01 febbraio 2019

UNA POETESSA CHE CI MANCA: W. SZYMBORSKA





Il silenzio delle piante: sette anni senza Wisława Szymborska

Sette anni senza Wisława Szymborska, una delle voci più riconoscibili e amate della poesia contemporanea.
Qual è il segreto dell’incanto esercitato dai suoi versi su innumerevoli lettori non solitamente avvezzi a leggere poesia? Qual è il destino della sua opera in un’epoca di consumo estetico bulimico e distratto?
Ne abbiamo parlato con Luigi Marinelli, intellettuale dalla cultura straordinaria e tra i massimi esperti di letteratura polacca contemporanea, a cui ci lega una profonda e affettuosa stima.
Speriamo che la giocosità con cui ci prendiamo in giro in questa conversazione possa essere in armonia con la proverbiale e adorabile ironia szymborskiana.
Qual è il segreto, per te, del successo improvviso,virale della Szymborska in Italia?
Non è stato tanto improvviso… Se ne parlava da anni: il traduttore Pietro Marchesani e l’editore Vanni Scheiwiller avevano capito il “potenziale” di quella poesia già da molto prima, e pensa che la prima tesi di laurea di cui io fui relatore alla Sapienza nel 1994/95 fu proprio su Szymborska. Ne era autrice Federica K. Clementi, che ora insegna in America, e una sua parte (l’intervista intitolata L’indispensabile naturalezza) venne poi pubblicata in appendice all’edizione di lusso Adelphi delle Opere. La successiva moltiplicazione e massificazione è stata dovuta al fatto che la poesia della Signora Wisia parla a ciascuno e, in fondo, di ciascuno, e quindi poteva essere citata, riusata, abusata e reinterpretata in mille modi, il che fa gioco alla cultura “individualistica di massa” odierna. La poesia della Szymborska insomma “piace” anche più della pastina in brodo, a moltissimi e non solo “ad alcuni”, come scrive in una sua famosa poesia. Proprio lei che in Grande numero esaltava l’immaginazione commossa dalla “singolarità”, è diventata un fenomeno mediatico. Ma che ci possiamo fare? E soprattutto che ci poteva fare la Szymborska che era una fra le persone più schive, riservate e perfino chiuse che abbia mai conosciuto?
Come inviteresti un lettore ignaro della sua opera a scoprirla?
Mi è capitato in passato di inviare per posta (anche prima delle e-mail) una poesia di Szymborska che si “adattava” e magari “spiegava” con parole migliori e più chiare (o se preferisci: “chiare, fresche e dolci”)  qualche situazione specifica, altrimenti difficile da dire. Per quanto riguarda l’innamoramento, ad esempio, forse non c’è poesia che lo racconti meglio di Amore a prima vista, che per l’appunto “spiega” come l’amore (e tutto il resto delle nostre vite) nasca soprattutto dal caso. E, guarda caso, il caso è il tema principale della poesia di Wisława Szymborska. Da qualche parte mi pare di aver scritto che a lei sarebbe piaciuto molto notare che in italiano caso e caos sono anagrammi l’uno dell’altro, perché il caso è caotico e democratico, e non guarda in faccia nessuno. E come ha scritto giustamente Alfonso Berardinelli, i giochi di parole in lei non sono mai separati da giochi di idee e di immagini. Sia quella che l’altra grande poesia sul caso (che molti citano erroneamente come una poesia d’amore per via degli ultimi due versi, ormai famosissimi: “Ascolta / come mi batte forte il tuo cuore”) sono grandi lezioni di vita per tutti e per ciascuno. E a me piace molto che quell’invito: “Ascolta” sia un verso a se stante, il penultimo, della poesia Ogni caso. La poesia della Szymborska è infatti una poesia dell’ascolto, che si rivolge sempre e dialoga con un “tu” che è (dentro e fuori) ciascuno di noi: lei parla sempre con qualcuno (non per qualcuno), non c’è assolutamente nessun moralismo in lei, per questo la presenza dell’io lirico in questa poesia è praticamente irrilevante. Inviterei quindi il lettore ignaro a scoprire la Szymborska dicendogli: ascoltala, se per caso t’interessa ascoltare come il tuo cuore può battere forte in un altro e uscire un po’ da quel tuo piccolo io di merda (come avrebbe detto il personaggio dello “zio” ne I topi di quell’altro genio, a mio parere szymborskiano al massimo con la sua leggerissima, cosmica malinconia, che è il nostro Antonio Albanese).
Quali sono le 5 poesie che indicheresti in una microantologia come le più significative e perché?
Ovviamente sono il meno adatto a rispondere a una domanda (del cavolo) come questa, visto che a me – con rarissime eccezioni – le poesie della Szymborska piacciono quasi tutte… ma visto che non è il caso qui di fare i choosy e gli snob, in questo giochetto al massacro direi:
Il cielo, perché è una disperata e incantata meditazione sull’esistenza, vista dall’alto e dal basso in tutte le sue manifestazioni, come una totalità;
