopoldo nel corso dell’omelia - che rappresenta l’unica ancora di salvezza per l’umanità”.
Con più riservatezza, invece, è stato celebrato a Catania il funerale di Giuseppe Ercolano, conosciuto come ‘u Zu Pippo’ o ‘il boss degli ortofrutticoli’ per le sue attività nel settore. Ercolano era cognato di Nitto Santapaola, nonché padre di Aldo Ercolano, esecutore materiale dell’omicidio di Giuseppe Fava, e di Enzo Erco-lano, imprenditore specializzato nel settore degli autotrasporti e arrestato recentemente nell’inchiesta Caronte. Nell’afoso agosto del 2012, alla chiesa di Ognina della città etnea erano presenti solo i familiari più stretti arrivati con berline e macchine di lusso. Il feretro era stato trasportato dalla ditta D’Emanuele, di proprietà di Sebastiano e Natale, cugini di Nitto Santapaola e coinvolti in diverse inchieste giudiziarie di mafia, accompagnato da quattro furgoni contenenti corone di fiori, omaggi di diverse famiglie e amici vicini al clan. “È morto Pippo Ercolano, grande esempio per la famiglia”, si legge nel necrologio apparso su La Sicilia, il più diffuso quotidiano nell’isola di proprietà dell’imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo, che in passato aveva però negato la pubblicazione del necrologio del commissario di polizia Beppe Montana ucciso dalla mafia nel 1985.

Onorevoli testimoni.
“È noto ormai a tutti che sono stato testimone di nozze del Di Cristina, molto prima che in Sicilia e in Italia si cominciasse a parlare di lotta alla mafia e di antimafia”. A parlare, correvano gli anni Settanta, è l’onorevole Graziano Verzotto. Il deputato andreottiano della Dc ammette di essere stato testimone di nozze di Giuseppe Di Cristina, la ‘tigre di Riesi’, boss dell’omonima famiglia del comune in provincia di Calta-nissetta e figlio di don Cicco Di Cristina, uno dei patriarchi della mafia campieristica al pari di Calogero Vizzini e Genco Russo. L’altro testimone dello sposo era Giuseppe Pippo Calderone, detto ‘cannarozze d’argento’ per via di una protesi alle corde vocali, fondatore della prima famiglia di mafia a Catania.
Nell’ottobre del 1977, nella chiesa del Santissimo Crocifisso di Siculiana, in provincia di Agrigento, si celebrano le nozze tra Gerlando Caruana, figlio del capomafia Leonardo, e la giovane Maria Silvana Parisi. Nel certificato di matrimonio, spicca come testimone dello sposo il nome di Calogero Mannino, da poco eletto deputato nazionale con la Dc. Lo stesso Mannino che, nell’agosto 1988, insieme con il suo collega di partito nonché ex sottosegretario Giuseppe Sinesio, farà da testimone alle nozze tra Giuseppe Calandrino e Anna Maria Di Maida, figlia di Vito (il quale aveva Mannino come testimone di nozze) e nipote di Angelo Ciraulo, ritenuto capomafia di Ravanusa.
E nei registri non mancano i nomi di politici che sarebbero poi diventati presidenti. Nel 2000, Totò Cuffaro fa da testimone a Francesco Campanella, già presidente del consiglio comunale di Villabate e condannato per reati di mafia. Secondo testimone dello sposo è Clemente Mastella, politico pluri-partitico e ministro dei governi Berlusconi e Prodi. E a proposito di presidenti, nel 1983 Raffaele Lombardo è a Niscemi perché invitato da Salvatore Paternò, figlio del capomafia del paese, che convoglia a nozze con Renata Rizzo, sorella dell’ex sindaco democristiano e cognato di Salvatore Giungo, boss della mafia locale. Il futuro inquilino di Palazzo d’Orléans farà compagnia sull’altare al boss Giuseppe ‘Piddu’ Madonia, capomafia di Vallelunga e componente della commissione regionale di Cosa nostra, oggi all’ergastolo. Il certificato di nozze è presentato nel corso del processo Iblis, tenutosi a Catania, che ha in seguito portato alla condanna in primo grado a 6 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione mafio-sa proprio Lombardo. Anche l’ultimo presidente della Regione, Rosario Crocetta, è stato testimone di nozze di un uomo d’onore. “Siamo stati amici d’infanzia, abitava vicino casa mia, era orfano di madre”, racconta Crocetta quando parla dell’amico Alessandro Barbieri, conosciuto nel quartiere Bronx di Gela in cui era cresciuto. Entrambi lavoravano come dipendenti del polo petrolchimico gelese, e nel 1973 accetta la richiesta dell’amico di fargli da testimone. “Per circa 15 anni non l’ho visto, poi è stato arrestato, ha preso una via sbagliata. Sapere che un amico d'infanzia è diventato un capomafia mi ha provocato un grande dolore, ma io con lui non ho mai avuto a che fare”.
Mentre Crocetta da sindaco di Gela diventa eurodeputato e presidente della Regione, l'amico Barbieri scala i vertici della mafia gelese, diventando capomandamento e consuocero di Piddu Madonia.
La partecipazione a un matrimonio importante val bene la fatica di un viaggio all'estero. Marcello Dell'Utri, fondatore di Forza Italia con Silvio Berlusconi, nel 1987 volò a Londra per partecipare alla celebrazione nuziale di Girolamo Maria Fauci, detto ‘Jimmi', narcotrafficante internazionale. Tra i commensali ci sono molti amici e parenti dello sposo, tra cui Francesco Di Carlo, coinvolto nel processo per l'omicidio del banchiere Roberto Calvi. Capelli corti e ricci, occhiali da vista tondi, Angelino Alfano ha ventisei anni e da poco è stato eletto deputato e capogruppo all'assemblea regionale di Sicilia. Si reca a Palma di Montechiaro per prendere parte al matrimonio di Gabriella Napoli e Francesco Provenzani. Nel corso dei festeggiamenti saluta il padre della sposa, Croce Napoli. Il frammento di quell'immagine è immortalato nel filmino matrimoniale e pubblicato alcuni anni dopo dal quotidiano “la Repubblica” che per l'occasione sottolinea che Croce Napoli era anche considerato il boss di Palma di Montechiaro. Inizialmente Alfano nega di essere stato al matrimonio, poi davanti l'evidenza corregge il tiro: “Sono stato invitato dallo sposo, mio conoscente. Non conoscevo la sposa, men che meno suo padre”.


