A 40 anni dalla morte,
un convegno ha ricordato la figura e l'opera di Lelio Basso,
intellettuale e militante politico anomalo della sinistra italiana.
Franco Ippolito
Lelio Basso, un
marxista eretico
Ha ragione Luciana
Castellina nel sottolineare che gli anniversari suggeriscono intrecci
significativi. Il 15 gennaio, nella ricorrenza dell’assassinio di
Rosa Luxemburg si è svolto uno stimolante convegno per ricordare
Lelio Basso, che fece scoprire alla sinistra italiana la
straordinaria fecondità del pensiero della rivoluzionaria polacca,
critica di Bernstein e di Lenin.
Il convegno ha preso spunto dal pensiero di Basso per tematizzarne l’attualità per la riflessione su grandi questioni di oggi. Temi come la crisi della democrazia, le crescenti diseguaglianze prodotte dal liberismo, il ruolo della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, la protervia del poteri economici e finanziari rispetto alle istanze democratiche, l’ecclissi dei diritti umani nell’epoca dei populismi e dei nuovi sovranismi, sono emersi dalla storia di Basso per farsi elementi vivi di analisi degli sconvolgimenti che percorrono il mondo.
Basso fu un politico anomalo nella sinistra italiana, un marxista eretico, critico verso il Pci ma senza venature di anticomunismo. Intellettuale inquieto e colto, dirigente politico alla ricerca continua di nuovi strumenti per la liberazione della classe lavoratrice e dei popoli dal dominio del capitalismo, appassionato di storia del movimento operaio europeo, alla cui ricostruzione dedicò energie e risorse.
L’attitudine allo
studio e alla ricerca fu sua caratteristica specifica. Fu politico
militante, ma anche e soprattutto marxista impegnato
nell’approfondimento teorico dei processi di sviluppo. «La sua
attenzione fu rivolta in gran parte alla riflessione sui fondamenti
del marxismo, di un marxismo liberato dalle incrostazioni della
lettura marxista-leninista e non vincolato a nessuna scolastica, ma
aperto a tutti gli arricchimenti che potevano provenire da
un’applicazione feconda dei principi e del metodo di Marx
nell’analisi della odierna società capitalistica» (Enzo
Collotti).
Per lui la
rivoluzione non era la presa del potere, ma un processo di
trasformazione che inizia nella fase della transizione. Si spiega
così l’importanza che egli assegnava al diritto e
all’organizzazione giuridica dello Stato, che riteneva utilizzabili
ai fini della trasformazione della società e, contestualmente, alla
valorizzazione del diritto come strumento di trasformazione
dell’esistente. Per Basso, a differenza della vulgata marxista
corrente, il diritto non è sovrastruttura e non va inteso come
espressione statica e chiusa di rapporti fissi e immutabili: la lotta
di classe è lotta politica, modifica ogni giorno questi rapporti e
incide sull’ordinamento giuridico.
All0impegno politico
quotidiano accompagnava la rilettura dei classici per avere
sollecitazioni e spunti per fondare nuove esperienze e ipotesi
interpretative. E ai ripetuti rilievi sull’assenza in Marx di una
teoria dello Stato, Basso rispondeva a Norberto Bobbio che a Marx non
interessava dare ricette per l’avvenire, ma descrivere una teoria
di un processo e «questa ce l’ha data come poteva darcela uno che
era uno studioso e non un indovino».
L’esperienza politica di Basso fu segnata da straordinario successo in sede di Assemblea costituente, di cui fu uno dei grandi protagonisti. Reca la sua impronta l’art. 49 della Costituzione sulla centralità dei cittadini associati in partiti per concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale.
Ma il suo capolavoro
istituzionale (la qualificazione è di Stefano Rodotà) fu la
formulazione del secondo comma dell’art. 3, di cui andava
giustamente fiero, dal momento che il principio di uguaglianza
sostanziale, lì formulato, costituisce l’apporto più originale
dato dal nostro Paese al costituzionalismo mondiale.
Dall’esperienza
partitica Basso derivò anche delusioni, tanto da maturare la
convinzione che riflessione e ricerca culturale sui temi di fondo
della società e della democrazia non si potevano svolgere nella
quotidianità politica. L’impegno politico per Basso è
inseparabile dall’impegno culturale. Chi «vuol cambiare questa
società non può limitarsi a fare politica alla Camera, nei comitati
centrali o nei comizi», deve cercare di cambiare mentalità, di
scoprire nuovi valori.
De qui la sua decisione
di dare vita a un centro di attività culturale dove poter svolgere
un lavoro coerente di studio e di preparazione. Riflessione, ricerca,
confronto fuori della quotidianità politica, per elaborare una buona
cultura che è il fondamento della buona politica. È questo il senso
della Fondazione Basso da lui istituita, un laboratorio culturale, in
cui la tensione verso l’utopia concreta è saldamente ancorata
all’analisi della realtà, un luogo di riflessione e di
elaborazione, aperto a tutte le componenti della sinistra.
Fedele al suo impegno di concretezza, Basso elaborò anche una compiuta teorizzazione dei diritti dei popoli senza i quali i diritti delle singole persone si riducono a proclamazioni astratte e li fece approvare, come Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, dalla Conferenza di Algeri del 4 luglio 1976. Per dar voce a quei diritti, concepì il Tribunale Permanente dei Popoli, che da quasi 40 anni continua a dar voce alle tante vittime dei poteri pubblici e privati, contro l’inerzia e l’indifferenza del sistema internazionale.
Il Manifesto – 19 gennaio 2019
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