11 febbraio 2019

L'ARTE DELLO STOVIGLIAIO DESCRITTA DA V. CONSOLO

Giare stefanare presenti nel Museo di ceramica di S. Stefano di Camastra
Mattoni da pavimento di S. Stefano di Camastra, XIX sec.



      Rosario Daidone, studioso di ceramica antica, mi ha suggerito di riprendere le pagine di un libro di Vincenzo Consolo, Nottetempo casa per casa, che descrivono in modo ammirevole il lavoro artigianale dello stovigliaio. Colpisce la capacità mostrata da Consolo, in questo brano, di unire la poesia alla puntale descrizione della tecnica usata dall' artigiano.



AMORE E PAZIENZA MUOVONO IL MONDO




Dalla terra nasce ogni terraglia, dal fuoco nasce, dall’aria, dall’acqua, nasce ogni forma dall’informe, dal miscuglio l’ordine, la bellezza dal bisogno, l’armonia dal necessario. Amore e pazienza muovono il mondo, muovono mano, intelligenza, creano il piano e il fondo, il pieno e il vuoto, il concavo e il convesso. Dal fango nasce ogni fangotto, da creta cratere scifo anfora olpe oriballo, màfara lemmo bòmbolo quartara, lumera della notte, matràngela bianca. Idria, giarrah per l’olio. Da Santo Stefano, dalla fornace di Armao o di Gerbino venne la più capace, la badessa. Dal paese rinato sopra il poggio, tracciato dal duca di Camastra su disegno del parco di Versailles, della Flora di Palermo, rombo dentro quadrilatero, raggi che si partono dal centro per ogni punto, ogni viaggio. Va nella pirrera, nei cunicoli, nelle trincee dei Torrazzi il cretarolo, carica coi corbelli muli asini. Ammassa la roba nella fossa, sparge ad asciugare nello spiazzo. Batte con la pala mazza alza polverazzo. E’ il momento dell’acqua e dell’impasto. Fanghìa principiando a caso, quindi l’impastatore a piede nudo, dà ritmo criterio geometria alla sua danza. Primo è il ventaglio, a spicchi, secondo il vortice, a spirale di lumaca, terzo è il cerchio, una corona dentro l’altra.
Ora passa la roba al torniante. Lavora, gramola la pasta, riduce il pezzo in palle , pone siul tornio, gira raddrizza percia bagna tira la creta, passa la stecca sulla forma incerta , toglie le bave entro il fondo ampio.
Sul fondamento secco, sodo, sul pezzo basilare alza la giara, fasci a sopra fascia, innesto delicato nel lento movimento, rastremando mano a mano, creando la curva della volta, maestosa come cupola di chiesa, creando il collo la goliera d’ornamento, la bocca il labbro.
Asciutta, secca per il sole, il tempo, viene all’interno resa stagna con piombo sciolto, polvere di selce di Leonforte o di Tropea, dal fregatore di Favara, uso a fuochi zolfi fusioni di metalli.
Infornata insieme alle compagne d’uguale o di misura differente, un cantàro due cantàri quattro cantàri nell’assestamento sapiente sul dammuso, nella camera soprana della cottura, dall’infornatore, accorto a impilare separando fondo dalla bocca, pance tra di loro.
Giunge il frascarolo dai boschi demaniali di Caronia o San Fratello, dai feudi obliati dei Lanza o Pignatelli, col carro alto d’olivastro lentischio scannabecco, che sfiora tegole balconi.
Giunge il cuocitore, getta  a piene mani, nella bocca della camera sottana, sale per il malocchio , accende la lumera a Sant’Antonio. Dà esca, ciba a poco a poco con fascine, governa il fuoco per le ore giuste. Tura infine la bocca per lo scemare lento del calore.
Sfornata la giara stefanara, onore e vanto d’ogni stovigliere, suona a ogni tocco in ogni punto, chiara e sicura, come una campana tortoriciana, parte sopra il veliero per Cefalù, Marsala, parte per Girgenti, arriva per scambio di terraglie, fino a Marsiglia, fino a La Marsa. 

Vincenzo Consolo, Nottetempo casa per casa, Milano 1992 

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