Goffredo Fofi,
l’ultimo testimone di un’altra Italia
di GIUSEPPE MURACA
A prescindere se si condivide o meno quello che scrive o dice, credo che davanti a uno come Goffredo Fofi bisogna solo levarsi il cappello. Egli ha vissuto quasi settant’anni di storia italiana da autentico protagonista, conservando gelosamente la sua indipendenza, la sua coerenza e la sua integrità morale. Egli ha scritto di pedagogia, di sociologia, di cinema, di letteratura, di teatro, di costume, di politica, ecc., è stato un infaticabile animatore di alcune delle più importanti riviste politiche e culturali contemporanee (da “Quaderni piacentini” a “Ombre rosse”, da “Linea d’Ombra” a “Lo straniero”, da “La Terra vista dalla luna” a “Dove sta Zazà” all’attuale “Gli Asini”), un pensatore, un educatore dai piedi scalzi, un operatore editoriale, un inesauribile organizzatore culturale, ecc., senza mai perdere la sua singolare identità. E ancora oggi, a 85 anni suonati, gira in lungo e in largo l’Italia alla ricerca di nuovi amici e compagni per nuove imprese sociali e culturali, di nuovi talenti da aiutare, sforna articoli e libri uno dietro l’altro con una vitalità e un’energia invidiabili persino a un trentenne. Ora, da poco è uscita per Minimum fax una bella antologia di suoi scritti, Son nato scemo e morirò cretino (e il titolo è tutto un programma!), curata da uno dei suoi giovani amici, Emiliano Morreale, che ha scritto anche un denso profilo del maestro di Gubbio, un repertorio sufficiente per dare ai giovani d’oggi un’idea abbastanza precisa del suo ruolo svolto nel contesto della cultura contemporanea: 71 pezzi che coprono l’intero arco della sua intensa attività intellettuale, a partire dal 1956, cioè dal periodo della sua collaborazione con Danilo Dolci, fino ad oggi.
Molti sarebbero gli articoli da citare, alcuni veramente esemplari, frutto di un bisogno etico e politico di giustizia e di libertà. Allievo e amico di Aldo Capitini, Ignazio Silone, Manlio Rossi-Doria, Gigliola e Franco Venturi, Fortini, Giovanni Pirelli, Panzieri, Montaldi, Piergiorgio Bellocchio, Grazia Cherchi, Elvio Fachinelli, Dario Lanzardo, Vittorio Rieser, e via via di Alfonso Berardinelli, Mauro Rostagno, Filippo La Porta, Vittorio Giacopini e di numerosi altri intellettuali italiani, egli ha attraversato le diverse fasi della storia dell’Italia repubblicana lasciando dei segni profondi, tanto che alcuni dei suoi libri, e cito alla rinfusa, (Strana gente, L’immigrazione meridionale a Torino, Capire con il cinema, Dieci anni difficili, Pasqua di maggio, Le nozze coi fichi secchi, fino al recentissimo e bellissimo Cari agli dei) restano dei documenti indispensabili per comprendere la storia e la cultura del nostro paese, di ieri e di oggi, di un pensiero radicale che ha avuto sempre come fine la critica dei valori dominanti e la trasformazione della società.
Non è semplice seguire la sua copiosa produzione giornalistica ed editoriale dell’ultimo ventennio, come collaboratore di importanti testate giornalistiche (“Il Sole 24ore”, “L’Unità”, “Avvenire”, “L’internazionale”, ecc.), curatore e autore di libri, ecc. ma una cosa appare chiara, e cioè che Fofi ha fatto e continua a far parte di una razza speciale di intellettuali, è uno degli autori contemporanei più complessi e inclassificabili che non abbassa la testa e non si piega alle regole e alla logica del sistema. Da più di quarant’anni i suoi bersagli polemici sono sempre gli stessi e spesso si ripete: l’inesistenza della sinistra, il trasformismo, l’omologazione politica e culturale, ecc. E il suo programma può essere riassunto in poche parole: studiare, fare rete, rompere i coglioni ai guardiani del Potere e incitare alla disobbedienza civile.
Alcuni critici hanno posto in risalto che Fofi è diventato un guru della sinistra, continuamente presente su molti quotidiani e periodici di diverso indirizzo e che ha quasi completamente rinnegato il suo periodo di rivoluzionario marxista, e questo in parte è vero, ma bisogna tener presente che il problema dei “contenitori”, cioè di dove scrivere è molto vecchio, e che si è presentato sin dalla prima metà degli anni settanta, cioè dal momento in cui Pasolini e Fortini (per citare due delle personalità più importanti della sinistra di allora) hanno iniziato a collaborare a “Il Corriere della Sera”, un fatto che ha suscitato a suo tempo un vespaio di polemiche e molte disapprovazioni, senza dimenticare però che Adorno (e altri pensatori della Scuola di Francoforte) avevano tuonato contro il potere omologante e neutralizzante dell’industria culturale e dei mass-media.
Giuseppe Muraca
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