06 marzo 2023

GRAMSCI TRA DANTE E PIRANDELLO

 








Da Pirandello a Dante: Antonio Gramsci critico della letteratura

di ALDO MARIA MORACE

Nelle edizioni tematiche di “Letteratura e vita nazionale”, imperanti prima di Gerratana, la sezione sul teatro di Pirandello (che raccoglie note sparse in cinque diversi quaderni) è posta in immediata contiguità con il canto decimo dell'Inferno di Dante. Filologicamente impropria, questa scelta è motivata dal fatto che anche in questo caso si tratta di una “lunga fedeltà” all'autore siciliano, che Gramsci stesso rivendicava nella lettera del 19 marzo 1927 a Tatiana, dal carcere: «Sai che io, molto prima di Adriano Tilgher, ho scoperto e ho contribuito a popolarizzare il teatro di Pirandello? Ho scritto sul Pirandello, dal 1915 al 1920, tanto da mettere insieme un volumetto di 200 pagine e allora le mie affermazioni erano originali e senza esempio: il Pirandello era o sopportato amabilmente o apertamente deriso». E come nel caso del saggio dantesco che si era autoimposto di scrivere, per non farsi degradare intellettualmente dal carcere, nella stessa lettera preannunciava di volersi «occupare intensamente e sistematicamente di qualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse la mia vita interiore»; ed enumerava a tal fine quattro soggetti, dei quali il terzo era «uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato e ha contribuito a determinare».

Per comprendere geneticamente la specificità di questo interesse, è necessario risalire agli undici interventi recensori sulla drammaturgia pirandelliana che Gramsci aveva disseminato nell'ambito delle Cronache teatrali, fra il 1917 e il 1920. È un critico teatrale, il giovane Gramsci, che risente ancora dell'influsso crociano, ma che si stacca decisamente dagli altri recensori (Simoni, Tilgher, D'Amico) perché è il solo che indaghi a fondo sulle motivazioni sociologiche di fondo e sulle valenze politico-culturali dell'evento teatrale, senza però che questo comporti la sottomissione della dimensione estetica; e questo acume si esercita su un autore che si era da poco riconvertito al teatro, producendo a ritmo febbrile ed affrettato, ma che non era ancora quello della grande stagione del teatro nel teatro e delle tragedie e dei miti. Da qui un quadro più di ombre che di luci, che del Pirandello minore sferza il manierismo intellettualistico, la prevalenza del teorema logico e del sofisma sulla vita umana del personaggio, ma che al tempo stesso isola con intuito sicuro i grandi esiti di “Liolà” (superbamente contestualizzato nella dimensione magnogreca) e di “Il piacere dell'onestà”, di cui coglie tutto il valore dirompente («è un “ardito” del teatro. Le sue commedie sono tante bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e provocano crolli di banalità, rovine di sentimenti, di pensieri»).

Ben diverso il quadro complesso, variegato di luci più che di ombre, che emerge dalle note dei Quaderni, in cui si rimarca quanto Pirandello sia stato incompreso dalla critica e osteggiato dal pubblico, tanto che il “pagano” “Liolà” dovette essere tolto «dal repertorio per le dimostrazioni ostili dei giovani cattolici torinesi». Le riserve non sono taciute, come ad esempio che la concezione pirandelliana della vita e dell'uomo sia così individuale da risultare incapace di diffusione nazional-popolare; e che il suo teatro non sia autonomo dalla messinscena dell'autore, sul quale continua a nutrire dubbi in merito alla sua capacità di trasfigurare artisticamente il cerebralismo dei contenuti drammaturgici. Al tempo stesso, però, le riserve vengono ripensate e rideclinate: se permane ben ferma la convinzione che il Pirandello maggiore sia quello dialettale o di ambientazione popolare, è pur vero che frammenti di grande bellezza sono anche nel suo teatro più letterario; e che nel teatro dialettale il pirandellismo sia giustificato da modi pensare regionalmente popolari e popolareschi, sicché Pirandello ha potuto per questa via immettere nella cultura popolare la dialettica della filosofia moderna. Il suo stesso essere siciliano, italiano ed europeo costituisce la sua «debolezza artistica» ed il suo «grande significato culturale», poiché egli sente in sé stesso questi tre elementi di civiltà «come giustapposti e contraddittori»; ma al tempo stesso questo gli consente di osservare le contraddizioni nelle personalità degli altri «e di vedere il dramma della vita come il dramma di queste contraddizioni».

Non c'è autore più lontano di Pirandello dall'appartenenza alla categoria dei “nipotini di padre Bresciani”. Il girgentino ha umoristicamente immesso il tarlo di abissali dubbi conoscitivi in cervelli meschini, parodiando il solipsismo filosofico; ed ha sprovincializzato e modernizzato il gusto del pubblico, «confluendo col futurismo migliore nel lavoro di distruzione» critica del basso e melodrammatico «ottocentismo piccolo-borghese e filisteo». La struttura del dramma diviene allora la tragedia dell’uomo al quale la ragione appare l'unico strumento di liberazione e al tempo stesso ne costituisce il tormento, quando essa – esercitata al limite delle sue risorse – dimostra la propria inanità nella coincidenza ultima della logica con l'assurdo. Dopo aver sognato di liberarsi dalla prigionia esistenziale, il personaggio pirandelliano si trova a certificare la convinzione dell'illusorietà della vita, della polivalenza labirintica dei segni che tentano d'interpretarla. Caduta la fiducia razionalistica, risulta vana l'aspirazione a darsi ragione dell'eclisse della ragione; e la realtà, spinta al limite di sé stessa, si deforma nella parodia con il caricarsi di tutte le stigmate fisiche e morali degli uomini-maschere.

Giustamente Gramsci poteva rivendicare, nella lettera a Tatiana, di avere colto in Pirandello una delle grandi figure, anzi la maggiore figura della cultura letteraria contemporanea in Italia. Ed è una delle tante motivazioni per cui non possiamo che continuare a dolerci del fatto che questa mente sia stata spenta a soli quarantasei anni; e tributare un memento reverente, nell'ottantesimo anno dalla morte, alla figura prismatica, complessa e monumentale di Antonio Gramsci.

Testo ripreso da:

https://www.lanuovasardegna.it/tempo-libero/2017/01/21/news/da-pirandello-a-dante-antonio-gramsci-critico-della-letteratura-1.




1 commento:

  1. Un amico stamattina sul mio diario facebook ha commentato il pezzo così:
    Angelo Pitruzzella
    Gramsci è poco conosciuto come critico teatrale. Scriveva per L'Avanti e i suoi interessi spaziavano su tutti i campi. E francamente quando riportava sul suo giornale sino rimasto sorpreso a leggere queste critiche, Geamsci lo consideravo un grande comunista e rivoluzionario. Poi con gli anni ho compreso che per essere rivoluzionari bisogna interessarsi su tutto quello che vive intorno a noi e cj circonda. Mi ha fatto piacere rileggere questa cronaca teatrale perché mi riporta negli anni di quando passavo le notti a leggere non solo le Lettere dal carcere ma le staffilate contro i potenti di Sotto la Mole.
    Ps Fortebraccio, al secolo Mario Melloni, di sicuro avrà letto e riletto Sotto la Mole e ne avrà fatto buon profitto per i suoi elzeviri giornalieri su L'unità. Buona giornata Francesco.

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