Un percorso di letture
sul Sessantotto, attraverso alcuni recenti volumi firmati da donne.
Le loro esperienze hanno attraversato, agito e interrogato una grande
scommessa di utopia. Corpi, sessualità, diritti civili, il
protagonismo femminile per ribaltare la «pubblicistica maschile».
Alessandra Pigliaru
Sovversioni gioiose della politica
Che cosa abbia
rappresentato il Sessantotto, per chi lo ha attraversato, agito o
anche solo studiato, è depositato nei numerosi contributi presenti
in forma di volumi, incontri, seminari e workshop che si sono
affastellati lungo il 2018. I primi cinquant’anni della grande
deflagrazione sono stati festeggiati e ricordati, criticati e
discussi. Il punto non è solo custodire la memoria bensì fare in
modo che quella memoria sia e rimanga consapevolezza viva, che sappia
offrire grani capaci di interrogare il presente.
È il progetto alla base
di alcuni libri pubblicati di recente a firma di attiviste e
scrittrici che a vario titolo si sono riunite per esprimere la loro
inaggirabile esperienza, nella contezza della propria differenza
sessuale. Sono donne che si sono impegnate, e ancora si impegnano, in
pratiche politiche che, per molte, sono poi approdate al femminismo.
Raccontare oggi quanto accaduto in quegli anni è, in tal senso,
testimonianza vivida e anche confronto con il Sessantotto come
oggetto culturale storicizzabile (già lo scorso 11 aprile, questo
giornale mandava in edicola uno speciale di 43 pagine dal titolo
«Il 68 delle donne»).
Il tenore della
sovversione si annuncia fin dalle prime pagine di Sessantottine,
un lavoro collettivo a cura di Franca Balsamo e Marilena Moretti
(Edizioni Seb 27, pp. 218, euro 18) che si misura con una quantità
ragguardevole di narrazioni, prevalentemente in prima persona, da
parte delle dirette protagoniste di quella stagione. Scienziate,
sociologhe, registe, traduttrici e molto altro, le intervenute
rispondono a diversi contesti – sia geografici che materiali -,
partendo dalla relazione con se stesse, e nei riguardi di una
scommessa di utopia, andata a buon fine anzitutto nelle vite di
ciascuna non senza la fatica di «essere state le prime».
Rivoltare tutto, pezzo
per pezzo, dalla apparente banalità della «reputazione sociale»
alla «doppia morale» maschile, passando per la cosiddetta
«liberazione sessuale» (un po’ più complessa nella ricaduta ma
certo efficace nella sua intenzione detonante) ha corrisposto, nel
medio e lungo periodo, a una serie di rivendicazioni, in capo
all’aborto, al divorzio, all’accesso ad alcune professioni.
«Contro il rischio di un nuovo conformismo – scrive Franca Balsamo
nella introduzione al volume – in senso antilibertario, è più che
mai il momento di ri-cordare (attraverso il cuore dunque), in primo
luogo a noi stesse, quel periodo di intreccio straordinario tra
politico, personale, spirito critico, gioco, fantasia al potere»;
l’elenco di ciò che è stato quel radicale incrocio, sia teorico
che pratico, potrebbe certo continuare, raggiungendo – come ha
fatto – fabbriche, manicomi, scuole, università e tante altre
realtà che andavano alla svelta aperte, rilette, rovesciate.
A differenza di altri
contributi sul 68, questo volume vuole porsi nel solco di un
significato esatto che è quello di «vivere con la rivoluzione»,
mantenendo il desiderio di liberazione – che poi muta e spalanca a
quello di libertà femminile conosciuto grazie al femminismo – e di
giustizia verso una realtà da cambiare. Perché, sempre
nell’intenzione delle curatrici di Sessantottine (che
raccoglie le storie di Vicky Franzinetti, Anna Valente, Lidia Ravera,
Cristina Tabasso ma anche Laura Cima, Elisabetta Donini, Ferdinanda
Vigliani, Margherita Granero e altre) le giovani generazioni non
dimentichino chi è venuta prima di loro.
Se questa spinta
all’azzeramento e alla dimenticanza è una delle questioni
politicamente più perniciose, non è tuttavia un fatto anagrafico. È
piuttosto un incontro di esperienza, lo si fa o non lo si fa, al di
là della indispensabile storicizzazione vi è un «di più» dei
corpi e dei vissuti, sempre in relazione, che resta irriducibile.