Riti d'onore d'Oltreoceano.
Nel novembre 1924, a Chicago, diecimila persone (tra cui il sindaco, il procuratore di Stato, il capo della polizia e quello della contea) diedero l'ultimo saluto a “don Michele”, all'anagrafe Michele Merlo, originario di Sambusa di Sicilia ed emigrato negli States in cerca di fortuna. E di fortuna, oltreoceano, Mike ne aveva fatta tanta, arrivando a controllare il mercato nero degli alcolici durante il periodo proibizionista. Un'attività che ne fece il potentissimo e rispettato capo della criminalità della città che presto avrebbe visto la scalata di Al Capone. Per celebrare don Michele, l'Unione Siciliana, associazione d'alleanza tra i residenti in Sicilia e quelli emigrati negli States, donò 30 mila dollari per i fiori e una statua di cera a grandezza naturale raffigurante il volto del boss. Nel maggio dell'anno successivo, in centinaia presenziarono ai funerali del suo successore, Angelo Gemma, alias ‘Bloody Angelo'. Una bara interamente di bronzo, del peso di 1.200 chilogrammi e del costo di tremila dollari, fu accompagnata da un corteo di una decina di auto, con bandiere e striscioni. Stando alle cronache dell'epoca, furono spesi 75 mila dollari in fiori e tutti i principali boss avevano inviato un omaggio floreale: i gigli di Al Capone, le peonie di Giuseppe ‘Diamond Joe' Esposito, i garofani di John Torrio.
Bisognerà attendere molti anni per rivedere in America una cerimonia simile. Precisamente l'ottobre del '76 quando morì il capo dei capi della mafia statunitense, Carlo Gambino, fulminato da un infarto mentre guardava la partita dei New York Yankees in tv. La sua salma fu accompagnata da cento macchine e nella chiesa di Saint John's Cemetery del quartiere del Queens, erano stipate un migliaio di persone. A Montréal, considerata da molti la patria di Cosa nostra, in tre anni si sono celebrati in sequenza gli estremi onori per i Rizzuto, i padrini del Canada. Il primo in ordine cronologico - il 28 dicembre 2009 - è stato quello di Nick Rizzuto junior, figlio di Vito e nipote del patriarca Niccolò, sepolto in una bara placcata in oro e accompagnata da centinaia di amici e parenti. Ma quando a morire è Niccolò, l'uomo d'onore per eccellenza, emigrato da Cattolica Eraclea e diventato una delle costole dell'organizzazione mafiosa dei Bonanno di New York, le spoglie del padrino sono accompagnate solo dal silenzio nella chiesa di Notre Dame de la Défense nel quartiere della Little Italy di Montréal. Nel dicembre 2012 si spegne l'ultimo Vito. Settecento persone (scrive il “The National Post”) vegliano la sua salma nella cappella di famiglia a St. Léonard. Anche in questo caso, la bara è in oro, accompagnata in corteo da decine di limousine, ciascuna con una corona. Le televisioni riprendono l'arrivo dei familiari, mentre agenti in borghese e uomini dei reparti speciali filmano tutto. Il funerale di Vito Rizzuto dà la stura al dibattito. Lo scrittore e giornalista del “The National Post” Adrian Humphreys intervista Monsignor Incaltalupo che ha celebrato la messa e che rimarca come “la Chiesa non rifiuta nessuno. Era cristiano e aveva il diritto di avere un funerale nella Casa di Dio”. Anche il portavoce dell'Arcidiocesi di Toronto, Neil Mac Carthy glissa: “Un funerale non è una valutazione della vita di un individuo. È un'opportunità per noi di pregare per il defunto e la famiglia che ne piange la scomparsa”.

narcomafie” numero 5 novembre/dicembre 2015 edizioni Gruppo Abele

Pezzo ripreso dal blog di Salvatore Lo Leggio  

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