Il silenzio delle piante, perché appunto non è detto che chi non ha voce, come le piante o perfino un granello di sabbia, non sia un essere con una sua propria vita e sua propria storia, come ciascuno di noi;
Scrivere il curriculum, perché è un invito a saper distinguere le nostre vite pubbliche e sociali (tanto più oggi nel mondo delle “pose” di facebook e instagram) da tutto ciò che realmente e quotidianamente si vive, dalla verità delle e sulle nostre vite;
Gatto in un appartamento vuoto, perché è una riflessione sul tema antichissimo di amore e morte fra le più dolorose e le più lievi che siano mai state concepite;
Fotografia dell’11 settembre, perché è un terribile atto di accusa sulla (ferocia della) storia che si trasforma in un atto di memoria e di profonda compassione per le sue vittime.
Qual è l’elemento peculiare, unico, irriducibile dell’identità poetica, cosa rende la sua voce riconoscibile?
Un grande poeta è sempre riconoscibile, come un musicista. Credo che il lavoro diuturno (e soprattutto notturno) della Szymborska sulle sue poesie (che buttava via, riscriveva, limava e rifaceva a volte per anni) fosse proprio per arrivare a quel tipo di semplice riconoscibilità: ci sono anche tratti ripetitivi nella sua poetica che però non guastano (il rapporto fra arte, e in questo caso, poesia e ripetizione è uno dei temi più affascinanti da sempre per chi si occupa di queste cose). Direi comunque che l’elemento irriducibile dell’identità poetica della Szymborska è ossimoricamente e paradossalmente (involontariamente?) zen: vedi la voce “Zen” del libro Szymborska: un alfabeto del mondo, che nel 2016 pubblicai per l’editore Donzelli coi miei due cari amici e colleghi Andrea Ceccherelli e Marcello Piacentini): un incantato disincanto sulla realtà; un pessimismo integrale che si rovescia in uno stupore gioioso per la “fiera dei miracoli” della vita; una piena e matura consapevolezza dell’impermanenza e del nulla cosmico che – proprio come nella poesia *** (Il nulla si è rivoltato anche per me…), una delle sue pochissime senza titolo – puòcapovolgersi in una pienezza assoluta, dove trovano il giusto posto i requisiti (apparentemente) più banali della poesia e della realtà: l’amore, un grillo, un filo d’erba, il sole, una goccia di rugiada, il vento e una nuvola…”E davvero non vedo in questo nulla di ordinario” – finisce quella poesia: e ce ne fossero di poeti che riescono a scrivere versi così semplici e comprensibili a tutti, eppure così profondi!
Ci sono altri poeti, non solo polacchi, a cui in qualche modo la accosteresti per sensibilità o dono musicale?
La poesia contemporanea è un ginepraio. E spesso purtroppo anche una noia mortale… Per i suoi primi tre anni sono stato nella giuria del Premio Szymborska a Cracovia (finanziato coi soldi del Premio Nobel lasciati TUTTI in eredità alla Fondazione che la Signora Wisława nel suo testamento volle costituire per la poesia, i giovani poeti e la traduzione poetica) e, fra le centinaia di volumetti letti allora, non trovai voci paragonabili alla sua. Fra gli italiani viventi c’è un poeta che ho scoperto da poco e che, pur essendo da lei diversissimo – fatti tutti i dovutissimi distinguo – me la ricorda un po’, ed è Nicola Gardini: non ha paura delle rime, delle parole semplici e della comprensibilità, e, nella poesia italiana dopo Sandro Penna, queste caratteristiche possono essere considerate quasi forme di eroismo. C’è poi la mia amica Antonella Anedda che mi piace sempre di più da quando ha cominciato a semplificare szymborskianamente la propria dizione, forse perché, di fatto, si autotraduce sempre più spesso dal sardo che è la sua prima lingua senti/mentale e che è una lingua che credopoco tolleri intellettualismi di sorta. Fra gli italiani morti, mi pare che abbia visto giusto Roberto Galaverni sottolineando una forte affinità con l’ultimo Montale, basti pensare a una poesia come questa, della raccolta Xenia, che sembra dire cose molto simili a quelle del celeberrimo Gatto in un appartamento vuoto, o – alla rovescia – quelle di Amore a prima vista, pur essendo qui l’io lirico assai più presente, come da tradizione petrarchista italiana:

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Pensi che il valore della sua poesia abbia resistito a una diffusione così improvvisa, di massa? Le sue poesie mantengono il loro aspetto misterioso, intatto, poetico, nonostante l’uso da Baci Perugina che se ne fa?

Come per tutti i classici, la poesia della Szymborska ha dalla sua il fatto che ogni volta che la leggi ci trovi qualcosa di nuovo. Quindi resterà. E poi cos’hai contro i Baci Perugina? Sono buonissimi, ci hanno messo dentro perfino le frasi d’amore del mio idolo Tiziano Ferro, e mia mamma subito dopo la guerra lavorò da operaia alla fabbrica dei Baci: “l’inimmaginabile è immaginabile”.

Articolo ripreso da  http://www.minimaetmoralia.it/

Nessun commento:

Posta un commento