25 febbraio 2019

LA RICERCA DI GRAMSCI IN CARCERE






Di seguito potete leggere la lettera del 19 marzo 1927 inviata da Gramsci a Tatiana Schucht, dal carcere di San Vittore di Milano, in cui il sardo espone  il suo piano di lavoro «für ewig» ("per l'eternità").


Carissima Tania,
ho ricevuto in questa settimana due tue cartoline; una del 9 e l’altra dell’ 11 marzo: non ho invece ricevuto la lettera alla quale accenni. Credevo di ricevere la corrispondenza tua, trasmessa da Ustica: mi è infatti giunto un pacco di libri dall’isola e lo scrivanello che me li consegnò mi disse
che nel pacco erano contenute anche delle lettere chiuse e delle cartoline che dovevano ancora passare all’ufficio di revisione; spero di riceverle tra giorni.
Ti ringrazio delle notizie che mi mandi su Giulia e sui bambini; non riesco a scrivere direttamente a Giulia, nell’attesa di ricevere qualche sua lettera anche molto arretrata. Immagino le sue condizioni di spirito, oltre a quelle fisiche, per tutto un complesso di ragioni; questa malattia deve essere stata molto angosciosa. Povero Delio; dalla scarlattina alla grippe, in cosí breve tempo!
Scrivi tu a nonna Lula, e pregala che mi scriva una lunga lettera, in italiano o in francese, come può (del resto tu potresti mandarmi la sola traduzione), e mi descriva, proprio per benino, la vita dei bambini. Mi sono proprio persuaso che le nonne sanno meglio delle mamme descrivere i bambini e
i loro movimenti, in modo reale e concreto; sono piú oggettive, e poi hanno l’esperienza di tutto uno sviluppo vitale; mi pare che la tenerezza delle nonne sia piú sostanziosa di quella delle mamme (Giulia non deve però offendersi e ritenermi più cattivo di quello che sono!)
Non so proprio suggerirti nulla per Giuliano; su questo terreno ho già fallito una volta con Delio. Forse io stesso saprei fabbricargli qualche cosa di conveniente, se potessi essergli vicino. Fa tu, secondo il tuo gusto, e scegli qualche cosa a mio nome. Ho fabbricato in questi giorni una palla
di cartapesta, che sta finendo di asciugare; penso che sarà impossibile di inviartela per Delio; d’altronde non sono ancora riuscito a pensare al modo di verniciarla e senza vernice si disfarebbe facilmente per l’umidità.
La mia vita trascorre sempre ugualmente monotona. Anche lo studiare è molto piú difficile di quanto non sembrerebbe. Ho ricevuto qualche libro e in verità leggo molto (piú di un volume al giorno, oltre i giornali), ma non è a questo che mi riferisco; intendo altro. Sono assillato (è questo fenomeno proprio dei carcerati, penso) da questa idea: che bisognerebbe far qualcosa «für ewig», secondo una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver tormentato molto il nostro Pascoli.
Insomma, vorrei, secondo un piano prestabilito, occuparmi intensamente e sistematicamente di qualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse la mia vita interiore. Ho pensato a quattro soggetti finora, e già questo è un indice che non riesco a raccogliermi, e cioè:
1° una ricerca sulla formazione dello spirito pubblico in Italia nel secolo scorso; in altre parole, una ricerca sugli intellettuali italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti della cultura, i loro diversi modi di pensare ecc. ecc. Argomento suggestivo in sommo grado, che io naturalmente potrei solo abbozzare nelle grandi linee, data l’assoluta impossibilità di avere a disposizione l’immensa mole di materiale che sarebbe necessaria. Ricordi il rapidissimo e superficialissimo mio
scritto sull’Italia meridionale e sulla importanza di B. Croce?. Ebbene, vorrei svolgere ampiamente la tesi che avevo allora abbozzato, da un punto di vista «disinteressato», «für ewig».
— 2° Uno studio di linguistica comparata! Niente meno. Ma che cosa potrebbe essere piú «disinteressato» e für ewig di ciò? Si tratterebbe, naturalmente, di trattare solo la parte metodologica e puramente
teorica dell’argomento, che non è stata mai trattata completamente e sistematicamente dal nuovo punto di vista dei neolinguisti contro i neogrammatici. (Ti farò orripilare, cara Tania, con questa mia lettera!). Uno dei maggiori «rimorsi» intellettuali della mia vita è il dolore profondo che ho procurato al mio buon professor Bartoli dell’Università di Torino il quale era persuaso essere io l’arcangelo destinato a profligare definitivamente i «neogrammatici», poiché egli, della stessa generazione e legato da milioni di fili accademici a questa geldra di infamissimi uomini, non voleva andare, nelle sue enunciazioni, oltre un certo limite fissato dalle convenienze e dalla deferenza ai vecchi monumenti funerari dell’erudizione.
— 3° Uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato e ha contribuito a
determinare. Sai che io, molto prima di Adriano Tilgher, ho scoperto e ho contribuito a popolarizzare il teatro di Pirandello? Ho scritto sul Pirandello, dal 1915 al 1920, tanto da mettere insieme un volumetto di 200 pagine e allora le mie affermazioni erano originali e senza esempio: il Pirandello era o sopportato amabilmente o apertamente deriso.
— 4° Un saggio sui romanzi di appendice e il gusto popolare in letteratura. L’idea m’è venuta leggendo la notizia della morte di Serafino Renzi, capocomico di una compagnia di drammi da arena, riflesso teatrale dei romanzi d’appendice, e ricordando quanto io mi sia divertito le volte che sono andato ad ascoltarlo, perché la rappresentazione era doppia: l’ansia, le passioni scatenate, l’intervento del pubblico popolare non era certo la rappresentazione meno interessante.
Che te ne pare di tutto ciò? In fondo, a chi bene osservi, tra questi quattro argomenti esiste omogeneità: lo spirito popolare creativo, nelle sue diverse fasi e gradi di sviluppo, è alla base di essi in misura uguale. Scrivimi le tue impressioni; io ho molta fiducia nel tuo buon senso e nella fondatezza dei tuoi giudizi. Ti ho annoiato? Sai, lo scrivere surroga le conversazioni per me: mi pare veramente di parlarti quando ti scrivo; solo che tutto si riduce a un monologo, perché le tue lettere o non mi arrivano o non corrispondono alla conversazione intrapresa. Perciò scrivimi, e a lungo, delle lettere, oltre che le cartoline; io ti scriverò una lettera ogni sabato (ne posso scrivere
due alla settimana) e mi sfogherò. Non riprendo la narrazione delle mie vicende e impressioni di viaggio, perché non so se ti interessano; certo esse hanno un valore personale per me, in quanto sono legate a determinati stati d’animo e anche a determinate sofferenze; per renderle interessanti
agli altri forse sarebbe necessario esporle in forma letteraria; ma io devo scrivere di botto, nel poco tempo in cui mi vengono lasciati il calamaio e la penna. A proposito — la pianticella di limone
continua a crescere? non me ne hai piú accennato. E la mia padrona di casa come sta, o è morta? Mi sono sempre dimenticato di chiedertelo. Ai primi di gennaio ricevetti ad Ustica una lettera del sig. Passarge che era disperato e credeva alla prossima morte della signora, poi non seppi piú nulla.
Povera signora, temo che la scena del mio arresto abbia contribuito ad accelerare il suo male, poiché mi voleva bene ed era cosí pallida quando mi portarono via.
Ti abbraccio, cara, voglimi bene e scrivimi.
Antonio

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