Allora, come adesso. La coscienza di ciò non conduce a una
incomunicabilità con «chi non c’era», al contrario garantisce lo
scambio reciproco nell’affidarsi all’altra. In tal senso, la
dimensione temporale diventa una spola, di necessità porosa, così
la postura del riferirsi alla propria interlocutrice.
È un «tu» che non
può essere mai generico, lo sanno bene le autrici del volume Donne
nel Sessantotto (il Mulino, pp. 291, euro 23) che fanno parte
del gruppo di giornaliste e scrittrici «Controparola» – nato nel
1992 per iniziativa di Dacia Maraini. A essere narrato è un
passaggio d’epoca attraverso sedici storie di altrettante cruciali
biografie. Eliana Di Caro scrive a proposito di Rossana Rossanda;
Chiara Valentini perlustra invece la parabola di Carla Lonzi, Linda
Laura Sabbadini si concentra su Carla Accardi, così la stessa
Maraini intorno a Letizia Battaglia. Un volume corposo composto da
molte voci che è tessitura politica dio un secolo intero ancora non
archiviabile.
È un «noi» che, senza
allarme, diventa un «voi» amicale, tra compagne che condividono
qualcosa di importante; come capita ad Assunta Sarlo che
nell’apertura di Ragazze nel ’68 (a cura della
Fondazione Badaracco, edito da enciclopediadelledonne.it, pp. 247,
euro 18) ha davanti agli occhi chi ha partecipato al libro; ciascuna
storia distinguibile, Sarlo riesce a intercettarne le linee di
frattura – inaugurate proprio allora. La prima è in carne viva,
attiene ai corpi e alla sessualità. Contraddizioni e sorprendenti
scoperte, quella complessità è al fondo di ogni storia raccontata.
Partendo dal quotidiano e
per sottolineare come si possa leggere un processo storico congedando
la «pubblicistica maschile prevalente», lo sguardo di queste
«ragazze» è puntato verso il contesto milanese – sempre e
comunque implicato nelle forti tensioni internazionali. Se per
decostruire il «destino sociale» imposto alle donne, i saperi
critici messi in atto sono stati molteplici (così come gli
strumenti, dal marxismo alla psicoanalisi), è vero che le dimensioni
affacciatesi all’orlo di quella «soglia mobile», accanto alla
sessualità, sono il mondo e il tempo. Sono tre fili rossi capaci di
incrinare ancora questioni contemporanee come la relazione con i
viventi, la violenza sulle donne, populismi e razzismi, precarietà.
Se si taglia uno dei tre fili gli altri due vanno a rotoli. Ne
parlano Marina Piazza, Lea Melandri, Franca Fossati, Donatella
Borghesi, Barbara Mapelli ma anche Carlotta Cossutta, Sveva
Magaraggia e ancora Carmen Leccardi e Franca Pizzini.
Dissonanze, spesso
contraddizioni insanabili anche all’interno di pratiche
antiautoritarie che tuttavia ignoravano il predominio maschile (punto
questo portato in luce dal femminismo), non vi è stata una linearità
bensì un crocicchio di esistenze baluginanti gioia e ambivalenza,
ecco che La vita trema, come titola il suo «romanzo di lotta»
Daniela Piretti (Stampa Alternativa, pp. 244, euro 5) in cui al
memoir si affianca lo spaccato di una esperienza femminista,
antimiltarista in una Roma ribelle in cui si costruisce «l’archivio
dei proletari» e si lavora per Lotta Continua.
Se il clima politico ed
emotivo restituito dall’autrice risponde a una esigenza di
ricostruzione senza sconti, Lia Migale in Incontri all’angolo
di un mattino (La lepre edizioni, pp. 155, euro 16) si concentra
sul ruolo dell’amore nel movimento degli anni Settanta: «l’impegno
era verso la società non verso l’altro. L’amore senza
condizionamenti era stato il primo comma della rivoluzione
studentesca».
Ciò che ha preparato il
Sessantotto, è un lievito politico che tra le mani di Migale diviene
intera luccicanza di futuro fra militanza e amicizie; è lo specchio
di una generazione, questo viaggio, sono tutti (e ciascuno a modo
proprio) tragitti perpetui di ribaltamento e trasformazione di sé.
Una generosità senza limitazioni, anzitutto per se stesse, che oggi
sta sulle gambe delle migliaia di donne – ancora e sempre loro, sì,
le donne – che si sottraggono alle politiche di morte di questo
presente.
Il Manifesto – 12 gennaio 2019
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