Giare stefanare presenti nel Museo di ceramica di S. Stefano di Camastra
Mattoni da pavimento di S. Stefano di Camastra, XIX sec.
Rosario Daidone, studioso di ceramica antica, mi ha suggerito di riprendere le pagine di un libro di Vincenzo Consolo, Nottetempo casa per casa, che descrivono in modo ammirevole il lavoro artigianale dello stovigliaio. Colpisce la capacità mostrata da Consolo, in questo brano, di unire la poesia alla puntale descrizione della tecnica usata dall' artigiano.
AMORE E PAZIENZA MUOVONO IL MONDO
Dalla terra
nasce ogni terraglia, dal fuoco nasce, dall’aria, dall’acqua, nasce ogni forma
dall’informe, dal miscuglio l’ordine, la bellezza dal bisogno, l’armonia dal
necessario. Amore e pazienza muovono il mondo, muovono mano, intelligenza,
creano il piano e il fondo, il pieno e il vuoto, il concavo e il convesso. Dal
fango nasce ogni fangotto, da creta cratere scifo anfora olpe oriballo, màfara
lemmo bòmbolo quartara, lumera della notte, matràngela bianca. Idria, giarrah
per l’olio. Da Santo Stefano, dalla fornace di Armao o di Gerbino venne la più
capace, la badessa. Dal paese rinato sopra il poggio, tracciato dal duca di
Camastra su disegno del parco di Versailles, della Flora di Palermo, rombo
dentro quadrilatero, raggi che si partono dal centro per ogni punto, ogni
viaggio. Va nella pirrera, nei cunicoli, nelle trincee dei Torrazzi il
cretarolo, carica coi corbelli muli asini. Ammassa la roba nella fossa, sparge
ad asciugare nello spiazzo. Batte con la pala mazza alza polverazzo. E’ il
momento dell’acqua e dell’impasto. Fanghìa principiando a caso, quindi
l’impastatore a piede nudo, dà ritmo criterio geometria alla sua danza. Primo è
il ventaglio, a spicchi, secondo il vortice, a spirale di lumaca, terzo è il
cerchio, una corona dentro l’altra.
Ora passa la
roba al torniante. Lavora, gramola la pasta, riduce il pezzo in palle , pone
siul tornio, gira raddrizza percia bagna tira la creta, passa la stecca sulla
forma incerta , toglie le bave entro il fondo ampio.
Sul
fondamento secco, sodo, sul pezzo basilare alza la giara, fasci a sopra fascia,
innesto delicato nel lento movimento, rastremando mano a mano, creando la curva
della volta, maestosa come cupola di chiesa, creando il collo la goliera
d’ornamento, la bocca il labbro.
Asciutta,
secca per il sole, il tempo, viene all’interno resa stagna con piombo sciolto,
polvere di selce di Leonforte o di Tropea, dal fregatore di Favara, uso a
fuochi zolfi fusioni di metalli.
Infornata
insieme alle compagne d’uguale o di misura differente, un cantàro due cantàri
quattro cantàri nell’assestamento sapiente sul dammuso, nella camera soprana
della cottura, dall’infornatore, accorto a impilare separando fondo dalla
bocca, pance tra di loro.
Giunge il
frascarolo dai boschi demaniali di Caronia o San Fratello, dai feudi obliati
dei Lanza o Pignatelli, col carro alto d’olivastro lentischio scannabecco, che
sfiora tegole balconi.
Giunge il
cuocitore, getta a piene mani, nella
bocca della camera sottana, sale per il malocchio , accende la lumera a
Sant’Antonio. Dà esca, ciba a poco a poco con fascine, governa il fuoco per le
ore giuste. Tura infine la bocca per lo scemare lento del calore.
Sfornata la
giara stefanara, onore e vanto d’ogni stovigliere, suona a ogni tocco in ogni
punto, chiara e sicura, come una campana tortoriciana, parte sopra il veliero
per Cefalù, Marsala, parte per Girgenti, arriva per scambio di terraglie, fino
a Marsiglia, fino a La Marsa.
Nessun commento:
Posta un commento