27 febbraio 2019

PUNTO E VIRGOLA




Linguistica. La difficile arte del puntar gli scritti 

Lorenzo Tomasin


Quanta attenzione per la punteggiatura! A lungo trascurata dalla tradizione normativa (molte delle grammatiche anche più esigenti le dedicavano solo qualche cenno elusivo e spesso impreciso e contraddittorio), l’arte del puntar gli scritti - come la chiamavano già nel Rinascimento i primi, semisconosciuti teorici - è tornata in Italia ad attrarre l’attenzione da più punti di vista. Lo suggerisce l’apparizione in pochi mesi di almeno tre volumi dedicati a temi su cui anche in tempi di diluvio bibliografico si era prodotto finora assai poco. Tre libri molto diversi, per pubblici piuttosto variegati. Il volume di Leonardo G. Luccone, traduttore ed agente letterario (Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto, Laterza), è il tipico rappresentante d’un filone di manuali di scrittura rivolti a un lettore desideroso di trarre esempi esempi edificanti dalla visitazione di modelli narrativi, accompagnato da una sorta di brillante guida turistica; quello di Paola Baratter (Il punto e virgola. Storia e usi di un segno, Carocci - un intero se pur snello volume dedicato tutto al punto e virgola!) fa tesoro di una sapiente esperienza scolastica e di un accurato scrutinio storico per tracciare la parabola vitale di un segno interpuntivo considerato - forse a torto - moribondo («non si può considerare il punto e virgola in via di estinzione»); quello di un gruppo di studio basato in Svizzera e diretto dalla linguista Angela Ferrari Letizia Lalaetal (La punteggiatura italiana contemporanea. Un'analisi comunicativo- testuale, Carocci) è invece la sintesi d’un ampio e solido progetto di ricerca avviato ormai da anni, che ha fatto della punteggiatura italiana contemporanea uno dei sistemi interpuntivi meglio studiati e meglio teoricamente inquadrati tra quelli delle grandi lingue di cultura, che di fatto rispondono a logiche solo in parte comuni.
Il vademecum di Luccone è dei tre il meno scientificamente ferrato, e sembra dialogare, in un tono d’esibita brillantezza, con aspiranti scrittori alle prese con la revisione del loro testo o con copywriter a caccia di una soluzione originale: di fatto, vi è sottesa un’idea della punteggiatura piuttosto convenzionale, se pur esposta con il piglio dell’editor e del creativo più che con lo specillo del linguista. Il viaggio di Baratter nella storia del punto e virgola (che di fatto inizia con Pietro Bembo e con l’idea di conferire un uso ben codificato al segno che nella grafia greca corrisponde al punto interrogativo) passa in rassegna i modi in cui questo elemento per sua natura intermedio - tra il punto e la virgola - è stato descritto dai grammatici del passato, e dei modi in cui l’hanno usato gli autori letterari, soprattutto durante il Novecento. Ma siamo sempre sicuri che l’uso della punteggiatura sia da attribuire a loro e non, come spesso sarà capitato, alle invadenti pratiche degli editor, capaci spesso di rifare la punteggiatura, e non solo quella, a interi volumi di scrittori anche insigni?
Idea centrale degli studi di Ferrari e dei suoi collaboratori - esperti di una branca oggi particolarmente vivace e propositiva, la linguistica testuale - è che la ratio della punteggiatura italiana vada cercata nelle intenzioni comunicative di chi scrive, non tanto o non solo (come molti pensano) nella delimitazione di strutture sintattiche, che pure spesso la orientano, o in istruzioni per la lettura o addirittura per la respirazione. La punteggiatura italiana contemporanea non è un’espressiva nota di regia: essa articola il testo nelle sue unità semantico-testuali, le gerarchizza. Ha insomma una funzione spesso simile a quella di una matita che sottolinei, o d’altra punta che evidenzi.
In questo senso quella italiana funziona abbastanza diversamente da altre interpunzioni, come ad esempio quella tedesca, rimasta legata a un criterio propriamente sintattico che l’italiano ha ormai superato, pur se non abbandonato totalmente: la differenza balza anche all’occhio del profano appena si consideri che in tedesco appunto sono oggi obbligatorie alcune virgole (per esempio quelle poste davanti a vari tipi di frasi subordinate) che non lo sono in italiano, o che in italiano rispondono a logiche diverse. Non occorre essere esperti di linguistica testuale, in effetti, per capire la differenza tra «gli studenti che hanno passato l’esame son contenti» (relativa restrittiva) e «gli studenti, che hanno passato l’esame, son contenti» (relativa appositiva: tutti promossi!). Come è noto, anche solo una virgola, di cui il gruppo di ricerca svizzero osserva un complessivo «sovra-uso» nell’italiano contemporaneo, può bastare a mutare il senso di un testo. Meglio dunque farne buon uso. Punto.

Il Sole 24 Ore, 30 settembre 2018

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